The history boys

di Valentina Dorigotti

The history boys, uno spettacolo esilarante, avvincente, con la giusta dosa di umorismo e riflessione che, nonostante le oltre 3 ore di spettacolo, riesce a mantenere viva l’attenzione degli spettatori. Una sala gremita ha accolto favorevolmente lo spettacolo andato in scena nella serata di venerdì 5 aprile all’Auditorium S. Chiara. Molte le scolaresche che hanno apprezzato il taglio ironico della pièces. Certo non meno interessati e colpiti dal carattere dirompente dei personaggi gli altri presenti. Da premiare, a mio avviso, tanto le qualità attoriali della compagnia quanto le capacità canore degli attori che, in più di un momento, hanno intonato canzoni che hanno reso l’andamento dello spettacolo vario e piacevole, senza mai far perdere di vista il tema principale.

Sul palco, infatti, un gruppo ben assortito di attori, dai più “collaudati”, tra cui spicca l’anticonformista ed eccentrico professore di inglese Hector (interpretato da Elio De Capitani, anche regista dello spettacolo insieme a Ferdinando Bruni), ai più giovani ma certo non sprovveduti. Scripps, Rudge, Dakin, Lockwood, Timms, Crowther, Akthar e Posner (interpretati da Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Angelo Di Genio, Loris Fabiani, Andrea Germani, Andrea Macchi, Alessandro Rugnone, Vincenzo Zampa) sono tutti diversi tra loro, ma formano una compagnia molto affiatata. In un college della provincia inglese questo gruppo di studenti di storia è impegnato negli esami di ammissione all'università. I loro insegnanti cercano di stimolarli al di là dei percorsi consueti e preconfezionati, infischiandosene delle tradizioni e dei punteggi scolastici, mentre il preside, per il buon nome della scuola, li vorrebbe tutti a Oxford o Cambridge. La scenografia è tanto essenziale quanto efficace; attraverso le luci vengono individuati tre spazi distinti: alcune sedie e una cattedra al centro della scena a indicare la classe, una scrivania e una foto della regina Elisabetta sulla destra come ufficio del preside, una serie di armadietti sulla sinistra come spogliatoio per gli studenti. Ma la pièces npon si limita a mettere in scena una semplice vicenda scolastica. Si parla dell’educazione e della scuola, ma soprattutto si riflette sulla contrapposizione tra generazioni, sul rapporto tra docenti e allievi, sui diversi metodi educativi, sulle differenti identità sessuali e sul passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Il contrasto si sviluppa partendo dal vecchio Hector, che, attraverso lezioni assai poco convenzionali e un rapporto di complicità con i suoi giovani allievi, si è sempre affannato a trasmettere l'idea di un sapere disinteressato che ha in se stesso la sua soddisfazione e la sua verità, e il giovane Irwin, spregiudicato sofista destinato a far carriera in politica, che ritiene la cultura un semplice gioco privo di verità, di cui ci si deve servire, anche barando, per ottenere obiettivi molto concreti. Irwin insegna che ogni tesi può essere ribaltata nella sua antitesi, se questo serve a fare colpo su chi ci ascolta, e quanto più si arriva al paradosso revisionista tanto più si è ritenuti intelligenti. Da una parte c'è la scuola che deve preparare alla vita, dall'altra quella che deve preparare alla professione; da una parte la Storia, dall'altra il Giornalismo; la verità e il relativismo, l'etica e la politica. Ci si immedesima, ci si riconosce nelle debolezze, nei dubbi, nelle passioni di questi personaggi delineati con acutezza da Bennet. Per tutti gli otto ragazzi l'età della dolce e crudele giovinezza, contrapposta al rigido mondo degli adulti, finirà bruscamente, schiantandosi contro l'ipocrisia dei più vecchi. Ambientato nell’Inghilterra degli anni ’80, il testo ripropone temi e verità assolutamente attuali.