Ave María, viva María. L’atto d’amore di Julia Varley

Ave María, viva María. L’atto d’amore di Julia Varleydi Enrico Piergiacomi

Visto al Teatro SanbàPolis di Trento, all’interno del progetto Wanderlust organizzato dal Centro Teatro di Trento
Interpretazione: Julia Varley
Regia: Eugenio Barba
Assistente alla regia: Pierangelo Pompa
Testo: Odin Teatret e citazioni da Gonzalo Rojas e Pablo Neruda

Nel suo libro Pietre d’acqua. Taccuino di un’attrice dell’Odin Teatret (Milano, Ubulibri, 2006), Julia Varley confessa di nutrire il desiderio di «realizzare un sogno paradossale: una storia nella quale persone anonime abbiano un viso e una voce» (p. 14). La sua volontà è, in un certo senso, quella di dare vita a un morto. Una figura che non ha un volto, infatti, permane solo attraverso quanto ha lasciato, o nei ricordi che amici e amanti sopravvissuti gli rivolgono costantemente.

Lo spettacolo Ave María della Varley risponde forse a questo desiderio di concretizzare il suo “sogno paradossale”. Tutto il lavoro è un atto di omaggio e di amore all’attrice cilena María Cànepa, a cui Varley dedicò già un commosso memoriale sempre all’interno di Pietre d’acqua (pp. 198-199), e al tempo stesso una riflessione trans-individuale sulla morte. In altri termini, è contemporaneamente un ricordo che dà di nuovo viso-voce a una donna dimenticata da molti e un rito che esorcizza, seppure solo nello spazio di una sera, la paura di morire degli spettatori convenuti.
“Rito” può sembrare a prima vista una parola pomposa e incongrua per descrivere questo spettacolo. Essa porta con sé un alone di seriosità, che invece manca nella dimensione leggera di Ave María. Lo spettacolo della Varley si giova, del resto, anche della presenza del personaggio di Mr. Peanut, l’alto e goffo scheletro sui trampoli, che interpreta il personaggio della morte prendendola, però, in giro (per una breve storia di questo personaggio, cfr. ancora Pietre d’acqua, pp. 114 e 123-125), dunque introduce il comico. La comicità si manifesta, anzi, sin dall’inizio della messa in scena. Varley e Mr. Peanut rappresentano la morte, infatti, mentre si rilassa nella sua stanza leggendo The Killing Times e si dedica alle faccende domestiche.
L’apparente incongruenza viene tuttavia meno ricordando che uno dei principi fondamentali che guida l’attività dell’Odin Teatret o del “terzo teatro” consiste nell’arte del contrasto e dell’extra-quotidiano, in cui gli opposti della vita umana si abbracciano fino a confondersi. Eugenio Barba ha condensato bene questo pensiero ne La canoa di carta. Trattato di antropologia teatrale (Bologna, Il Mulino, 1993, po. 13-14, 44, 205), dove si mostra come uno stesso soggetto possa manifestare contemporaneamente due qualità in opposizione e come una delle due si imponga sulla rivale non in sé, bensì a seconda della angolazione da cui si guarda. La nonna di Barba era ad esempio sia giovane sia vecchia, poiché appariva ora l’una ora l’altra cosa, a seconda di come lo sguardo su posasse su di lei. Allo stesso modo, la morte protagonista di Ave María appare sì una comica padrona di casa, ma al tempo stesso una figura tragica. In base al punto di vista, essa può destare ilarità o terrore.
Nel momento in cui Varley rappresenta la morte che posa per caso gli occhi cavi sulla foto di María Cànepa, infatti, lo scenario cambia. Scopriamo, ad esempio, che la morte strappò anzitempo la vita dell’attrice perché si era invaghita della bellezza di lei, o che la morte fu fatta prigioniera da alcuni ignoti esseri umani e torturata per scoprire per quale ragione portasse distruzione nel mondo, senza tuttavia avere successo. Essa ripresenta, dunque, dei caratteri inquietanti che il rito teatrale deve momentaneamente scacciare. La morte è la sola cosa immortale in tutto l’universo, ma il teatro può sospenderne l’azione almeno nello spazio di una sera.
Ma cosa evoca questo rito? Nient’altro che le memorie sulla vita di María Cànepa, riportate in vita dalle azioni fisiche della Varley. Queste fanno peraltro da commento o entrano in dialogo con la voce registrata dell’attrice cilena, che riferisce alcune sue idee sul teatro e sulla vita.
Il rito del teatro si compone, dunque, di piccole cose, ma sufficienti a sedurre e commuovere di nuovo la morte, che per un momento restituisce il volto e la voce di María al regno dei vivi. Il suo “sogno paradossale” si è in tal modo compiuto.