Beltempo

Direttori: Enrico Falqui, Libero de LiberoScarica la copertina in formato .pdf
Anno primo: 1940
Anno ultimo: 1941
Periodicità: annuale
N. fascicoli: 3

Scheda, indici e immagini a cura di Paola Gaddo

«Beltempo», ‘Almanacco delle lettere e delle arti’, esce a Roma a cura di Enrico Falqui e di Libero de Libero, come recita l’indicazione posta sul retro della prima di copertina nei due fascicoli costituenti il corpus della pubblicazione. Le Edizioni della Cometa si occupano di far circolare nel biennio 1940-1941 quello che appare un vero bollettino metereologico della situazione artistica e letteraria del Paese, riassumendone le felici caratteristiche culturali fin dal nome che contraddistingue l’Almanacco.

L’organizzazione editoriale dei due volumi appare diversa per ciascuno dei due fascicoli, differenti tra loro anche fisicamente per la mole di pagine che li costituisce. Il primo numero suddivide i contributi dei vari autori nei dodici contenitori rappresentati dai mesi dell’anno; ogni sezione si apre con un intervento di Federico Lanza, che riassume le caratteristiche del mese, delineate in base alle dicerie popolari, e con l’illustrazione di Giovanni D’Aroma che ne traccia una sua personale visione. Come ulteriore ingrediente in linea con la tradizione degli almanacchi, si ritrovano nelle pagine del fascicolo gli stornelli umoristici ricchi di saggezza usciti dalla penna di Mino Maccari, autore anche delle copertine di entrambi i fascicoli. Esattamente al centro del primo numero, quale spartiacque tra i due semestri, trova posto una sezione dedicata alla poesia contemporanea con sedici autori che, in rigoroso ordine alfabetico, si susseguono creando un’antologia di grandi nomi. Da Angelo Barile a Giorgio Vigolo si snoda una selezione poetica di primo piano che fotografa e cristallizza i capisaldi della nostra cultura di quegli anni con un Mottetto di Montale presente ne Le Occasioni, L’alto veliero di Quasimodo da Nuove Poesie, una variante di Quale dolore? di Ungaretti, apparsa in  col titolo Quale grido?, ai quali si aggiungono, tra gli altri, componimenti di Saba, Cardarelli, Campana. All’interno dei dodici sottocapitoli di cui si compone il fascicolo si alternano i contributi delle più importanti firme del periodo: da Papini a Baldini, da Cecchi a Pratolini, con Ferrata, Bacchelli, Savinio, Vigorelli e Bo, i quali pongono l’accento sulla realtà artistico-letteraria passata e presente e sugli esiti che il «Beltempo» ormai trascorso apporta in quello attuale. Per scoprire e indagare tutte le sfaccettature del mondo delle arti si affiancano ai letterati e ai critici anche artisti come Carrà, Maccari, Soffici e Savinio che si giostrano in un duplice ruolo, fornendo il loro contributo con elementi di natura iconografica ma anche saggistica.

Il corposo quaderno dell’Almanacco si sviluppa attraverso alcuni filoni tematici fissi che ricorrono nei dodici brevi capitoli e che intessono la trama di un’idea ricchissima. Nell’occuparsi delle «lettere e delle arti», gli interventi si dividono tra saggi critici e articoli commemorativi dedicati ad illustri figure del passato di cui nell’anno 1939 ricorre un anniversario, sia esso di nascita, di morte o di pubblicazione di un’importante opera. Fanno parte di questo gruppo di scritti, disseminati in tutto il numero, gli articoli riguardanti autori italiani come Panzini, Capuana, Da Verona e Oriani e stranieri come Du Bos, Yeats, Pater, Machado e Racine, nonché pittori come Manetti, Liegi, l’ultimo dei macchiaioli e Rosselli e l’architetto Valadier; all’elenco dei personaggi celebrati si aggiungono artisti legati ad altri ambiti creativi quali la musica con Vivaldi e Musorgskij e il teatro con Pitoëff. L’intento di disquisire di arte e letteratura si evidenzia poi negli apporti saggistici che «Beltempo» propone ai propri lettori. Emblematica in questo senso risulta l’attenzione rivolta alla doppia natura artistica della figura di Leonardo, avvalorata dagli articoli di De Robertis e di Carrà che ne pongono in luce rispettivamente le caratteristiche della vena poetica e di quella pittorica. L’Almanacco si fa inoltre portavoce dell’interesse per la storia dell’arte e riscopre i maestri friulani con il Pordenone, i maestri bresciani del Rinascimento, il Veronese, Ottone Rosai e l’acquaforte delle genziane, spiegata dal suo autore Luigi Bartolini. Gio Ponti si occupa dei progetti architettonici dell’E 42, mentre Virgilio Guzzi offre un vasto saggio sulla terza Quadriennale d’arte, ponendo l’accento, tra gli altri, su Morandi, Pirandello, Capogrossi, Bernasconi, Medardo Rosso, Martini, Romanelli e Griselli, e tracciando un panorama piuttosto completo e puntuale della pittura della scuola romana. Assumendo quindi un evidente carattere critico, la pubblicazione di Falqui e de Libero commenta la poesia e la prosa italiana del Novecento attraverso le rassegne letterarie di affermati protagonisti del mondo culturale.

