Direttore: Milo De Angelis
Anno primo: 1977
Mese primo: giugno
Anno ultimo: 1980
Mese ultimo: febbraio-marzo
Periodicità: quadrimestrale
N. fascicoli: 9
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Si ringrazia Milo De Angelis per il prezioso contributo dato alla realizzazione del progetto di cui fa parte la rivista «Niebo», attraverso il prestito e la donazione dei fascicoli. Si ringrazia ugualmente Emi Rabuffetti per la donazione del n. 10 da lei curato
Scheda a cura di Carla Gubert
Indici e immagini a cura di Gabriele Nicolussi
«Niebo» esce nel giugno 1977 a Milano come «rivista quadrimestrale di poesia», fondata e ideata da Milo De Angelis, da poco tornato da un inverno trascorso a Varsavia ad approfondire lo studio della poesia e del pensiero dello scrittore polacco Bolesław Leśmian. Il cielo polacco, niebo per l’appunto, la sua «vuota cupola» descritta nei versi di quello sconosciuto poeta che diverrà poi nume tutelare della rivista, darà il titolo a questa nuova avventura culturale.
Le copertine, tutte uguali nella grafica essenziale e rigorosa, divisa in due spazi, un fondo chiaro tagliato da una sezione monocromatica che varia di numero in numero, richiamando la scelta coloristica anche nel titolo, sono di G. Lollo. Il formato del fascicolo resta pressoché immutato, con una oscillazione invece nel numero di pagine, in media comunque tra le cento e le centocinquanta. La tiratura varia dalle mille alle seicento copie numerate dell’ultimo volume, l’undicesimo, del febbraio/marzo 1980.
I primi due numeri (il secondo è un fascicolo doppio) indicano una proprietà editoriale, le “Edizioni Deambrogi”, condizione che muta ben presto in una pubblicazione stampata e distribuita in proprio dai collaboratori. Direttore unico risulta essere da principio il poeta De Angelis che apre agli avventori ogni lunedì, per tre anni, la mansarda di via Rosales 9, sede della nuova pubblicazione e ben presto fertile luogo di scambio e di incontro tra persone non necessariamente legate al nucleo originario della rivista.
Il comitato di redazione, sebbene ne facessero parte, come indicato genericamente, «gli autori dei testi», era di fatto composto da Emi Rabuffetti, Antonio Mungai, Ivano Fermini, Alberto Schieppati, Giancarlo Pontiggia, Cesare Lievi, Marta Bertamini e Roberto Mussapi. Con il n. 4 direttore unico non è più De Angelis (sebbene terrà di fatto questo ruolo fino al marzo 1979), sostituito da una generica redazione almeno fino al sesto numero del settembre 1978. I fascicoli 7 e 8, senza editore e senza direttore, si segnalano redazionalmente presso Antonio Mungai ed Emi Rabuffetti. Con il n. 9/10, doppio, la rivista torna ad essere trimestrale, senza un editore preciso. La sede della redazione cambia nuovamente, ora presso Alberto Schieppati ed Emi Rabuffetti; per la prima volta il nome di De Angelis non appare tra i membri del comitato di redazione.
L’ultimo numero, del febbraio-marzo 1980, mantiene le medesime indicazioni, salvo tornare a segnalarsi come quadrimestrale e indicare quale direttore responsabile lo stesso Schieppati.
Già con il secondo numero doppio (n. 2/3, 1977), dedicato a Hölderlin, «Niebo» passa da quadrimestrale a trimestrale, almeno fino al maggio 1978 (n. 5) per poi assumere una periodicità più discontinua, e non più dichiarata, dovuta anche ai fascicoli doppi. Allo stesso tempo si coglie alla fine del primo anno l’esplicita volontà di perseguire una programmazione più precisa nei contenuti e tendenzialmente volta a proporre sia teoricamente, con recensioni e saggi anche in traduzione (ad esempio Blanchot su Hölderlin), sia esemplarmente, la linea poetica condivisa dal gruppo, con fascicoli spesso dedicati interamente a quegli autori che dovevano creare una sorta di costellazione ideale della poesia, punto di riferimento e guida per i poeti contemporanei. Si legge sulla terza di copertina del secondo fascicolo datato 1977:
«Dopo questo numero doppio dedicato a Hölderlin, anche i prossimi numeri di Niebo saranno monografici (nella loro parte teorica) e usciranno nel seguente ordine:
n. 4 Lucrezio
n. 5 Yves Bonnefoy
n. 6-7 Gérard de Nerval
n. 8 George Trakl
n. 9 Bolesław Leśmian»
Alla “parte teorica” di approfondimento dedicata ad un solo autore fanno da contrappunto le pagine destinate alle poesie dei membri della redazione ai quali si affiancano tra gli altri Giuseppe Conte, Angelo Lumelli, Alessandro Ceni. In realtà l’ordine di priorità annunciato sarà rispettato solo in parte e solo per alcuni scrittori, poiché già con il n. 6 l’attenzione cadrà non su Gérard de Nerval, ma sulla “fiaba”, con una ripresa sul n. 8 dedicato ancora in parte a Poesia e fiaba – distinta dalla “favola”, di matrice pedagogica e moralistica –, incarnazione di un mondo visionario e aperto, con lo sguardo teso e incantato sulle cose (Andersen, Rimbaud, Basile, Lesmian). A sorpresa lo scrittore romeno Ion Barbu informa invece di sé l’intero settimo fascicolo.
