Cassandra e i suoi doppi, secondo Laura Angiulli

Cassandra e i suoi doppi, secondo Laura Angiullidi Enrico Piergiacomi

Drammaturgia e regia Laura Angiulli
Contributi al testo Enzo Moscato
Con Alessandra D'Elia, Caterina Spadaro
Interpretazione in canto Caterina Pontrandolfo
Musiche originali Enrico Cocco
Installazione per la scena Nadia Magnacca Luci/Light
Design Cesare Accetta
Produzione Il Teatro Coop. Galleria Toledo

Cassandra fu una donna al contempo benedetta e maledetta da un dono divino: dalla capacità di conoscere il futuro, ma di non poterlo mutare, né comunicare ad altri. Generazioni di poeti antichi e contemporanei sono state suggestionate da questa personalità, usandola spesso per capire in che modo l’essere umano debba accettare e conformarsi al suo destino.

Nella sua originale versione del mito per il teatro, Laura Angiulli (regista, drammaturga e direttrice artistica del Teatro Stabile d’Innovazione Il Teatro/GALLERIA TOLEDO di Napoli) non si allontana da questa tradizione poetica. Cassandra è per lei – come già per alcune delle fonti a cui attinge per costruire il suo spettacolo (Omero, Eschilo, Licofrone) – una donna che, non potendo salvare Troia e se stessa dal destino di distruzione / di morte, lo esorcizza raccontandolo. Per citare le parole stesse del testo, Cassandra ripercorre la «storia della mia paura», ossia le esperienze inumane della guerra che a suo tempo attraversò con terrore, ma che oggi può ricordare ora con calmo distacco, ora spinta da un furore che genera toccanti slanci di lirismo, ora con segreto e malsano piacere.
La scena è bianca e spoglia di oggetti, dunque dominata esclusivamente dalla figura di Cassandra e dal racconto delle sue sventure. Il dato interessante che fa dello spettacolo di Angiulli un lavoro denso e toccante risiede, tuttavia, nella scelta di moltiplicare il personaggio in più “doppi”. La Cassandra messa in scena non è una, ma trina: a tre attrici (Alessandra D’Elia, Caterina Spadaro, Caterina Pontrandolfo) è perciò demandato il compito di dare voce alla memoria di un’unica donna. Perché per raccontare il disastro inevitabile della guerra troiana, che portò innumerevoli donne e uomini a farsi «gigantesco, colossale grumo» di carne macellata, non basta una voce sola, sia pure essa limpida e forte. Occorre una pluralità di voci, un coro, che del conflitto coglie diverse (forse anche contraddittorie) sfumature.
Dalla triplicazione di Cassandra derivano, infatti, tre modi differenti di narrare l’olocausto troiano. Alessandra D’Elia rappresenta il doppio di Cassandra più viscerale ed emotivo, poiché racconta i fatti “rivivendoli” direttamente sul suo corpo, durante il furore profetico. Esso (il corpo?) non profetizza, ad esempio, l’uccisione di Ettore da parte di «Achille la bestia» in maniera neutra: è Ettore che viene ucciso da Achille («Fui Ettore. […] Fui io, viva, ciò che divenne Ettore morto: un mucchio di carne appena macellata »). Caterina Spadaro è invece la Cassandra più lucida della triade, colei che commenta gli eccidi di Troia sotto l’aspetto morale e intellettuale. Non a caso, è la voce che implora più spesso pietà e giustizia a favore delle vittime della guerra. E infine Caterina Pontrandolfo costituisce il doppio dell’eroina che canta, ovvero non racconta Troia col linguaggio articolato, ma esprime il dolore e l’agonia degli uomini e delle donne troiane attraverso la pura passione. Tutte insieme, le tre attrici non esauriscono la personalità tormentata e labirintica di Cassandra, che in corpore vili conferma la verità di un verso giustamente assai famoso di Eugenio Montale: «occorrono troppe vite per farne una» (L’estate, v. 15).
Non c’è consolazione nel dramma di Angiulli. La gola privilegiata di Cassandra non scampa al massacro, né trova una salvezza particolare grazie al suo racconto. Se anche il suo narrare poetico attua una sorta di catarsi, si tratta di una catarsi che coincide con una dissoluzione di sé: una «catartica occasione di ridursi alla nuda virtualità degli elementi, “tutte le possibilità perverse dello spirito”».