Il servo di scena

di Valentina Dorigotti

Dopo il grande successo ottenuto nel corso della stagione 2011/2012, che ha visto le spettacolo in varie città italiane, giunge anche a Trento, nella stagione teatrale 2012/ 2013 il Servo di Scena. Si tratta di uno dei più celebri testi teatrali di Ronald Harwood, di cui Franco Branciaroli propone e interpreta un nuovo allestimento. Il suo spettacolo è un omaggio al teatro e alla sua capacità di resistere a tempi difficili. La sua forza è rappresentata dalle figure di Sir Ronald, grande attore angosciato, e Norman, servo di scena, mirabilmente interpretato da Tommaso Cardarelli che, sul filo di un angosciante isteria, rimane sempre vicino a Sir Ronald.

Calibratissimi anche tutti gli altri interpreti che sostengono, rimanendo però un po’ in disparte, il gioco tra i due protagonisti. Melania Giglio incarna bene l’impotenza sentimentale di un direttore di scena, mentre Lisa Galantini (la prima attrice-moglie), Valentina Violo, Daniele Griggio e Giorgio Lanza sono l’equipe che anima questa macchina teatrale di mezzo secolo fa. E’ il 1940: pur devastata dai bombardamenti nazisti, Londra riesce a conservare l’aplomb che l’ha sempre contraddistinta: pub e ristoranti restano aperti finché una bomba non li distrugge, i circoli e i club non variano nemmeno gli orari di apertura e di chiusura. Anche il teatro continua a vivere a dispetto della stupidità che sembra sul punto di conquistare il mondo. E Shakespeare diviene non solo poeta di un intero popolo, ma anche il suo profeta, e il teatro il suo tempio. «Nel Servo di scena – scrive Masolino d’Amico, traduttore del testo – si rievoca una gloriosa stagione del teatro inglese che non c’è più, quella dei capocomici-mattatori che si consacravano al verbo del sommo poeta nazionale e dedicavano la vita alla sua diffusione. Custodi della tradizione, fieramente indipendenti, costoro si auto-nominavano officianti del culto del Bardo e contavano solo sulle proprie forze e sul proprio prestigio. Animali da palcoscenico, solo sul palcoscenico vivevano, al punto di faticare e distinguere tra recita e vita quotidiana; ma della scena conoscevano tutte le leggi e tutti i meccanismi». Il servo di scena racconta proprio la storia di una di queste compagnie eroiche e spericolate e del suo vecchio capocomico, un non meglio identificato “Sir”, attore shakespeariano un tempo osannato dalle folle e dalla critica. Colpito da malore proprio alla vigilia della Prima del Re Lear, Sir sembra sul punto di dare forfait: sarebbe la prima volta nella sua onorata, lunghissima carriera. Ma Norman, il suo fedele servo di scena, da perfetto inglese non concepisce che non si possa andare in scena. Magari morti, ma gli spettatori hanno pagato il biglietto e hanno perciò diritto allo spettacolo. Sir è messo male: non solo ha dimenticato quasi tutte le battute del testo, ma ha dimenticato perfino quale testo dev’essere rappresentato. Comincia a vestirsi da Otello, poi si mette a recitare il Macbeth. Infine sembra rimettersi in carreggiata, ma sono troppe le cose che non vanno. Se la prende con la moglie, Milady, una Cordelia decisamente troppo grassa e pesante per la scena in cui deve prenderla in braccio. Se la prende perfino con l’ennesimo bombardamento nazista, che scambia per l’effetto-temporale giunto però troppo presto. Dopo numerosi esilaranti contrattempi, Sir si sente di nuovo male e, al termine dello spettacolo, mentre gli altri attori (compresa sua moglie, Milady) se ne vanno a casa, solo il buon Norman, il servo di scena, lo assiste. Sir, sentendo di essere in punto di morte, gli consegna la propria autobiografia, una specie di testamento spirituale in cui ringrazia tutti i membri della sua compagnia, lodandoli uno per uno, dal primo all’ultimo, tranne – guarda caso – proprio il suo servo di scena. Chissà perché, si è dimenticato proprio di lui. A fare da sfondo a tutta la vicenda c’è una scenografia straordinaria, studiata e funzionale, opera di Margherita Palli. I due atti scorrono veloci tra i due livelli che dividono orizzontalmente l’intera scena: sotto il camerino di Sir Ronald, tra costumi, parrucche, bottiglie e ricordi; sopra il palcoscenico, visto da dietro, su cui gli attori recitano il Re Lear facendo anche funzionare le loro povere macchine sceniche. Il resto del mondo rimane solo evocato fino alla caduta delle bombe sul teatro, che rendono fin troppo reale la grave situazione della guerra. Un testo concepito per grandi attori, in cui Franco Branciaroli mescola ferocia e tenerezza, ironia e melodramma. La scena del trucco è forse la più esilarante di tutto lo spettacolo, poiché ci mostra la sua confusione mentale attraverso un’interpretazione di grande bravura, misurata, che mette in luce la grandezza e la miseria di un attore. Tra silenzi e debolezze vengono mostrate tutte le manie e i vizi di un grande attore ormai sul viale del tramonto. All’opposto Cardarelli, che ritrae Norman attraverso una voce stridula e un fluire continuo di pensieri e parole. Nelle sue parole si cela la forza più profonda che anima il teatro: il teatro è invincibile perché non ha padroni, non cerca ricompense; è invincibile perché la ragione profonda della sua esistenza sta nella sua gratuità. Entrambi efficacissimi e applauditissimi, su sponde opposte.