La Fiera letteraria (prima serie)

Direttore: Umberto FracchiaScarica la copertina in formato .pdf
Anno primo: 1925
Mese primo: dicembre
Anno ultimo: 1928
Mese ultimo: dicembre
Periodicità: settimanale
N. fascicoli: 160

 

Scheda e indici a cura di Francesca Rocchetti

«Uscirà il 12 del prossimo Dicembre in Milano un nuovo giornale settimanale di lettere, scienze ed arti intitolato “La Fiera letteraria”. Sarà un giornale del formato normale di un quotidiano, in sei o otto pagine illustrate, stampato in rotativa, sul tipo dei giornali letterari che hanno attualmente così largo successo in Francia come “Candide” e “Les nouvelles litteraires” […]. “La Fiera letteraria” non sarà l’esponente di un piccolo gruppo di scrittori ma un giornale destinato a un vasto pubblico, redatto con criteri giornalistici, largamente informativo, e rispecchierà nel modi più completo il movimento letterario, scientifico ed artistico italiano e straniero […]».

Con questa lettera, il 17 novembre 1925, Umberto Fracchia (Lucca, 5 aprile 1889 - Roma, 5 dicembre 1930) annunciava alle redazioni di alcuni dei principali quotidiani italiani la nascita del primo numero del suo settimanale. Il nuovo e ambizioso progetto fu reso possibile anche grazie al reticolo di contatti e amicizie coltivati da Fracchia – già fondatore nel 1912 della rivista «Lirica» e approdato nello stesso anno alle pagine del «Marzocco» – nel corso del quadriennio di collaborazione con la casa editrice Arnoldo Mondadori dalla quale aveva appena rassegnato le dimissioni.

Il titolo del giornale si ispirava alla fiera come luogo di incontro e scambio di idee, in contrapposizione con il tempio bello e solenne in cui la tradizione aveva posto il letterato e il suo operare. Il proposito di Fracchia fu dunque rispettato, nonostante il periodo fosse il meno indicato e propizio per una nuova impresa culturale, e la «Fiera letteraria» uscì per la prima volta a Milano il 13 dicembre 1925. Direzione, amministrazione e pubblicità si trovavano in viale Piave 20, ogni fascicolo costava 50 centesimi, mentre l’abbonamento annuo ammontava a Lire 22 (Lire 40 per l’estero). Il 1 agosto 1926 gli uffici si trasferirono in via della Spiga 24, per spostarsi nuovamente, nel 1928 in piazza S. Carlo, 2.

Come si legge in Esistere nel tempo, il noto editoriale di apertura, (non firmato ma composto dal direttore Fracchia), il desiderio è quello di proporre un giornale completo e scrupoloso nell’esattezza delle notizie e dell’informazione, e allo stesso tempo dedito al culto delle cose belle: per ottenere questo Fracchia cercò di riunire tutte le forze letterarie di qualsiasi tendenza o età. La «Fiera» doveva diventare un giornale letterario «simile ad ogni altro giornale», e nello stesso tempo lontano dalla tradizione del giornalismo letterario italiano con i suoi fogli di tendenza e di polemica; l’elzeviro doveva alternasi alla notizia, la critica e la saggistica alla narrativa e ai versi, il panorama informativo al dibattito delle idee.

Accanto a Fracchia e ai numerosissimi collaboratori, quattro figure furono fondamentali nella storia del settimanale: Giovan Battista Angioletti, collaboratore, redattore e infine condirettore; Arnaldo Frateili, responsabile della redazione romana nel primo anno di vita della rivista; Curzio Malaparte, direttore ad interim della redazione romana dal 1° gennaio 1927, condirettore della testata dal 18 marzo 1928; Giovanni Titta Rosa, capo-redattore e assiduo collaboratore anche dopo il trasferimento a Roma della testata.

Nei tre numeri pubblicati lungo lo scorcio del 1925 compaiono, distribuiti in sei pagine, articoli dedicati ad autori e opere di letteratura, pezzi di cronaca sugli avvenimenti del mondo letterario, rubriche e molte recensioni, ma soprattutto comincia la pubblicazione a puntate – che si concluderà con il n. 24 del 13 giugno 1926 – di Uno nessuno centomila di Luigi Pirandello, preceduta dalla prefazione di Stefano Pirandello all’opera del padre. Concluso il romanzo pirandelliano, l’altra opera pubblicata a puntate sarà Cinelandia di Ramón Gómez de la Serna, nella sua prima traduzione in italiano.

