Il Baretti

Direttori: Piero Gobetti, Santino CaramellaScarica la copertina in formato .pdf
Anno primo: 1924
Mese primo: dicembre
Anno ultimo: 1928
Mese ultimo: dicembre
Periodicità: mensile
N. fascicoli: 50

 

Scheda a cura di Maria Clotilde Angelini

«Abbiamo dovuto abbandonare la letteratura per diventare paladini e quasi rappresentanti della civiltà e della tradizione» scrive Piero Gobetti nel 1923. Le sue parole spiegano più che sufficientemente i motivi per cui fu rinviata la pubblicazione di quel periodico letterario, il «Baretti», che nel 1922 – dalle pagine di «Rivoluzione Liberale» – aveva annunciato come imminente.

Già dal 1921 Gobetti intendeva dar vita ad un foglio letterario da affiancare, quale necessario complemento, alla sua rivista maggiore, ma la grave situazione politica e la rigorosa lotta contro il fascismo lo costrinsero a rimandare il progetto: come testimonia Natalino Sapegno, «l’intenzione fu attuata solo nel dicembre del 1924 allorché l’attività del giornale politico si faceva sempre più difficile e irta di ostacoli e si rendeva evidente la necessità di affiancarla ed eventualmente sostituirla con un organo d’idee e d’informazioni operante su un terreno più sgombro» (Cultura militante, “Il Contemporaneo”, III, 1956, n. 7).

Il «Baretti» non è mai stato soltanto un supplemento letterario, né un hortus conclusus: la terza e ultima rivista gobettiana è, sin dal primo numero, un ulteriore strumento con cui il suo fondatore proseguiva – con la stessa intransigenza morale – l’azione di «organizzatore della cultura» nel fermo e dichiarato intento di sprovincializzare e rinnovare la società italiana.

In «Rivoluzione Liberale» Gobetti annuncia che il «Baretti» avrà nel mondo letterario il compito che ha «Rivoluzione liberale» nell’attività politica: «Suscitare preoccupazioni di serietà ed esigenze di pensiero, di critica, di stile nelle nuove generazioni»; ma sarà attraverso un comunicato stampa (pubblicato da Gian Paolo Marchi in Il viaggio di Lorenzo Montano e altri saggi novecenteschi, Padova, 1976) che presenterà più esaurientemente il periodico: «Il tono della nuova rivista sarà dato da un gruppo di giovani scrittori, i primi della generazione nuova che si siano affermati con vera originalità e con costanza di lavoro. Ma al “Baretti” collaboreranno contemporaneamente i migliori scrittori italiani [...] Sin d’ora si può ritenere che il Baretti riuscirà il centro di raccolta della nuova letteratura e darà un bell’esempio di rivista indipendente aperta agli spiriti più nuovi e più audaci, europea nei risultati e nell’aspirazione. La cultura italiana ha avuto troppi movimenti d’improvvisazione che credevano con una formula e con facili teorie di rinnovare il mondo e il risultato è ormai un vero e proprio oscuramento di valori, un distacco dalla serietà e dal buon gusto. È tempo di lasciare da parte i programmi troppo facili e definitivi e di lavorare per creare un interesse, senza secondi fini, per la letteratura, per determinare un’atmosfera di maggior comprensione e di maggiore intimità morale. Il “Baretti” di fronte al provincialismo e alla retorica dilaganti intraprenderà una vera battaglia di illuminismo e di stile europeo».

La nuova rivista si apre proprio con un articolo di fondo dal titolo Illuminismo, in cui Gobetti – approfondendo e sviluppando i temi già esposti nel comunicato stampa – precisa con estrema chiarezza lo stile a cui il periodico intende riferirsi, mentre respinge con decisione ogni faciloneria e ogni forma di dilettantismo di certe contemporanee esperienze. Il primo editoriale del «Baretti» si colora di un inequivocabile senso politico ed è un atto d’accusa soprattutto contro quanti hanno contribuito a separare letteratura e società e a svilire, per tornaconto personale o per superficialità di intenti e di senso civile, la stessa letteratura e la stessa civiltà nella compromissione con il fascismo e la «vita di corte»: «... i letterati stessi, usi agli estri del futurismo e del medioevalismo dannunziano, trasportarono la letteratura agli uffizi di reggitrice di Stati e per vendicare le proprie avventurose inquietudini ci diedero una barbarie priva anche di innocenza. Con la stessa audacia spavalda con cui erano stati guerrieri in tempo di pace, vestirono abiti di corte felici di plaudire al successo e di cantare le arti di chi regna». Allo squallore che gli presenta la nostra letteratura Gobetti vuole opporre un programma in cui la «severità degli studi» costituisca l’asse portante di un disperato ma lucido tentativo di ricostruzione culturale. Ricostruzione che doveva significare indipendenza di giudizio, serietà, antiprovincialismo, penetrazione e diffusione della cultura europea.

