Scarto minimo
Redazione: Mario Benedetti, Stefano Dal Bianco, Fernando Marchiori
Direttore responsabile: Giulio Mozzi
Luogo: Padova
Anno primo: 1986
Mese primo: novembre
Anno ultimo: 1989
Mese ultimo: giugno
Periodicità: semestrale
Fascicoli: 6
 

 

Si ringrazia Stefano Dal Bianco per la preziosa collaborazione al progetto e il prestito dei fascicoli di «Scarto minimo» 

 

Scheda a cura di Claudia Crocco
Indici e immagini a cura di Sergio Scartozzi

«Scarto minimo», "Rivista di poesia contemporanea", viene fondata a Padova nel novembre 1986 da Stefano Dal Bianco, Mario Benedetti e Fernando Marchiori. A questi tre nomi si aggiunge quello di Giulio Mozzi, che diventa direttore responsabile a partire dal numero successivo (1, marzo 1987). 

Dal Bianco, Benedetti e Marchiori rimarranno gli unici redattori per tutti i sei numeri dei quali si compone la rivista, ciclostilata inizialmente in proprio poi affidata a Panda edizioni, Padova (dal n. 1 al n. 4) e nell'ultimo numero a Fonema edizioni, Spinea (VE); a loro si devono anche la maggior parte degli interventi pubblicati, sia poetici (4 Dal Bianco, 4 Benedetti, 3 Marchiori ) sia sulla poesia (4 Dal Bianco, 3 Benedetti, 4 Marchiori). «Scarto minimo» nasce come un progetto culturale coeso, dunque, da parte di tre poeti che si conoscono nelle aule del Dipartimento di Lettere dell’Università di Padova. Lo racconta Stefano Dal Bianco:

A Padova c’era quest’altra rivista che si chiamava (e forse si chiama ancora) «Inverso», con molte persone che si avvicendavano. Io sono entrato in quel gruppo quando avevo ventidue anni, nell’83, e ho contribuito a bloccare il modo un po’ automatico in cui le cose andavano avanti, sostanzialmente per autopubblicare le persone che c’erano dentro. Ho proposto di fare una cosa un po’ più seria, e per qualche tempo si è andati avanti così. Poi, nell’85, si decise che nel numero successivo avrebbe pubblicato solo chi era disposto a scrivere un saggio su un argomento specifico: “Ordinario e straordinario”. Lo facemmo in quattro. Dentro la rivista c’era un cartellino con il mio numero di telefono e l’indirizzo, che chiamava a raccolta chi, nell’area di Padova, poteva essere interessato a seguire le riunioni. Mi ha chiamato Mario Benedetti. Intanto avevo incontrato Fernando Marchiori all’università, e loro due hanno iniziato a venire. Dopo un po’ si è capito che c’era un coinvolgimento da parte di noi tre maggiore degli altri; oppure che altri avevano un coinvolgimento diverso, più sperimentale, come andava molto di moda in quegli anni. […]

Erano ventotto pagine; io avevo venticinque, ventisei anni. Mario Benedetti era più grande, insegnava a scuola, ma aveva l’affitto da pagare. Fernando Marchiori ha la mia età, ma si era laureato prestissimo. Fare una rivista così voleva dire che ogni pagina era una roba in cui stavi mettendo il sangue […] Poi alcune delle riviste degli anni Ottanta avevano dei finanziamenti. Noi no: eravamo piccoli, non avevamo molti contatti, eravamo infinitamente snob. Dovevamo fare direttamente ogni cosa: interagire con le librerie, ad esempio. Ogni numero di «Scarto minimo» era l’ultimo. Eravamo in tre. C’era uno che voleva farla finita ogni tre settimane, uno che voleva fare la rivista a tutti i costi, uno che doveva mediare tra i due: questo ero io, e dovevamo convincere il Benedetti a smetterla di giocare al massacro (Claudia Crocco, La lirica, il silenzio, la nausea del verso. Conversazione con Stefano Dal Bianco, in «404: file not found», 4 marzo 2013).

Fin dal numero 0, è chiaro che «Scarto minimo» nasce innanzitutto come reazione al linguaggio neoavanguardista, del quale, in realtà, condivide alcuni presupposti: «la contraddizione in seno alla scrittura (e alla lingua), il suo essere separata (e noi in virtù di essa) dalla verità» (Corsivo, n. 0).  Nel Manifesto di un classicismo pubblicato sul n.1 Dal Bianco fa una distinzione fra classicismo ed espressionismo, dove quest’ultimo coincide con la parola «esibita», volgare, che si allontana dai significati; mentre il classico coincide con uno straniamento controllato, con una «medietas petrarchesca», con il rifiuto dell'atto linguistico che diventa atto politico in automatico e con una necessaria componente di ironia. La reazione alla Neoavanguardia in un articolo di Mario Benedetti è ancora più esplicita (Quel verso in cui la vita è dilaniata in un sogno e in un giorno chiaro e silenzioso, n. 1, 1987): la consapevolezza della separazione fra linguaggio e verità nella poesia italiana, scrive Benedetti è diventata, in alcuni casi, «una scrittura che manifesta una sorta di astio, di rancore verso il linguaggio, semplicemente perché esso non dice quanto dovrebbe, perché non può farlo». Benedetti cita esplicitamente i giochi fonici dell’Intraverbalismo e i commenti metalinguistici di Sanguineti, ma anche Zanzotto e Pasolini: «Pare che il poeta si imponga il compito di rendere conto di una mancanza, di quella impossibilità, come se si dovesse rendere conto a qualcuno di ciò. Ma non c’è più nessuno, nemmeno l’oggettività dei saperi nella quale alienarci. Siamo, per così dire, soli».