Emilio Cecchi e Goffredo Bellonci, in diversa misura e con interventi più o meno acuti, aumentano il pregio già conferito al quaderno da Francesco Bernardelli e da Giansiro Ferrata con le loro affermazioni rispettivamente riguardanti il teatro del Novecento e la critica italiana dell’anno 1939. L’intervento saggistico di Cecchi non contempla alcuni grandi nomi della poesia italiana del secolo, come ad esempio Quasimodo, Gatto, Sinisgalli e lo stesso de Libero, ma si tratta tuttavia di una lacuna solo apparente poiché, come specifica una nota dei curatori posta alla fine dell’articolo, lo scritto stampato da «Beltempo» risulta composto dall’autore per una conferenza del 1935. La scelta di sottoporre l’intervento ai lettori dell’Almanacco viene dettata quindi dall’attualità e dalla forza critica di Cecchi, che risultano esempio sempre particolarmente valido e immutabile nel tempo, icona metodologica che supera l’aggiornamento tematico. A completare l’attenzione rivolta alla produzione letteraria si uniscono le cronache di letteratura straniera che consentono di avere una visione più ampia su quanto viene pubblicato allestero. Grazie a quattro interventi critici l’Almanacco mantiene forte il proprio legame con uno stile moderno e vario, caratterizzato dalla curiosità, da una costante ricerca e una decisa esigenza di confronto. Salvatore Rosati si occupa dell’area inglese, ponendo l’accento sulla vastità della produzione e sulle novità che essa introduce favorendo sviluppi tecnici e concettuali. Sempre Rosati rivolge lo sguardo all’ambiente americano e scorre quindi alcune delle differenze presenti all’interno di quella che viene ritenuta una «fusione americana», come una peculiarità attribuita alla letteratura d’oltreoceano, di cui invece il critico sottolinea l’importanza delle diversità geografiche. Bonaventura Tecchi va a indagare l’ambito degli scrittori tedeschi, facendo precisi riferimenti anche a quelli dell’Ottocento, mentre Carlo Bo delinea le caratteristiche delle lettere francesi dell’anno appena trascorso.

L’aspetto critico del quaderno romano viene costruito, inoltre, tramite articoli riguardanti la linguistica, la filologia e la civiltà delle lettere, trattando anche problemi di attualità quali la Carta della Scuola nella riforma scolastica, i Littoriali della cultura e dell’arte e l’attenzione di Mussolini alla questione del latifondo in Sicilia. Quest’ultimo argomento, insieme al tema dell’arte fascista, affrontato da Giuseppe Bottai proprio nell’apertura del fascicolo, costituisce l’unico filo rosso che lega la pubblicazione all’incombente realtà storica degli anni di guerra, creando quella base di consenso, di adesione ad una certa autarchia di regime, utile a guadagnare uno spazio privilegiato all’interno di una scena internazionale densa di avvenimenti e di rivolgimenti epocali. Accanto all’antologia poetica, vero cuore prezioso del fascicolo, i due ottimi curatori si preoccupano di pubblicare anche interventi narrativi, arricchendo il primo numero con diverse prose di affermati protagonisti del Novecento letterario italiano. Landolfi, Gadda, Moravia, la Manzini, Bonsanti e Gallian compaiono accanto ad altre firme quali Angioletti, Pea, Alvaro, Vigolo, Petroni e lo stesso Ungaretti, con racconti, ricordi, aneddoti, brani intrecciati alla vasta e varia materia dell’Almanacco, in qualità di «riposanti soste», come specifica la Sommaruga Natali, nell’affrontare un percorso culturale moderno, eterogeneo, ricercato ed elitario.