L’editoriale è un autentico programma che si è poi realizzato nell’intero arco di tempo in cui la rivista ha potuto essere pubblicata; senza dubbio quel programma è stato più intenso, vivo, effettivo durante la direzione di Gobetti, ma anche successivamente – nelle sue linee generali o almeno nelle direttive essenziali – è stato rispettato sempre, fino all’ultimo numero del 1928.

La morte di Gobetti, avvenuta a Parigi il 16 febbraio 1926, fu certamente un colpo molto duro per il gruppo che faceva capo al «Baretti», ma immediata si manifestò – pur nel dolore e nello smarrimento – la volontà di non venir meno all’impegno morale e civile che il fondatore della rivista aveva mantenuto sino in fondo, particolarmente in quel n. 2 del 1926 che, poco prima della forzata partenza per l’esilio, aveva scritto quasi per intero egli stesso. Il n. 3 del marzo 1926, «dedicato alla memoria di Piero Gobetti», si apre con Commiato (è il saluto di Piero all’Italia, alla sua Torino, e, forse, l’ultimo suo scritto) e riporta le commosse e vibranti testimonianze degli amici Luigi Emery, Edoardo Giretti, Vincenzo Nitti, Giuseppe Prezzolini e dei maestri Giustino Fortunato, Luigi Einaudi, Francesco Ruffini, mentre la stampa ufficiale dava notizia di quella morte attraverso laconici e freddi comunicati.

La volontà di non dimenticare l’insegnamento di Gobetti e di continuare con fedeltà e coerenza la strada da lui indicata è testimoniata anche da alcuni articoli che, in quel periodo, costituiscono precisi e decisi atti di coraggio (ad esempio La sua grandezza di Mario Fubini, nel n. 3 del 1926 e Lo scolaro maestro di Augusto Monti, nel n. 2 del 927) oppure dalla pubblicazione di inediti gobettiani.

Dopo la morte del giovane intellettuale torinese, la responsabilità ufficiale del periodico venne assunta da Piero Zanetti, ma il reale direttore del «Baretti» fu – in particolare nel 1926 – Santino Caramella, che spostò più sul settore filosofico la tematica della rivista, di cui rimase comunque inalterata l’impostazione originaria di fedeltà alla tradizione, di serietà critica e letteraria, di rifiuto morale verso ogni forma di compromesso. Durante il 1927 e il 1928, per l’interessamento costante e affettuoso dei più vicini collaboratori e vecchi amici di Gobetti, tra i quali Augusto Monti, Mario Fubini, Natalino Sapegno, Umberto Morra, Arrigo Cajumi e in seguito dei giovanissimi Italo Maione, Massimo Mila e Leone Ginzburg, ma soprattutto per l’attenta e incisiva azione svolta da Ada Prospero Gobetti, la rivista riuscì a mantenere il suo impegno culturale pur tra enormi difficoltà e problemi derivanti – oltre che dalla situazione politica – anche dalla mancanza di una guida che desse un preciso e rigoroso indirizzo al periodico.

Sicuramente il «Baretti» non fu mai un foglio impostato come una rassegna di fatti letterari: se il proposito iniziale fu quello di «informazione» (così risulta dalla corrispondenza di Gobetti con Adriano Tilgher e Umberto Morra) è evidente che la rivista rispose alla direttiva del suo fondatore nel modo più aperto e culturalmente più valido, dando largo spazio ad autori allora pressoché sconosciuti, a testi nuovi, a dibattiti filosofici, al rapporto letteratura-politica, cultura-società. Ampia e puntuale è la varietà degli argomenti con quell’intento di discussione, di chiarificazione e di attualità che riflette il temperamento e lo stile gobettiano: nel n. 15 del 1925 e nel n. 1 del 1926 L’inchiesta sull’idealismo, con gli interventi di Santino Caramella, Giuseppe Prezzolini, Angelo Crespi, Sebastiano Timpanaro, Rodolfo Mondolfo; nell’aprile del 1925, il n. 6/7, dedicato alla letteratura francese del Novecento, con i saggi di Giacomo Debenedetti su Proust, di Eugenio Montale su Larbaud, di Alberto Rossi su Valéry, di Guglielmo Alberti su Gide; nel luglio dello stesso anno, il n. 11, a cura di Leonello Vincenti e dedicato al teatro tedesco del Novecento; nel settembre il n. 13, curato da Elio Gianturco e dedicato alla poesia tedesca contemporanea.