Durante il suo secondo anno di attività, sono moltissime le questioni affrontate nelle dense pagine del periodico. Lo spazio principale è dedicato alla letteratura italiana, ma non manca quello dedicato alle letterature straniere con gli articoli occasionali, la rubrica “Rivista delle riviste straniere” (che fornisce un’interessante panoramica sulla produzione periodica europea) e la sezione dei libri tradotti curata da Giovan Battista Angioletti.

Nemmeno le arti vengono trascurate: numerosi sono gli articoli sulle rappresentazioni sceniche, sulla musica, sulla pittura, sulle arti plastiche. Alla sezione dedicata al teatro – che accoglie principalmente la critica delle prime rappresentazioni romane e milanesi, a cura rispettivamente di Silvio D’Amico (fino al marzo del ’26), Arnaldo Frateili e Riccardo Bacchelli – collaboreranno Chiarelli, Bragaglia, Marinetti, Petrolini, Depero e Savinio, rispondendo a un’ampia inchiesta sulle teorie teatrali.

Da luglio del 1926 la quinta pagina del settimanale ospiterà, una volta al mese, articoli, note e brevi saggi di scrittori stranieri, oltre a numerosi testi narrativi tradotti. Da gennaio a giugno dello stesso anno sulle pagine della «Fiera» comparirà, a puntate, il Catalogo delle idee chic, opera quasi del tutto sconosciuta di Gustave Flaubert: della pubblicazione e ordinamento di questo interessantissimo dizionario si occuperà Alberto Cecchi.

Qualche piccola novità si annuncia sul numero del 27 giugno 1926: «Col prossimo numero la Fiera letteraria uscirà normalmente in 8 pagine: saremo in grado di offrire ai nostri lettori un giornale più vario, più ricco di notizie e informazioni, fornito di nuove importanti rubriche, più completo e più armonioso nelle sue parti […]. Così noi crediamo di corrispondere nel migliore dei modi alla grande fiducia e simpatia del larghissimo pubblico che ci segue e che, fatto nuovo negli annali del giornalismo letterario italiano, ha consentito in pochi mesi al nostro giornale di raggiungere le 15.000 copie di tiratura. Nello stesso tempo crediamo di rendere di fatto meno sensibile l’aumento di prezzo che il nostro giornale deve necessariamente subire per le stesse ragioni di esigenze economiche che ha determinato l’aumento di prezzo (20%) dei giornali quotidiani. Dal prossimo numero il prezzo di vendita della Fiera Letteraria sarà portato da 50 a 80 centesimi».

Dopo aver constatato che in Italia erano molto rari gli studi di biografia letteraria e le ricerche relative alla vita e alle opere degli scrittori scomparsi, che gli archivi storici restavano inesplorati e in molte biblioteche non esisteva nemmeno un catalogo completo dei manoscritti, la «Fiera Letteraria» bandisce fra i suoi lettori il primo concorso a premio per un saggio bibliografico letterario contenente documenti inediti relativi a uno scrittore italiano vissuto tra il 1800 e il 1925.

Il 31 ottobre 1926, dopo aver esaminato soltanto 27 manoscritti («contro le molte centinaia che si affollano di solito ad ogni concorso per una novella o una poesia») viene proclamato il vincitore: Giuseppe Lesca, «nome non nuovo a questo giornale, e a quanti seguono con amore gli studi letterari in Italia» con il saggio intitolato Prime vacanze carducciane 1856: amicizie e battaglie di vent’anni, contenente tra l’altro alcune vivacissime lettere giovanili inedite di Giosuè Carducci. Il secondo e il terzo premio vengono assegnati rispettivamente al palermitano Ugo De Maria per un saggio intitolato Fra documenti e ricordi rapisardiani (che verrà pubblicato integralmente sul n. 3 del 1927), e al torinese Domenico Bulferetti nel cui manoscritto intitolato Lettere di Giovanni Pascoli sono largamente riprodotti passi inediti di lettere pascoliane scritte tra il 1899 e il 1910.