Un punto di riferimento positivo per il gruppo padovano è l’opera di Milo De Angelis (l’allusione di Benedetti alla solitudine, come spiegato in una nota, è una citazione da Somiglianze) e del gruppo di «Niebo». «Niebo», ormai conclusa da qualche anno, può essere considerata l’archetipo di «Scarto minimo». De Angelis, d’altronde, è commentato da Benedetti già nel n.0 (Dinanzi al nulla), quindi pubblica una poesia nel n. 5; Giancarlo Pontiggia pubblica poesie sui numeri 2 e 3; nel n.1 compaiono testi di Nadia Campana. Entrambe le riviste nascono in contrapposizione alla letteratura impegnata degli anni precedenti (ancora Dal Bianco:  «Bisogna immaginare una politicizzazione di massa per un paio di decenni […]. Era facilissimo dire che la rivoluzione si faceva rivoluzionando la lingua, era la cosa più ovvia che ti venisse in mente»), e diventano promotrici di una idea tragica di poesia, nella quale l’interiorità viene messa in gioco. Tuttavia il linguaggio oscuro e i riferimenti al mito - nonché la sacralità sottintesa al gesto poetico che erano stati tipici di «Niebo» - non si trovano negli articoli di «Scarto minimo». Lo confermano anche le scelte di traduzione: su «Niebo» Paul Celan, Gottfried Benn, Friedrich Hölderlin; su «Scarto minimo» Dylan Thomas, Cioran, Marianne Moore, Robert Walser. In entrambi i casi la poesia è una riflessione tragica sull’esistenza, ma su «Scarto minimo» viene meno la componente mistica.

 Per Benedetti, Dal Bianco e Marchiori è importante cercare una strada alla poesia che sia alternativa sia ai post-montaliani, sia alla Neoavanguardia (Materiali di una nuova lirica, n. 3) e che permetta di parlare della Verità e della sua separazione dal linguaggio, ma anche di “farsi capire”.  L’editoriale al terzo numero (Corsivo) si conclude con queste domande: «È possibile dire ancora “io” senza con questo affermare quella soggettività? Una poesia che riconosca la verità di relazioni diverse, che affermi la realtà di quello che sfugge a qualsiasi rappresentazione, vive tragicamente le due impossibilità come la fine della lingua in quanto realtà separata».

Nel fascicolo successivo (4, 1988) compare una Notizia romana a cura di Arnaldo Colasanti: è un’antologia di poeti pubblicati nella collana Novelettere della casa editrice Rotundo, molti dei quali erano stati autori di «Braci», la rivista romana diretta da Claudio Damiani e conclusasi qualche anno prima. I redattori di «Scarto minimo» si avvicinano al gruppo di «Braci» a partire dal numero 2, dove è pubblicato un Omaggio a Beppe Salvia; in seguito le poesie di Silvia Bre compaiono sui numeri 4 e 5, mentre una poesia intitolata Una lettera a scarto minimo e firmata da Marco Lodoli è sulla prima pagina del n. 5. Sia «Braci» sia «Scarto minimo» si presentano come periodici alternativi all’interno della società poetica italiana, che vorrebbero rinnovare. In entrambe circola l’idea che, per cambiare la poesia, sia necessario innanzitutto scommettere sulla forma e sulla tensione etica che questa incarna; per entrambe diventa importante il rapporto con la tradizione. In «Scarto minimo» ciò dà vita a una poetica più definita, soprattutto grazie agli articoli di Dal Bianco.

L’esperienza di «Scarto minimo» si conclude con il sesto fascicolo (n. 5), dove vengono pubblicate le prime poesie di Laura Pugno, che esordirà in volume quasi quindici anni dopo, un omaggio a Ripellino, traduzioni di poeti serbo-croati. L’ultimo Corsivo rivendica il ruolo militante della rivista: l’unica ad essersi ostinata nella ricerca di «qualcosa di importante e le parole per dirlo» in un periodo in cui «sembra davvero impossibile una posizione forte, che faccia davvero riflettere e discutere su questioni fondamentali». La copertina è dedicata a un particolare dell’allestimento della mostra «Zeitgeist» di Georg Baselitz a Berlino del 1982; vi compare il sottotitolo «minimalismo e tragedia»: e sono queste, forse, le chiavi di lettura della rivista. Gli autori di «Scarto minimo» reagiscono quanto i loro coetanei alle correnti letterarie e filosofiche di moda in quegli anni (strutturalismo, heideggerismo, Neoavanguardia, ecc.), ma lo fanno con equilibrio e ironia, senza “alzare la voce” e senza rifugiarsi in un’idea irrazionale e mistica di poesia. Per questo, nonostante abbia lasciato solo pochi numeri, «Scarto minimo» costituisce uno dei progetti culturali più significativi nella poesia italiana degli anni Ottanta.