Non soltanto con i numeri speciali (che termineranno con la direzione di Gobetti, ad eccezione – nel 1928 – del n. 7/8, costituito quasi interamente dal saggio di Vincenti su Stefan George) la rivista fu sempre coerente con il proposito di sprovincializzazione attraverso l’analisi e la presentazione delle più varie esperienze contemporanee europee: vere e proprie anticipazioni per la cultura italiana del tempo le proposte critiche sul teatro e sulle innovazioni relative alla regia e alla scenografia, sulle arti figurative, sul cinema, sulla letteratura russa, sui problemi del romanticismo, su Rilke, Joyce, Dehmel, Svevo, Poe, Chesterton, Conrad, De Foe, Virginia Woolf.

Se la costante più evidente del «Baretti» rimase sempre la ferma volontà, espressa prima da Gobetti e proseguita poi dai suoi collaboratori, di apertura europea, di serietà, di moralità della cultura, l’altro punto di riferimento altrettanto costante e deciso fu l’opposizione politica e culturale al fascismo: opposizione dichiarata e aperta su «Rivoluzione Liberale» fino a quando la diffida prefettizia dell’ottobre 1925 ne impedì la pubblicazione, costringendo Gobetti a cessare da ogni attività editoriale. Opposizione – di necessità – più cauta e velata sul «Baretti», in modo da impedire alla censura quelle motivazioni che avrebbero fatto chiudere i battenti anche al foglio letterario.

Inequivocabilmente di carattere politico molte delle scelte culturali operate dall’ultima rivista gobettiana, come la riproposizione di determinati autori o testi («In regime di stampa imbavagliata il vero articolista è il lettore: egli deve leggere tra le righe» aveva scritto Gobetti nel 1924 sulla testata di alcuni numeri di «Rivoluzione Liberale») o la presenza di Benedetto Croce, eletto “maestro” sin dal primo numero del «Baretti».

Se già Gobetti, dopo il delitto Matteotti, aveva scritto che «nel momento in cui si assiste a uno dei più radicali tentativi di rompere la solidarietà italiana con l’intelligenza europea, la posizione di cultura di Croce doveva diventare una posizione intransigente di politica», nel «Baretti» si intende distinguere l’alto insegnamento di Croce dalle superficiali e improvvisate interpretazioni del suo pensiero, ma soprattutto si vuole indicare Croce quale simbolo di serietà, di intransigenza, di opposizione al fascismo. Per tutto il 1927 e il 1928 collaborerà al «Baretti» e non a caso la sua firma compare più volte negli articoli di fondo, mentre numerosi sono gli interventi sul suo pensiero. Questo non significa che il «Baretti» sia una rivista crociana; anzi, ripetutamente – anche se sempre con estremo rispetto – si puntualizzano le divergenze dal pensiero del “maestro”. Ma la costante presenza di Croce è certamente il segno indiscutibile di una scelta etica e politica, che oltrepassava il semplice ambito letterario per inserirsi in quella lotta di cui Gobetti era stato uno dei più coraggiosi protagonisti e una delle prime vittime.

 

Tratto da Maria Clotilde Angelini, Il Baretti (1924-1928), “Indici ragionati dei periodici letterari europei”, Roma, Ateneo & Bizzarri, 1978. Per gentile concessione.

Nel n. 1, 23 dicembre 1924, così si presenta la testata del «Baretti»

IL BARETTI

Quindicinale Editore Piero Gobetti Torino, Via XX settembre, 60 Abbonamento per il 1925 L. 10 Estero L. 15  Sostenitore L. 100  Un numero L. 0,50 Conto Corrente Postale

Anno 1 N. 1 23 dicembre 1924 Sommario [ ...]

Sotto la testata - in alto - sulla sinistra la pubblicità relativa a «Rivoluzione Liberale», sulla destra le Novità della Casa editrice Piero Gobetti.

Nel corso delle annate la testata della rivista subì varie modifiche: dal I° numero del 1926 il «Baretti» non è più quindicinale, ma mensile; in seguito alla diffida della prefettura, sotto alla testata, in sostituzione di «Editore Piero Gobetti», si legge «Le Edizioni del Baretti»; aumenta il prezzo del numero separato (da L. 0,50 a L. I); ai lati, sotto la testata, compare la pubblicità relativa alle Edizioni del Baretti.