Tra gli altri premi istituiti dal settimanale, ricordiamo quello per l’incremento alla nuova letteratura italiana e all’editoria, il cui primo vincitore fu Mario Gromo con Guida sentimentale, ma anche l’originale Gran premio delle Arti, corsa automobilistica riservata agli artisti di ogni arte e di ogni paese, ideata da Curzio Malaparte e Guido da Verona, «l’uno e l’altro appassionati guidatori di automobili stracittadine e strapaesane».

In aggiunta alle già numerose rubriche, nel luglio del 1926 viene annunciato un nuovo notiziario scientifico, “Specola delle scienze”, accanto a un’intera pagina dedicata alla scienza e alla letteratura scientifica. Questa pagina si rinnoverà una volta al mese, conterrà contributi dei più illustri scrittori della scienza, sia italiani che stranieri, e rivelerà ai lettori un mondo di studi, di indagini e di scoperte quasi completamente ignorato: «e sarà compilata in modo che, pur osservando la più rigorosa ortodossia e precisione, essa sia accessibile e riesca piacevole anche al lettore comune, del tutto digiuno di studi scientifici».

Durante i primi anni, le pagine della «Fiera» sono campo di numerose polemiche: la prima di esse e forse la più significativa è quella dedicata alla critica letteraria, suscitata dal confronto tra due modi di intendere il lavoro critico: la critica cosiddetta accademica volta allo studio dei classici, e la critica militante che privilegia la letteratura contemporanea. A questa prima polemica ne seguono altre – da quella tra Malaparte e Bontempelli intorno a «900», a quella sull’arte narrativa – nel diffuso sforzo di chiarire che cosa si volesse intendere in Italia per letteratura moderna, e in che modo si potesse conciliare la tradizione con quegli spiriti nuovi che cominciavano ad affacciarsi sul panorama culturale.

Dalla constatazione dello scarso legame del pubblico con i libri, di cui si fecero portavoce Vallardi, allora presidente dell’Associazione Editori e Librai Italiani, Vallecchi e Fracchia, nacque l’idea di istituire una Giornata del Libro – patrocinata dal Ministero della Pubblica Istruzione e svolta sotto gli auspici del Governo – a favore della quale la rivista profuse molto impegno: «Italiani, i libri che si pubblicano oggi in Italia non sono inferiori a quelli di qualsiasi altra nazione. Abbiamo anche noi scrittori eccellenti e stampatori egregi. Una nuova letteratura, degna della nuova storia, è in cammino. Ma voi leggete meno di qualsiasi altro grande popolo e non avete ancora creato al libro italiano una popolarità nazionale. Bisogna dunque che voi acquistiate coscienza dei vostri dovere intellettuali verso voi medesimi e verso il vostro Paese. Poesia, arte scienza, coltura sono le armi dell’intelligenza, indispensabili quanto le altre ad una grande politica. Il mondo si conquista anche con le idee e con le opere di spirito. Italiani, imparate a scegliere il libro che fa per voi, frequentate quotidianamente una libreria, formatevi una piccola biblioteca, abbonatevi a un giornale letterario o a una rivista di coltura, dedicate alle buone letture i vostri momenti di ozio e di riposo, e ai libri le vostre economie. Prendendo con voi stessi questo impegno, celebrerete nel modo più degno la prima Festa Nazionale del Libro» (n. 19, maggio 1927). Molte altre questioni di rilievo hanno attraversato le pagine della «Fiera»: l’istituzione dell’Accademia d’Italia, il varo del progetto editoriale dell’Enciclopedia italiana, l’approvazione della legge sul diritto d’autore, la nascita del Teatro di Stato, l’inchiesta sulla nuova generazione.