Il secondo numero di «Beltempo», contrassegnato dall’annata 1941, presenta un’organizzazione diversa rispetto all’uscita precedente, caratteristica che si intuisce anche dalla struttura decisamente più esigua del volume. Falqui e de Libero aprono il fascicolo ribadendo l’intento di ritrovarsi «tra amici e conoscenti» per discutere ancora di letteratura e di arte, nonostante i vincoli e le limitazioni dettati dallo stato di guerra. Risentendo inevitabilmente della situazione, l’Almanacco si presenta ora ai lettori in una nuova veste antologica, interamente dedicata alla narrativa italiana contemporanea, modifica resasi necessaria a detta dei curatori per non interrompere la pubblicazione e per contribuire all’affermazione e al riconoscimento del valore letterario dei giovani narratori nazionali. L’avvenimento culturale dell’annata sembra infatti rappresentato dalla promettente qualità degli scrittori italiani, dei quali la rivista romana compila una rassegna di trenta nomi, scelti per le novità dei loro apporti.

Mantenendo l’ordine conferito alla sezione poetica del numero precedente, i narratori compaiono sulle pagine dell’Almanacco avvicendandosi in un ordine alfabetico che da Arrigo Benedetti si snoda fino a Cesare Zavattini, comprendendo figure destinate al firmamento delle stelle di prima grandezza come Buzzati, Delfini, Landolfi, Soldati, Moravia, Montanelli, Vittorini e Piovene.

Subito dopo la nota di apertura, i curatori scelgono di pubblicare come introduzione al nuovo numero di «Beltempo» uno scritto di Cecchi in cui viene celebrato il genere degli Almanacchi. Nel ripercorrere la storia di alcune di queste famose testate, il critico sottolinea come in questo tipo di periodici letterari si intenda «tastare il polso dell’epoca, contrapporre Ottocento e Novecento», cogliere i riflessi del gusto artistico-letterario «con un’immediatezza non così trita e dispersiva come quella del giornale, e fuor degli accomodamenti, spesso laboriosi e ingannevoli, del libro» [Emilio Cecchi, Ho sempre avuto molta simpatia per gli Almanacchi…, in «Beltempo», a. II, n. 2, 1941, p. 6]. Attraverso le parole di Cecchi i curatori intendono tracciare in modo sempre più marcato le linee della loro testata, attento strumento di diffusione di ingegno letterario, di creatività lirica, di nuove forme spregiudicate o prudenti e di quelle ormai consolidate da una vissuta esperienza di tradizione. L’ «unificazione del gusto e della cultura» si esplica così anche in questo secondo volume, dove la struttura dell’annuario viene mantenuta grazie ad una suddivisione del materiale raccolto in dodici sezioni, corrispondenti ai mesi, ma qui classificate attraverso il segno zodiacale che vi domina. L’apertura di ogni capitolo vede così un intervento di Roberto Bartolozzi descrivere le caratteristiche storiche di ciascun segno zodiacale, con precisi riferimenti alla mitologia e alle antiche credenze. Un secondo elemento fisso dei dodici componenti del volume è rappresentato da una breve favola di Nicola Lisi, ingrediente stuzzicate ma anche evoluzione colta e fantastica degli stornelli dal sapore popolare, tipici del genere.

Lo spazio dato alla narrativa italiana prevede oltre alla pubblicazione dei trenta racconti già menzionati, la proposta di dodici descrizioni di paesaggi, affidate ad altrettanti autori come Alvaro, Gadda, Barilli, Savinio e Sbarbaro, che, susseguendosi nel solito ordine alfabetico, disegnano i loro panorami attraverso aneddoti, memorie, notizie della realtà nostrana, fatta di momenti, riti, immagini immutabili nella vita di ognuno. La costruzione editoriale del quaderno progettata da Falqui e de Libero prevede inoltre la pubblicazione di testi utili allo studio dell’argomento principe nell’annuario antologico. I Pensieri sulla Narrativa vogliono infatti rappresentare un efficace strumento fautore di dotte discussioni, «non senza qualche vantaggio o contrasto», che giustamente si accompagna ai puri testi prosastici, per consentire una riflessione più profonda e più consapevole che vada oltre la lettura di svago.

