"Farmageddon", o il nuovo malato immaginario

Farmageddon - L’ultimo uomo sano sulla terra
una produzione di Emergency Ong onlus
promosso dalla Fondazione Franco Demarchi
interprete Mario Spallino
testo e regia Patrizia Pasqui
supervisione scientifica Roberto Satolli
Visto il 1 giugno 2017 nell’Aula Magna della Fondazione Franco Demarchi di Trento, all’interno del Festival dell’Economia 2017 di Trento

di Enrico Piergiacomi

Il teatro si confronta tradizionalmente con la medicina, a volte criticandone gli intenti e parodiandone il linguaggio. L’esempio più ovvio che viene in mente in tal senso è Il malato immaginario di Moliere, dove l’artista attacca sia i medici cialtroni che si approfittano di un ipocondriaco, sia l’ipocondriaco stesso, che convincendosi di essere affetto delle più variegate malattie trascura il benessere suo e dei suoi familiari. Lo spettacolo Farmageddon – L’ultimo uomo sano sulla terra di Patrizia Pasqui si situa in questa tradizione, aprendo in più degli scenari preoccupanti sul nostro presente.

La struttura del lavoro è semplice. Si tratta del monologo di un attore (Mario Spallino), che intende sensibilizzare gli spettatori al tema della disuguaglianza nel trattamento della salute e nella logica di profitto che la crea / la sorregge. Impersonando il punto di vista di più personaggi, in particolare quello del presentatore televisivo del programma Salute a tutti!, teso a lanciare sul mercato un prodotto inutile per curare una malattia immaginaria, egli documenta come il sistema sanitario mondiale sia afflitto da un duplice male. Da un lato, Spallino denuncia come cliniche e case farmaceutiche private inventino spesso appunto dei falsi malanni con le relative cure, al solo scopo di accumulare denaro. Dall’altro, sottolinea come questo bisogno indotto non è innocuo, poiché ha delle serie ripercussioni su chi non ha nemmeno accesso alle cure primarie. La destinazione delle risorse sui privati senza scrupoli determina, infatti, la negazione del diritto alla salute alle persone delle nazioni povere, in cui non è garantito un servizio sanitario gratuito pubblico. Si determina, così, un paradosso. Chi è ricco può procurarsi terapie e medicine superflue, chi è povero non può permettersi nemmeno di curarsi da un’appendicite.
Tutti questi elementi sono veicolati da Spallino anche attraverso il dialogo sulla scena con il prof. Roberto Satolli, supervisore scientifico dello spettacolo. La trasmissione televisiva viene infatti interrotta periodicamente dall’apparizione sullo schermo del professore, che con alcune slides chiare e precise fornisce dati sulla malasanità attuale e i danni sociali che arreca.
L’intento dello spettacolo non è semplicisticamente distruttivo. In altre parole, non vuole arrivare a dire che ogni ente sanitario privato mira esclusivamente al denaro, presentando il messaggio che “il pubblico va bene, il privato fa male”, o che tutte le malattie sono state inventate per profitto, scadendo così in scenari complottistici e in un senso di diffidenza verso le istituzioni, che oggi si esprime soprattutto nella polemica verso i vaccini. Il cuore del discorso è semmai che le forze economiche che oggi ci governano stanno creando un nuovo malato immaginario. Esso è il portatore sano e inconsapevole del «virus della disuguaglianza», della disparità di trattamento tra uomini/donne dei paesi ricchi e uomini/donne dei paesi poveri. La malattia immaginaria deve pertanto essere cancellata, con azioni educative e civili ad hoc che intervengano sulla perversa economia attuale, affinché sia contemporaneamente eliminato l’unico male autentico che ci affligge: l’assenza del diritto ai malati reali di poter recuperare la salute.
L’intento morale è, dunque, assolutamente encomiabile e il lavoro raggiunge il suo intento alla perfezione. Il vero limite dello spettacolo è l’aspetto artistico, che è pensato come un puro mezzo e non come un fine. L’attore Mario Spallino non comunica con la sua recitazione altro che concetti, limitandosi pertanto a una resa tecnica del testo e dei suoi personaggi, seppur molto efficace. Non mancano certo momenti dotati di vita, come quando egli assume il punto di vista degli uomini / delle donne dei paesi poveri uccisi dalla mala sanità, che domandano dall’oltretomba giustizia e uguaglianza. Ma anche questi sono al servizio dell’idea centrale e acquistano, pertanto, un peso didattico più che poetico.
Ciò non va necessariamente interpretato come un difetto o una mancanza. Da alcuni spettacoli ci si può aspettare poesia e squarci immaginativi, da altri consapevolezza civile e un pensiero informato sui mali della nostra epoca. Farmageddon rientra, con tutti i meriti e i limiti del caso, nella seconda categoria.