Ampio spazio è stato inoltre dedicato, tra gli altri, alla scrittrice Grazia Deledda, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1927, alla morte di Italo Svevo (avvenuta un anno più tardi), lo scrittore triestino che «per merito di Montale, il quale ne scrisse sulle riviste “L’Esame” e “Il Quindicinale”, ebbe in Italia il primo e legittimo riconoscimento». Interessanti le Pagine di guerra di scrittori italiani, apparse sul fascicolo 46 del 1928; l’intento non era quello di presentare un’antologia di scrittori combattenti, ma piuttosto scorgere i segni di un mutamento intimo di stile e di spirito tra le narrazioni e le liriche impressioniste scritte al tempo della guerra e le prose più vigilate, ma forse più leggere e distese dei ricordi successivi: «Qualche poesia di quegli anni passati parranno voci strappate ad anime inquiete, ma già presaghe di quella serenità oggettiva, di quella pacatezza interiore che sono il segno più sicuro della nostra epoca letteraria […]. Aver vissuta la guerra e non lasciarsi vincere dalla tentazione dell’enfasi o della contumelia, questo è un esempio di probità letteraria che rivela tutto un nuovo stile e una possibilità complessiva di vera arte».

È già stato fatto qualche accenno ad alcune rubriche fisse che si ritrovano, di settimana in settimana, sul giornale di Fracchia; forse è utile ricordarne altre che meglio contribuiscono a delineare la variegata fisionomia della «Fiera letteraria». Fin dal primo numero ci si imbatte in “Cambusa”, un vero microcosmo definito dai suoi curatori «colonna dell’impossibile»: quasi sempre in tono ironico si susseguono liriche, tragedie, epigrammi, romanzi in poche righe, spesso paradossali articoli di filosofia, storia, geografia e astronomia. Lorenzo Montano cura il “Commento alla cronaca”, dando libero sfogo a tutte le «strampalerie» che gli vengono in mente partendo, appunto, da un fatto di cronaca: «Si consideri che dovendo io tener d’occhio il progresso degli eventi, non potrò andar di passo con loro; sicché non sarà da far caso se li esaminerò sei mesi dopo, o anche un anno prima del loro accadere. Del resto non tema il lettore che io tenti mai di chiarificar nulla, anzi il mio proposito è di pescare nel torbido».

Un’altra rubrica di impostazione leggera è “Otto volante” che, secondo le parole del suo curatore G. B. Angioletti, «non vuol essere luogo di riunione di gente maligna ma raccolta di scherzi, battute e aneddoti dal fondo innocuo e dalla vita effimera». Alberto Cecchi, con lo pseudonimo di Mercadet, si occupa invece di una pratica rubrica di carattere letterario-commerciale, “La borsa letteraria”, in cui si dà conto dei titoli e degli scrittori più richiesti, del loro gradimento, della loro fama «presso i borghesi, presso gli intenditori, presso i fauves». Alfredo Panzini affronta in maniera ironica e polemica la questione della scrittura e del suo rapporto tra purità e dialetto ne La giostra delle paroline.

“Foglie della Sibilla” è lo spazio dedicato ai duelli letterari, curato da Curzio Malaparte; mentre “La colonna infame” raccoglie i commenti sugli scrittori contemporanei, sulle loro prose e i loro pensieri apparsi su riviste e giornali: «Sarà questa una conversazione di amici molto sereni che, se pure cadano in qualche maldicenza, si accorgeranno in tempo di averlo fatto senza “frode”». “I libri della settimana”, “Rivista delle riviste straniere” (che da febbraio del 1927 si alternerà con Rivista delle riviste italiane) e “La rassegna della stampa” permettono invece di avere una panoramica dettagliata sulle novità editoriali e sugli articoli più importanti e più curiosi apparsi sui periodici in Italia e all’estero.

Accanto ai numerosi articoli e ai racconti degli scrittori divenuti poi i protagonisti della vicenda letteraria novecentesca (da Alvaro a Vittorini, da Gadda a Savinio, da Bonsanti a Repaci, da Bacchelli alla Manzini) non vanno dimenticate le numerose illustrazioni che arricchiscono le pagine del settimanale, quasi sempre a opera del pittore e incisore marchigiano Anselmo Bucci e della veloce matita di Mario Vellani Marchi, il disegnatore «per così dire, “ufficiale”, ch’era anche l’amabile e arguto caricaturista degli scrittori vecchi o giovani».