Senza voler togliere leggerezza all’organizzazione della rassegna, le pagine del volume offrono nelle dodici sottosezioni una trentina di interventi critici di esimi scrittori e intavolano un dibattito sulla narrativa italiana con rimandi al passato e attraverso confronti con la produzione straniera. L’elemento teorico e critico del quaderno romano viene rappresentato dalle voci e dalle posizioni dei più autorevoli ed esperti studiosi, pronti a prendere la parola e a dare luce ad un aspetto della questione in esame. Gianfranco Contini considera come unicamente autentica la narrativa ottocentesca, Giansiro Ferrata e Bino Sanminiatelli sottolineano invece il valore del romanzo senza confini temporali, come pure Silvio Benco, il quale rimarca proprio la validità della letteratura narrativa contemporanea. Vicini a questo schieramento appaiono Giuseppe Ungaretti e Ugo Ojetti, decisi ad evidenziare la forza vitale del fare artistico e del romanzo in particolare, i quali chiedono quindi una totale attenzione della critica su questo aspetto. Giovanni Macchia si interroga sulla presenza dell’autobiografia all’interno del genere, mentre Piero Bargellini pone l’accento sul rapporto tra autore e lettore. Ettore Allodoli e Carlo Bo ricercano rispettivamente un concreto significato della parola “Narrativa” e una chiara definizione di “Romanzo”, partecipando come Bigongiari e molti altri ad una querelle legata a questo genere letterario destinata a svilupparsi, aggiornarsi e accrescere nelle testate pubblicate anche nella seconda metà del secolo.

In questo secondo numero «Beltempo» inserisce come intervallo tra i semestri due saggi riguardanti le figure di due scrittori fondamentali nella storia letteraria del Paese. Il primo studio, celebrando il centenario dell’ultima stesura de I Promessi Sposi, delinea, attraverso le osservazioni di Carlo Linati, le caratteristiche del Manzoni romanziere, occupandosi delle sue scelte stilistiche, della sua tecnica narrativa, e riassumendo le sue specifiche artistiche. La scelta di Massimo Bontempelli, a cui viene viene invece affidato il compito di descrivere un autore opposto al Manzoni, ricade su Verga, «primo dei nostri novissimi» scrittori, lontano dal crepuscolo postromantico. Quello che doveva essere un intervallo nella progressione dei fascicoli, finisce col rientrare perfettamente nell’architettura tematica di Falqui e de Libero, arricchita dalle riflessioni e da nuove chiavi di lettura sull’arte della narrativa italiana.

Grazie alle scelte operate, l’Almanacco romano risulta un gioiello nel panorama culturale dell’epoca, anche se costretto ad offrire un contributo limitato a due sole sortite. Testimonianza di tale riconoscimento è l’aneddoto rievocato da Biagia Marniti nel ripercorrere gli anni della vita artistica della capitale durante l’epoca fascista. La poetessa e scrittrice ricorda come il suo esordio nell’ambiente culturale sia stato favorito proprio dalla lettura di «Beltempo», regalatole da Bartolozzi, pubblicista amico di Falqui e, come si è visto, collaboratore dell’Almanacco, con l’aggiunta di un avvertimento: «Lei è caduta nel pozzo nero della letteratura!». I fascicoli di de Libero fanno così emergere l’immagine di un’Italia letteraria originale, studiosa, fantasiosa, «affannata attorno a problemi di carattere universale, erudita e sapiente» [Marcello Gallian, Almanacchi e Barbanera, in “Il Meridiano di Roma”, a. V, 25 febbraio1940, p. 3.], in grado di proporre scrittori coraggiosi, come coraggiosa e abile è la decisione dell’Almanacco di stamparli, risultando all’avanguardia in un modo saggio e ricco di acume.

