"Dame la mano". Un bel tradimento di Genet

Dame la mano 
testi liberamente tratti da Le Serve di J. Genet, le poesie di Chandra Livia Candani, Marina Cvetaeva, Gabriela Mistral, Wisława Szymborska

Atto Unico

Regia: Cora Herrendorf
Attrici:  Natasha Czertok, Martina Pagliucoli
Disegno luci: Franco Campioni
Produzione: Teatro Nucleo
Foto di scena : Daniele Mantovani, Loredana Stendardo
Sartoria : Ivonne Mancinelli
Realizzazione sedie : Elia Veneziani

Visto presso il Teatro Nucleo di Pontelagoscuro (Ferrara)

di Enrico Piergiacomi.

Per poter parlare adeguatamente di Dame la mano di Teatro Nucleo, libera riscrittura de Le serve di Genet, occorre fare un’operazione che di norma è fortemente sconsigliata: cominciare dalla fine dello spettacolo. Qui, infatti, si legge la scelta estetica della regista Cora Herrendorf che più diverge dall’originale francese. Sia nel testo di Genet che in Dame la mano, la vicenda si conclude con le due serve Claire e Solange che, dopo aver intrattenuto per lungo tempo una relazione di conflitto e di competizione, il cui premio consisteva nell’attirare le attenzioni della Madame loro padrona, si riconciliano in qualità di due amate sorelle. Tuttavia, originale e riscrittura si distinguono per il modo in cui questa riconciliazione viene raggiunta. Genet lo rappresenta sotto il segno della violenza. Le due serve tentano di liberarsi dalla loro condizione di schiavitù e di riconciliarsi uccidendo Madame, e fallito questo obiettivo Claire si dà la morte, chiedendo a Solange di portarla dentro di sé per il resto della vita («Rimarrai sola per assumerti le nostre due esistenze. […] Preziosamente. Saremo belle, libere e gaie»). Di contro, Dame la mano evita sia l’omicidio che il suicidio e mostra le due donne che si riconciliano dandosi la mano, come recita il primo verso dell'omonima canzone di Gabriela Mistral, per poi cantare e danzare malinconicamente.
In questo gesto finale, si può leggere retrospettivamente il senso di un percorso drammaturgico che, partendo dalla fedeltà verso Genet, arriva a un “tradimento per amore” dell’artista francese. Non era necessario – ci suggerisce Herrendorf – che la schiavitù delle due serve trovasse un termine con la morte di qualcuno, che peraltro non fa altro che condurre dal vecchio a un nuovo carcere. (Genet chiude, del resto, la sua opera mostrando Solange che «fronte al pubblico, rimane immobile, i polsi incrociati come se avesse le manette»). Le mani delle serve di Genet che bramano la liberazione tramite il sangue diventano gentili nella riscrittura di Herrendorf, dal momento che aspirano alla libertà attraverso la danza e il canto.
Una possibile parola chiave che può dunque essere usata per descrivere il clima che Dame la mano evoca è “rarefazione”. Il dramma di Genet resta sullo sfondo, ma viene spogliato di tutta la dimensione masochistica e morbosa. La stessa Madame che nell’originale francese fa alla fine irruzione sulla scena e che le due serve cercano (invano) di avvelenare è qui del tutto invisibile: simbolo di un potere che violenta in modo più subdolo e discreto, ossia senza avere la necessità di manifestarsi direttamente. E infine, i dialoghi delle due serve che nell’originale di Genet si distinguono per la loro nettezza, crudeltà, artificio, in Dame la mano sono sostituiti dai versi asciutti ed essenziali di alcune poetesse – oltre alla già menzionata Gabriela Mistral, vengono recitate le poesie di Chandra Livia Candani, Marina Cvetaeva, Wisława Szymborska. Le due sorelle sostituiscono a poco a poco i loro battibecchi violenti, che le intrappolano nella dimensione del conflitto, con voci poetiche che invitano al perdono, alla discrezione, alla tenerezza. Vale la pena ricordare che anche questa costituisce un originale “tradimento per amore" di Genet. Se infatti quest'ultimo consigliava, nelle sua nota introduttiva Come recitare «Le serve», di pronunciare le battute poetiche del testo «come il risultato d’un’operazione aritmetica», quindi di recitarli «un po’ più freddamente del resto», Dame la mano restaura alle parole della poesia il loro calore, riscaldando sia il cuore freddo di Claire e Solange, sia l'animo degli spettatori.
Certo, figura all’inizio dello spettacolo di Dame la mano una nota di grottesco. Le due serve allestiscono, come nell’originale di Genet, un ricorrente “teatrino” interno. Nascoste dallo sguardo di Madame, esse rappresentano la morte tanto agognata della loro padrona, caricando la loro recitazione di smorfie e artificio. Si tratta, però, per l’appunto, solo di un momento introduttivo, di un attimo di “teatro nel teatro” che deve fare da preludio al rituale di pacificazione e riconciliazione che le due serve realizzano con i versi delle poetesse, con la danza e con il canto. Del resto, non si può mettere in scena la cancellazione della violenza, se prima non la si rappresenta. Ciò è anche quello che, purtroppo, accade nella vita. Non ci sarebbe bisogno di criticare la violenza e di invitare alla pace, se la prima non fosse in posizione di dominio e la seconda non fosse tristemente assente.
Nelle intenzioni di Herrendorf, Dame la mano sarebbe infine uno scavo nella dimensione femminile e una denuncia nella violenza contro le donne, che viene esercitata da un potere/Madame impercettibile, eppure sempre presente. Pur condivisibile nel suo spirito, mi pare che questa sia una componente ideologica che mette un po’ in sottotono la dimensione poetica dello spettacolo. Dame la mano è qualcosa di più di una denuncia della società e del potere sopraffattore: è un bellissimo quadro lirico sull’importanza della poesia nella vita. Il fatto che poi questo lirismo abbia anche le sue ripercussioni sociali o antropologiche, è in fondo un qualcosa di accidentale.