Con la nomina, nel gennaio del 1927, di Curzio Malaparte redattore capo e poi direttore ad interim per la direzione della redazione romana della rivista, il periodico comincia lentamente a cambiare e ad avvicinarsi al Fascismo: ciò è evidente nell’accentuazione politica delle tematiche affrontate – dagli articoli sulla costituzione di una disciplina intellettuale fascista alla discussione intorno alla corporazione delle arti –, nel tono quasi di propaganda con cui vengono rese note le iniziative culturali del regime. Nel 1929 la scomparsa della vecchia testata sostituita dal titolo «L’Italia letteraria» è un segno inequivocabile della fascistizzazione della rivista. Ma, al di là della collusione tra politica e letteratura, si può dire che Fracchia sia riuscito a creare le condizioni propizie per uno scambio di idee e di aver fatto della «Fiera» il più ricco punto di incontro della letteratura italiana tra le due guerre.

Come ha ricordato Giovanni Titta Rosa nell’intervento Gli anni milanesi della «Fiera letteraria» («La Fiera letteraria», a. I, n. 3, 25 aprile 1946, p. 2), il significato del settimanale sta nell’aver fatto emergere il confronto tra gli anziani e i giovani del dopoguerra, tra la letteratura di forme prevalentemente narrative e quella di forme prevalentemente riflessive, liriche. «Con la nascita del giornale di Fracchia i giovani sentirono di avere uno strumento per una più larga diffusione e affermazione delle loro idee letterarie e gli anziani un luogo dove avrebbero potuto essere ospiti, se non abituali, almeno senza disagio e sospetto».

 

bibliografia

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  • Bartalena I., La Fiera letteraria negli anni 1949 e 1950: l'erudizione oltre l'impegno, Roma, Aracne, 2009
  • Bellezza E., Franceschini M, Piaggio R. (a cura di), Umberto Fracchia direttore della "Fiera Letteraria" negli anni 1926-26. Catalogo regesto del carteggio tra Umberto Fracchia ed i collaboratori della Fiera, posseduto dalla Biblioteca Universitaria di Genova, Genova, 1987
  • De Paolis P., La storia de "La Fiera letteraria", Rapallo, Ipotesi, 1981
  • Falqui E., Il 13 dicembre 1925 usciva la prima "Fiera". "Esistere nel tempo", «La Fiera letteraria» n. 1 (1965)
  • Fracchia U., Fogli di diario, Milano, Mondadori, 1938
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  • Mattioli C., La "Fiera letteraria" dal 1925 al 1929, "ì«La Rassegna della letteratura italiana», n.2-3 (1987), pp. 394-403
  • Ravegnani, G., Ricordo di Umberto Fracchia, in Uomini visti: figure e libri del Novecento: 1914-1954, Milano, Mondadori, 1955
  • Titta Rosa G., Gli anni milanesi della "Fiera letteraria", «La Fiera letteraria», a. I, n. 3 (25 aprile 1946), p. 2
  • Titta Rosa G., Quarant'anni fa usciva la "Fiera letteraria", «La Fiera letteraria»n. 42 (1964), p. 6
  • Vazzoler F., Per la storia de "La Fiera letteraria": Umberto Fracchia e Anton Giulio Bragaglia (dalle carte inedite dell'archivio di Umberto Fracchia), in Atti del convegno su Umberto Fracchia (1889-1930) nel cinquantenario della morte, a cura di A. Obertello, Genova, Accademia ligure di Scienze e Lettere, 1982
  • "La Fiera letteraria" giudicata in Francia, «La Fiera letteraria», a. II, n. 4 (24 gennaio 1926), p. 1
  • Titta Rosa, Falqui e Fabbri parlano in televisione della Fiera letteraria, «La Fiera letteraria» n. 13 (1965)

 

Umberto Fracchia, Esistere nel tempo

«La Fiera letteraria», a.I, n.1 (dicembre 1925) 

Questo giornale nasce con un titolo che parrà ad alcuno pieno di volgare allegria, ad altri profondamente triste. A noi, che lo abbiamo adottato come insegna, non suscita né l’una né l’altra impressione. Ne abbiamo scartati molti che erano senza dubbio più belli, d’un bello solenne, classico, come Le Grazie, Le Museo, il bel colle Parnaso, scolpiti nel il timpano triangolare, verso i quali forse tendevano nostalgicamente le nostre simpatie; ed altri più commoventi ed espressivi nella loro povertà romantica come L’Osservatore, Lo Spettatore, Il Saggiatore, verso i quali ci sospingeva il nostro ben radicato odio per la retorica e quel tanto di modestia che vuol guidarci in quest’impresa. Ma appunto i nomi più belli e solenni, e quelli più degni di cari ricordi, ci sono apparsi i meno adatti per noi che, ritrovandoci in pochi e così lontani l’uno dall’altro, non avremmo mai osato pensare di poterci riunire insieme per costruire un tempio o qualche cosa che assomigli a un tempio; e avendo bene presente l’epoca in cui viviamo, ci saremmo sentiti impacciati e pieni di un ridicolo malinconico a dover indossare abiti del 1830 e adottare lo stile filosofico e mondano della Contessa Maffei.