Accanto all’indiscutibile valore legato all’aspetto propriamente letterario, l’annuario intende fregiarsi di una nobile idea di arte in senso assoluto. La storia della pubblicazione si intreccia infatti strettamente a quella della Galleria della Cometa, sorta nella capitale nel 1935 e divenuta sede centrale degli artisti legati alla scuola del tonalismo romano. Le presentazioni delle mostre che vi si tengono si devono quasi sempre ai letterati che compaiono anche nei fascicoli dell’Almanacco, il quale si contraddistingue come ideale continuazione dell’attività della Galleria per i contributi degli amici del gruppo romano pubblicati nelle sue pagine. La forte congiunzione tra l’annuario e La Cometa, il cui settore editoriale stampa e divulga «Beltempo», si manifesta nel largo spazio offerto nei due quaderni all’arte, attraverso una carrellata di testi e tavole frutto dei nomi di spicco del movimento artistico che vi fa da padrone: come puntualmente ribadisce la Marniti «dal pittore-poeta Scipione a Rosai, al pittore e critico Virgilio Guzzi, da Mazzacurati ad Aurelio De Felice, da Bontempelli ad Alberto Savinio e al fratello Giorgio De Chirico, da Ungaretti ad Arnaldo Beccaria» l’Almanacco si rivela un catalogo artistico notevole ed esplicativo di un modus operandi ben definito. I due volumi sono riccamente illustrati e presentano un panorama assolutamente completo della pittura di scuola romana; nel 1940 compaiono tavole di Signorini, Carrà, Capogrossi, De Pisis, Soffici, Guttuso, Tosi e altri schizzi e disegni che riportano le firme di Bartoli, Scipione, Leonetta Cecchi Pieraccini, e che ritraggono studiosi e letterati. Nel fascicolo del 1941 le tavole dei mesi sono frutto del lavoro di Toti Scialoja, mentre altri artisti illustrano alcuni libri famosi: Fazzini rappresenta I Malavoglia di Verga, Capogrossi L’asino d’oro di Apuleio, Guttuso Polifemo di Gongola e Manzù Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Croce.

L’importanza dell’Almanacco di Falqui e de Libero traspare quindi di conseguenza nel suo presentarsi anche come autorevole summa antologica del disegno e della pittura italiana contemporanea, distribuendo equamente il peso dato all’arte e alla letteratura. La collaborazione solidale e proficua tra artisti e letterati trova naturale concretezza nelle pagine dell’annuario che condensa la forte partecipazione e la passione a loro comuni nell’occuparsi del fare artistico e si rende strumento di divulgazione delle loro prove. Il prezioso materiale pubblicato, caratterizzato da un incredibile intreccio di esperienze, formazioni e posizioni, intende esprimere l’intelligencya presente in un’epoca particolarmente complessa e fornire le reali condizioni di quello che dal punto di vista culturale appare veramente un «bel tempo», contraddistinto anche dalla giovinezza di chi vi agisce. In questo senso si può cogliere nel nome dell’Almanacco pubblicato a Roma il vessillo dietro il quale riparare una produzione di primissima mano e senza il quale correre il rischio di perdere, a causa di forzature e costrizioni autarchiche, l’ottimismo necessario per continuare a proseguire anche in una realtà tanto difficile.

 

bibliografia

  • Falqui E., Per una storia degli almanacchi letterari. Dal «Mondadori» '25 al «Bompiani» '59, in Novecento Letterario Italiano, II volume, Firenze, Vallecchi Editore, 1970
  • Gallian M., Almanacchi e Barbanera, in «Il Meridiano di Roma», a. V, 25 febbraio 1940, pp. III-IV
  • Manacorda G., Riviste negli anni della guerra: «La Ruota», «Beltempo», «Parallelo», «Studi Romani», a.XXVIII, n.3 (lug./set. 1980), pp.352-366 
  • Marniti B., Roma nel dopoguerra, in Maestri ed amici, Caltanissetta, Sciascia Editore, 1994
  • Scognamiglio M., Almanacchi letterari italiani della prima metà del '900, Milano, Edizioni Rovello, 1997
  • Sommaruga Natali M. L., Almanacchi 1940, in «Il Libro italiano», a. IV, 1 gennaio 1941, pp. 48-54