Alessandro Gassmann e l’anima nera di Riccardo III

Alessandro Gassmann e l’anima nera di Riccardo IIIdi Sara Bellebuono

Riccardo III diretto ed interpretato da Alessandro Gassmann spiazza il pubblico. Nonostante infatti il protagonista sia uno dei personaggi più malvagi della letteratura, si arriva addirittura a commuoversi di fronte alla sua morte. Quando pensiamo al Riccardo III shakespeariano abbiamo in mente un uomo piccolo, gobbo e dall’aspetto sgradevole. Il Riccardo di Gassmann è un’altra cosa, sia dal punto di vista fisico, sia interpretativo.

È un gigante rispetto agli altri attori e alla scena, “così abnorme, così deforme” come si autodefinisce nel primo atto, con il volto esangue (come tutto il resto del cast), e che spesso sorride al pubblico ricordando Joker. Riccardo è diverso dal resto del mondo che lo circonda e Gassmann ne ha evidenziato la diversità soprattutto nella camminata e nel braccio paralizzato, che egli stesso definisce “come un ramo colpito da un fulmine, avvizzito, rinsecchito”. I suoi gesti, i suoi scatti meccanici, il suo sguardo capace di trafiggere anche lo spettatore lo fanno assomigliare ad un automa privo di sentimenti. La sua cattiveria spietata e sanguinaria non lo ferma davanti a nessuno, nemmeno di fronte ai due figli di Edoardo che fa massacrare senza pietà. Riccardo è anche molto abile a mascherare le sue vere intenzioni, come quando davanti al sindaco fa credere di aver dovuto uccidere Rivers perché rivelatosi un traditore che tramava alle sue spalle. Ci sono però due momenti in cui questo crudele personaggio sembra assumere le sembianze di un essere umano. Il primo durante la scena con sua madre, la duchessa di York (Paila Pavese), che, inorridita dalle azioni di Riccardo lo maledice. Ma l’odio tra i due è un sentimento innaturale: ciò si evince anche dal tono di voce di Riccardo che cambia, diventa più pacato ed esprime il dolore del rifiuto. Il secondo momento in cui viene a galla la sua coscienza, sempre collegato a questa sua angoscia, è la celebre scena del suo risveglio dopo le apparizioni degli spiriti. Particolarmente espressiva di tale stato d’animo è la frase: “Spergiuro, assassino, colpevole, colpevole mille volte colpevole, nessuno al mondo che mi ami”. Gli incubi, però, non frenano la sua folle ascesa al potere.

Lo spettacolo è concepito come una commistione tra cinema e teatro, con un’atmosfera dark-gotica chiaramente ispirata a Tim Burton. La scenografia è infatti molto cupa, e l’utilizzo delle proiezioni durante la performance crea effetti speciali impressionanti, che sembrano trasportare lo spettatore in un film fantasy, come quando una schiera di soldati sembra realmente entrare sul palco, oppure quando a Riccardo appaiono gli spettri di coloro che ha ucciso. Grazie all’uso di questi effetti speciali, quasi alla Tarantino, lo spettatore è messo di fronte alla crudezza delle azioni di Riccardo, come nella prima scena in cui lo vediamo Riccardo sfondare con un piede il cranio del cadavere di Edoardo, coperto da un telo. Oppure nella scena dell’omicidio di Hastings, in cui la sua testa mozzata viene esposta ai presenti e presa a calci da Riccardo e da Tyrrel.

Anche il linguaggio è stato adattato alla stile dello spettacolo. Gassmann, in collaborazione con il drammaturgo Vitaliano Trevisan, ha preferito una struttura lessicale diretta, priva di parole troppo auliche, affinché l’opera potesse essere immediata e comprensibile ad un pubblico di tutte le età. Il testo rimane fedele all’originale shakespeariano, nonostante alcuni riadattamenti davvero originali. Tra tutti l’esempio di Tyrrel (Manrico Gammarota), la mano omicida di Riccardo, che con la sua voce forte e decisa è uno dei personaggi più interessanti. Nel dramma shakespeariano si tratta di un personaggio secondario al quale sono assegnate poche battute. In questo spettacolo egli è invece complice di Riccardo, quasi un suo alter ego che agisce, ma che allo stesso tempo combatte contro la sua coscienza e rende partecipe gli spettatori del suo conflitto interiore. Tyrrel e Riccardo, infatti, sono gli unici personaggi che si rivolgono direttamente al pubblico nell'esposizione dei propri pensieri. Molto particolare anche il personaggio di Lady Anne (Sabrina Knaflitz), piena di rabbia e di disprezzo prima del corteggiamento di Riccardo, ma che dopo aver accettato di diventare sua moglie diventa succube della crudeltà dell’uomo. La vediamo infatti affogare nell’alcol, invasa da un’aria di perdizione e di rimorso.

Di notevole interesse anche il personaggio di Buckingham (Sergio Meogrossi), che condivide con Riccardo la sete di potere e lo appoggia nelle sue terribili scelte. La sua smania però non lo condurrà verso la vittoria: Riccardo non risparmia nemmeno colui che considera suo alleato. È significativa la scena in cui il protagonista gli chiede un parere sull’uccisione dei due figli di Edoardo. Di fronte a questa domanda Buckingham esita, come scisso tra la propria coscienza e il mondo della perdizione in cui è sprofondato Riccardo. Un aspetto originale che avvicina notevolmente questo spettacolo alla pratica attorica delle compagnie elisabettiane è l’assegnazione di più parti (anche femminili) ad alcuni attori. Mauro Marino ad esempio interpreta Edoardo, Stanley la regina Margherita, Giacomo Rosselli Rivers e Catesby, Mario Cavicchioli Clarence e Hastings.

Lo spettacolo è concepito come un climax di emozioni che suscitano l’attenzione del pubblico. La parte finale in particolare è molto intensa: Riccardo affronta Richmond (Emanuele Maria Basso) con la sua spada, ma viene ferito da un colpo mortale del fucile del suo nemico. Riccardo si accascia e attraverso una proiezione vediamo la sua agonia. Tyrrell, mosso forse dalla pietà o dal legame quasi filiale con Riccardo, si prende cura del suo cadavere lucidandogli le scarpe come per dargli un estremo saluto. Molto suggestivo l’ultimo discorso di Richmond (“il fratello ha versato ciecamente il sangue del fratello”) che viene accompagnato da uno dei capolavori del gruppo musicale Dire Straits Brothers in Arms che, con il suo ritmo malinconico si riallaccia alla perfezione al discorso di Richmond e non si discosta dall’atmosfera dello spettacolo. Se l’intento di Gassmann era quello di coinvolgere, ammaliare, stupire il pubblico direi che ha fatto centro. Il punto di forza dello spettacolo è senza dubbio l’aver trovato uno stile molto conosciuto e apprezzato soprattutto dai giovani, e aver reso quindi affascinante un testo spesso considerato ostico.