La fiera invece è il luogo che si conviene ad uomini della nostra età: che i nostri propilei e la nostra scuola di Atene siano fatti di baracche rabberciate alla meglio, con insegne sfacciate e bugiarde, piuttosto che di lucidi marmi e di statue armoniose, non ci impedirà di essere quali noi saremmo stati nel secolo di Pericle, o in quello di Augusto, o nello stupido adorabile XIX secolo. A noi non ripugna d’udire il linguaggio dei mercanti e dei giocolieri, né di dividere la nostra magra gloria con il lottatore e con il corridore d’arena; non invidiamo la popolarità all’uomo politico e la ricchezza al banchiere. Se oggi fossero veri poeti, o pittori, o fabbricatori di templi, essi non potrebbero che accrescere la fama e la gloria di questi autentici eroi del secolo, i quali hanno la sventura di essere appunto soli nella loro sterminata potenza. Noi sentiamo anzi di vivere nel nostro tempo corpo ed anima, desiderosi soltanto di esprimere la grandezza e la miseria nella forma immortale della parola, e disperati di non poterlo fare degnamente. Per ciò che vogliamo qui dichiarare – e in questo consiste quasi tutto il nostro programma – la nostra piena, totale, incondizionata adesione e solidarietà con il tempo che così profondamente ci disprezza, e, con noi, le belle e nobili cose che amiamo.

Quanto al resto, il nostro scopo pratico è unicamente quello di fare un giornale che sia letto dal maggior numero di persone, dato che oggi più che mai nessuna forma di commercio utile, anche spirituale, è possibile se non attraverso la folla e il suo consenso. Basta sfogliare questo primo numero per vedere quanto ci siamo sforzati di far dimenticare che la materia che esso contiene è la più squisita, nobile e delicata che si possa dare. Speriamo in avvenire di poter raggiungere in questo

senso risultati anche più perfetti; facendo il contrario di quanto accade nelle altre fiere, nelle quali si cerca piuttosto di nascondere la materia vile e volgare delle cose sotto un’apparenza preziosa. Può darsi che qualcuno si accorga di noi proprio nel momento in cui cerchiamo di passare inosservati, e che lo spirito di contraddizione che è proprio della natura umana crei la nostra fortuna.

Altri programmi questo giornale non ha, se non di essere, nel suo genere, completo, libero nei suoi giudizi, scrupoloso nella esattezza delle sue informazioni e notizie, stampato bene, e sotto ogni aspetto attraente. Il fatto nuovo, nella storia del giornalismo letterario italiano, è che esista oggi un giornale letterario simile ad ogni altro giornale e che concorrano a redigerlo scrittori di ogni età e tendenza, di fama tanto dissimile, e che questi scrittori stiano insieme non per la difesa contro un comune nemico, ma con l’animo pacifico di chi contribuisce volontariamente ad un lavoro utile. I risultati di questo lavoro, se sarà, come speriamo, duraturo e fecondo, si vedranno quando, - fra molti anni – questo giornale non esisterà più, o sarà invecchiato come tutti i giornali.

Può darsi che allora, giudici più sereni di quanto non possiamo essere noi nei riguardi delle nostre intenzioni, riconoscano a questa Fiera il merito di aver tenuto vivo, con estrema prudenza, ma con fermezza non meno estrema, nel tumulto di altre fiere, il culto delle cose belle e buone, inutili e tuttavia necessarie più del pane, insegnando agli italiani del XX secolo, nel momento in cui stavano per dimenticarlo, che la parola, nella sua sublime leggerezza, è il migliore ornamento dell’azione, e che non v’è ricchezza né più sicura né più grande di quella che l’uomo porta racchiusa nel più piccolo e più volubile dei suoi pensieri.