Nel n. 2 (1926) si riporta anche l'indicazione: «casella postale 472». Il n. 3 dello stesso anno, datato 16 marzo, reca sotto la testata: «A Piero Gobetti»; lo spazio in alto, ai lati, è vuoto. Nel n. 4 dello stesso anno compare, sotto la data 16 aprile: «Fondatore Piero Gobetti».

Nel n. 2 del 1927 si legge, sotto la testata: «Nell'anniversario della morte di Piero Gobetti, Parigi, 16 febbraio 1926». Nel n. 6 dello stesso anno è la data «1924-1926» accanto a «Fondatore Piero Gobetti» (questa indicazione non comparirà più dal n. 3 del 1928).

Nel 1928 viene indicato anche il recapito: Via Prati, 5, mentre il n. 2 si legge datato 16 febbraio.

Nell'ultima pagina di ogni numero è l'indicazione: «Piero Gobetti Direttore responsabile», sino al n. 16 del 1925; dopo la diffida, dal n. 1 del 1926: «Piero Zanetti Direttore responsabile».

Nella I annata (1924) esce soltanto il n. 1, del 23 dicembre. Nella Il ( 192 5) la periodicità risulta soltanto teoricamente quindicinale, perché già dal n. 11, compreso, la rivista esce una volta al mese; il n. 12 è datato 1 agosto, il n. 13, 1-30 settembre, il n. 14, 1-31 ottobre, il n. 15, novembre, il n. 16, dicembre.
Nella III annata (1926) la pubblicazione è regolarmente mensile, con l'indicazione, sulla testata, soltanto del mese, ad eccezione del n. 3 che reca la data 16 marzo e del n. 4, con data 16 aprile.

Nella IV annata (1927) due numeri risultano datati in modo erroneo (la precisazione relativa all'errore tipografico compare nei numeri immediatamente successivi): nel giugno il n. 6, che avrebbe dovuto essere invece n. 5-6, maggio-giugno; nel novembre il n. 11, che avrebbe dovuto essere il n. 10, ottobre, tanto è vero che il numero seguente (doppio) compare come n. 11-12, novembre-dicembre.

Nel 1925 vengono pubblicati tre numeri speciali: il n. 6-7, aprile (dedicato alla letteratura francese del Novecento), il n. 11, luglio (dedicato al teatro tedesco del Novecento) e il n. 13, 1-30 settembre (dedicato alla lirica tedesca contemporanea). Nel 1926 il n. 3, datato 16 marzo, è dedicato a Piero Gobetti. Nel 1928 il n. 11 si può ritenere dedicato a Stefan George.

Il I° numero del «Baretti» viene stampato dall'O.G.E.B., Corso Principe Oddone 34, Torino; dal n. 1 del 1925 al n. 14 del 1925 dalla Società Tipografica «L'Alpina» di Cuneo; quindi, dal n. 15 del 1925 all'ultimo numero del '28 dalla Tipografia Sociale di Pinerolo (che dal n. 7 del 1927 compare come Società Anonima Unitipografica Pinerolese).

Il formato della rivista è di cm. 35,7x50, su quattro colonne. Il numero delle pagine varia da annata ad annata: nel 1924 e nel '25 è generalmente di quattro, ad eccezione del numero doppio 6-7 che è, logicamente, di otto pagine. Nella terza annata (1926), il n. 1 e n. 12 sono di sei pagine, mentre gli altri di quattro. Nella IV annata (1927) il numero-base delle pagine è sei, ma di quattro è il n. 3; di otto il n. 2, il n. 4, il n. 11-12. Nella quinta annata (1928) risultano di quattro pagine il n. 1, il n. 3, il n. 6, il n. 10, il n. 11, il n. 12; di sei il n. 4, il n. 5, il n. 7-8, il n. 9; di otto il n. 2.

L'ultimo numero del 1928 presenta un errore nella numerazione delle pagine: infatti è composto dalle pagg. 57-60, mentre il precedente numero terminava alla pagina 52.

Nel 1926, il n. 3 ebbe una seconda edizione relativa alla pag. 82: nella prima edizione compaiono gli articoli di Vincenzo Nitti e di Luigi Emery, che, nella seconda, vengono sostituiti da quelli di Edoardo Giretti e di Giuseppe Prezzolini.

Il n. 12 del 1927 presenta l'indice della rivista relativamente alle annate I, II, III, IV.

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