Del resto l’idea fondante del gruppo non era certo quella di creare una pubblicazione patinata e con una rigida programmazione, ma al contrario di sperimentare un organismo vivo e duttile, aperto alla discussione e alle idee che potevano giungere da origini e letture diverse. Come ha detto De Angelis (http://r.unitn.it/it/lett/circe/dialogo-con-milo-de-angelis), l’«andatura discontinua, il passo sbilanciato erano inevitabili e persino essenziali a una rivista come “Niebo”, così consegnata alla passione poetica e ai suoi vortici, estranea per scelta a ogni sicurezza, compresa quella di trovare i soldi per il numero successivo». E come noto i famosi lunedì erano aperti a tutti coloro che volevano apportare idee nuove, proposte, curiosità da esplorare. Così accade sovente che a un annuncio segua puntuale una smentita, o una nuova scoperta o traduzione: se Trakl e La domanda di Orfeo apriranno il n. 8 del settembre 1979, al contrario la preannunciata triade di poeti tedeschi dovrà rinunciare a Stefan George e Gottfried Benn; mentre la deriva romantica impersonata dall’inglese William Blake, con nuove traduzioni e saggi, lascerà il posto a un forse più doveroso e importante omaggio (prima traduzione italiana) verso quello che era stato fin da principio una sorta di co-fondatore della rivista, il polacco della Duzda w niebiosach, dell’anima nei cieli, Bolesław Leśmian.
«Niebo» nasce in un periodo storico grave di implicazioni sociali e culturali, al tramonto di un decennio teso e drammatico (Aldo Moro verrà assassinato nel 1978), e sembra dare una risposta chiara e coerente a coloro che attendono una nuova ripresa della poesia dopo l’esaurirsi della spinta sperimentale e rivoluzionaria della neoavanguardia. In ogni caso diviene un modello riconosciuto da più parti, non solo in area milanese, come esempio di comunità poetica.
È evidente comunque che la chiarezza e una certa radicalità di pensiero emergono più dalla “pratica della poesia” (anche attraverso la traduzione) che attraverso la teoria (si registrano solo poche occasioni, come i Sei studi sulla letteratura italiana “contemporanea” di De Angelis che anticipano il manifesto poetico), affidata invece non tanto a editoriali o proclami teorici quanto ad una saggistica rivolta ad autori classici antichi e moderni.
La rivista, fin dal testo programmatico a firma della redazione che chiude il primo numero, dal titolo Niebo, pone l’accento sulla necessità di inserirsi in una dimensione europea e sulla ferma volontà di «esaminare alcune linee della poesia europea in cui è più evidente il polo dello “svelamento” (interminabile) rispetto a quello della “fondazione” di un linguaggio poetico: svelamento in cui viene meno la pretesa di dimostrare un tragitto o una serie di tappe e in cui un tempo caotico si mescola al tempo del testo letterario». I richiami sono a Celan, Trakl, Leśmian, Benn, Hölderlin, Bonnefoy ma anche Lucrezio, tutti scrittori legati in qualche modo al mito, alla fiaba o anche ad un certo animismo. Se per Lucrezio tutto precipita nel vortice del tempo che divora ogni cosa, la poesia si può fare potente visione dell’attimo, del frammento a-temporale e a-storico (i poeti di Niebo rifiutano la storicizzazione della poesia), fermare l’istante prima che torni a precipitare; senza dimenticare Maurice Blanchot, la cui traduzione di L’attente, l’oubli, a cura di De Angelis, uscì per i tipi di Guanda nel 1978, influenzando certamente il gruppo di «Niebo» soprattutto per una concezione di un tempo «senza presente», inattuale e immobile, che lasciava penetrare nel tessuto della poesia l’idea del mito (inteso come immutabilità circolare).
Nella nota introduttiva al numero monografico dedicato a Leśmian, Pietro Marchesini così commenta un passo del Trattato sulla poesia [«Le parole seguono le tracce del ritmo conduttore come un filo di Arianna. Dapprima il ritmo, e poi le parole. Seguono le tracce di questo richiamo canoro, che le adesca e le trascina, e le obbliga appunto a disporsi in modo tale da diventare una sorpresa, una rivelazione, un qualcosa di più vivo della vita stessa»]: «Il desiderio di riattingere alle forme prelogiche del pensiero conduce là dove ancora non era avvenuto lo sdoppiamento dell’uomo fra natura e cultura. Quel luogo è il mondo primitivo, con cui è possibile un contatto soltanto attraverso la fiaba, il mito appunto». Questa riflessione sembra incarnare e riassumere il pensiero che sta al fondo della riattualizzazione del mito da parte dei poeti di «Niebo», ma allo stesso tempo, con una certa superficialità, tale pensiero viene presto etichettato dalla critica come recupero di una poesia neo-orfica, neo-estetizzante, neo-ermetica, sigillo che molti poeti, in primis De Angelis, rifiutano apertamente.
La rivista si affaccia appena sul crinale del nuovo decennio, col n. 11 del febbraio-marzo 1980 dedicato emblematicamente a Bolesław Leśmian (a cura di Marta Bertamini ed Emi Rabuffetti). Qui si interrompe all’improvviso. Del resto già da un anno era cambiato il direttivo, passato in mano ad Alberto Schieppati. Un inserto su carta lucida riproduce un profilo di donna, gli occhi chini a terra, circondata di stelle. È la copertina della rivista «Chimera» del 1903, redatta dallo scrittore polacco a Varsavia.