Drammaturgia del corpo umano. Su "Anatomia" di Simona Bertozzi

Anatomia

Coreografia e danza Simona Bertozzi
Musiche e live electronics Francesco Giomi
Visione teorico-compositiva Enrico Pitozzi
Progetto luci e set spazio Antonio Rinaldi
Produzione Compagnia Simona Bertozzi / Nexus 2016
In collaborazione con Tempo Reale
Con il contributo di Mibact e Regione Emilia Romagna
Residenze creative Teatro Rasi Ravenna
Con il sostegno di H(ABITA)T – Rete di Spazi per la Danza/Mousiké

di Enrico Piergiacomi

 

È intuizione condivisa che la danzatrice sia una figura eterea e aggraziata, che con le sue partiture coreografiche si libra con leggerezza nello spazio del palcoscenico. Anatomia di Simona Bertozzi sfida questo luogo comune, seppure non con l’intento di demolirlo del tutto, perché coglie pur sempre qualcosa di vero sulla danza, bensì di correggerlo. La danzatrice non è fatta solo di leggerezza e grazia, dunque non è una pura creatura di sogno. È anche (o soprattutto) un’artista che lotta con lo spazio e con il tempo, cercando di rendere vivi ed “elettrici” tutti i suoi arti, sottraendoli così agli automatismi e alla pigrizia a cui i corpi degli individui ordinari sono invece relegati. (Quanti di noi hanno piena consapevolezza dell’elasticità delle giunture, della porosità delle ossa, della vivacità dei tendini? Quante grandi possibilità inespresse ci sono in molti dei nostri passi azzoppati e dei nostri fiacchi abbracci?). Al pari del pugile Muhammad Ali, a cui la Bertozzi rende omaggio in un suo recente scritto, la danzatrice è sia fragile come la farfalla, sia pericolosa come l’ape: si muove leggera nell’aria per far tremare di paura lo spazio e il tempo col suo gesto-pungiglione.
Ma quale lotta diventa oggetto di riflessione estetica in Anatomia? La risposta più ovvia che si può dare è che questo lavoro entra in dialogo-conflitto con le musiche di Francesco Giorni. Bertozzi si propone infatti di trovare una soluzione dialettica tra due compiti tra loro molto diversi, diciamo anzi contraddittori: il rispetto fedele della partitura di movimenti già definita in partenza per essere attraversata in un’ora di spettacolo e la creazione sul momento di gesti coreografici inediti. In questo senso, la danzatrice deve lottare per evitare due pericolosi estremi. Il primo è la ripetizione meccanica e inerte della partitura di movimenti, il secondo consiste nell’abbandono al caso e all’arbitrio dell’improvvisazione scadente, che può magari produrre qualcosa di interessante, ma non di artistico. Il dialogo con la musica di Francesco Giorni è insomma un tentativo di modificare i movimenti già dati seguendo le suggestioni sonore, che diventeranno allora probabilmente sempre diverse da replica a replica.
C’è però una seconda lotta, più segreta e originale, forse essenziale. Qui la Bertozzi rischia letteralmente il precipizio – e ne è del tutto consapevole. A un secondo livello di lettura Anatomia è anche un acronimo che suggerisce allo spettatore che la composizione vuole essere un’esplorazione del corpo umano, più nello specifico di alcune parti del cuore, del cervello e delle cellule che sono invisibili all’occhio, restando tuttavia essenziali per la vita e il movimento. Così recita del resto il testo dello spettacolo, a cui faccio seguire una breve definizione delle sezioni anatomiche:

Auricola – Prolungamento cavo di un atrio del cuore;
Nucleo ambiguo – Nucleo dorsale del nervo vago, dal quale traggono origine il nervo spinale e le fibre motrici del nervo glossofaringeo / del vago;
Assone – Conduttore degli impulsi centrifughi del corpo cellulare;
Tendine – Fibra che lega i muscoli alle ossa;
Ora serrata – Giunzione tra la retina e il corpo cigliato dell’occhio;
Mirabile –  Rete di capillari sanguigni tra i tronchi arteriosi o venosi;
Ipoderma – Tela sottocutanea più profonda del derma;
Anatomia.

Uno spettatore superficiale potrebbe considerare il testo di questo elenco come un’espressione di inutile intellettualismo della danza, la quale dovrebbe essere più viscerale e meno mentale. Uno più clemente direbbe che si tratta di un mero abbellimento, di sicuro suggestivo e tuttavia estraneo alla concreta messa in scena coreografica. In realtà, l’elenco non è altro che un coerente piano di lavoro, che dà senso e ricchezza al lavoro della Bertozzi. Posto infatti che queste parti del corpo esistono e sono essenziali per la vita biologica degli individui, si pone un problema: come rendere visibili queste parti invisibili e i relativi movimenti? Noi in genere vediamo ad esempio solo gli occhi del nostro innamorato o della nostra innamorata. Ma come vedere l’ora serrata, senza la quale l’atto del vedere stesso diventerebbe impossibile? Del resto, in assenza di questa giuntura, la retina si sfalderebbe e l’occhio morrebbe, venendo invaso dal buio della cecità. La lotta più segreta, originale e forse essenziale di Bertozzi sta dunque in questo: nel danzare i moti delle auricole, dei nuclei ambigui, e via dicendo, che di norma sono noti ai soli medici o anatomisti.
Si diceva anche che, con questa esplorazione anatomica, la danzatrice rischia letteralmente il precipizio. Questa frase astratta e vaga intende suggerire che Bertozzi ha intrapreso un percorso artistico che, partendo dal biologico che di per sé desta l’interesse di biologi e fisici, sfocia in una questione fondamentale che interessa tutti. In alcuni nomi dell’acronimo si nasconde, infatti, un’autentica drammaturgia. Per fare due esempi, “ora serrata” potrebbe benissimo essere un’espressione che esprime il ritmo di una tragedia, all’interno della quale i personaggi passano in poco tempo dalla buona sorte alla catastrofe. “Nucleo ambiguo” potrebbe invece definire il gesto di un attore, come l’atto di baciare qualcuno. Leggibile nella sua semplicità, esso è tuttavia spesso ricco di implicazioni sinistre e, appunto, ambigue, poiché si può dare un bacio per le più diverse motivazione, dall’amore genuino alla menzogna (si pensi al classico esempio del bacio di Giuda). La questione fondamentale che viene in tal modo evocata da Anatomia è quella della differenza tra arte e natura. Se dopo tutto la nostra anatomia contiene una drammaturgia, esiste davvero una differenza tra il naturale e l’artistico? Lo spazio del biologico e quello del teatro o della danza potrebbero allora essere identici. E tale agnizione distrugge una delle nostre più rassicuranti certezze, gettandoci allora nell’inquietudine e nel mistero.
Il confine stesso tra corpo e spirito, drammaturgia e vita, biologico ed estetico si mostra con Anatomia talmente labile da risultare insensato. Di fronte alla manifestazione dei moti invisibili delle parti più sottili dell’anatomia umana, con le sue segrete drammaturgie, che una danzatrice come Bertozzi riesce a rendere per un attimo evidenti, diventano parziali tanto la visione di Aristotele, che vuole che l’arte imiti la natura, quanto il suo rovesciamento in Wilde, che sosteneva che è la natura che imita l’arte. Non si capisce, in fondo, dove cominci la natura e quando finisca l’arte, e viceversa, tanto che forse la conclusione più razionale sarebbe quella di concludere che il corpo umano sia un abisso: incolmabile, implacabile, incomprensibile.