Il teatro salvato dai ragazzini? Due laboratori a confronto

Recensione doppia di:

A Cloud
a cura di Teatro Patalò
con Eleonora Battistini, Noemi Zerbini, Cecilia Fiori, Laura Ricci, Anna Salighini, Nicola Matteini, Rebecca Fiorilli, Andrea Castaldo, Gabriele Mussoni, Leonardo Paganelli, Simone Silvestri, Martina Raggini, Gaia Montanari, Sara Alessandrini, Penelope Montefrancesco
esito del laboratorio Let's Revolution per ragazzi e ragazze dai 14 ai 18 anni condotto da Isadora Angelini e Luca Serrani
un progetto del Teatro Patalò in collaborazione con Santarcangelo Festival realizzato con il sostegno del Comune di Santarcangelo/Assessorato Servizi Scolastici ed Educativi

Pan
a cura del Teatro delle Albe
liberamente tratto da Peter e Wendy di J.M. Barrie
con Alice Mondaini, Alida Mancini, Anita Fiumana, Anna Fallanga, Anna Moroni, Antonio Tosato, Aurora Di Tommaso, Aurora Fabbri, Beatrice Antolini, Camilla Savini, Caterina Pianelli, Chiara Bussolotti, Chiara Jaku, Chiara Paci, Chiara Rossi, Chiara Semproli, Clara Carbone, Daniel Fabbri, Davide Casadei, Diego Rossi, Dyleisi De La Rosa, Elia Scalabrin, Elisa Boccaccini, Elisabetta Fogacci, Elisabetta Pozzi, Enrico Volpini, Ewi Maier, Francesca Stefanini, Gaia Della Pasqua, Giacomo Gabrielli, Ginevra Seccacini, Giorgia Fabbri, Giulia Partisani, Ivan Zhang, Jacopo Valitutto, Linda Berardi, Marco De Pascalis, Marco Donati Marta Galli, Martina Bruno, Matilda Trezza, Nama Diop, Nicole Moro, Noah Massart, Noemi Revizhde, Penelope Montefrancesco, Samuele Vitale, Sara Cau, Serena Dall’ara, Tommaso Anelli, Tommaso Caminati, Valentina Molari, Vittoria Crosara
guide Michele Bandini, Anna Lisa Magnani
insegnante assistente Damiano Folli
progetto realizzato in collaborazione con Associazione Zoe e compagnia ZoeTeatro, con il sostegno del Comune di Santarcangelo e Santarcangelo Festival

Visti il 9 luglio 2018 al Santarcangelo Festival 2018

di Enrico Piergiacomi

Si prova un piacere e una commozione del tutto particolari, quando si assiste a spettacoli realizzati da realtà professioniste che ricorrono al contributo artistico di giovani attori non-professionisti. Esempi di questo tipo di esperienza sono i lavori A Cloud di Teatro Patalò, quarta sessione del laboratorio Let's Revolution, e Pan del Teatro delle Albe, che è un altro appuntamento del progetto della "non-scuola". Le ragioni di una simile attraenza non sono però altrettanto chiare, quanto quelle che soggiacciono alle rappresentazioni dei saggi di fine anno dei laboratori di teatro amatoriale. Quel che rende godibile l’esito scenico dei processi laboratoriali degli amatori è l’atmosfera di festa. Genitori e amici vengono per scoprire che cosa i loro cari hanno prodotto, dopo mesi di preparazione e di scuola. Il piacere e la commozione che si provano con A Cloud o Pan sono invece di più fini, difficili da definire. Sulla loro natura bisogna, dunque, procedere per sola ipotesi.

Forse è plausibile supporre che questo piacere/commozione dipende da due cause. La prima è di tipo tecnico: né A CloudPan sono l’esito di una dinamica, appunto, di “scuola”, che pensa all’elaborato finale del laboratorio come una vetrina in cui mostrare competenze e abilità apprese. Entrambi i lavori sono, invece, l'esito di processi laboratoriali che - per riprendere il nome coniato dal Teatro delle Albe - possono essere appunto qualificati come dinamiche di “non-scuola”. L’obiettivo consiste qui, infatti, nel desiderio di far partecipare i giovani allievi a un processo di crescita e di condivisione intorno un tema conduttore, che per A Cloud consiste nella domanda che cosa significhi «essere adolescenti», mentre per Pan risiede nel desiderio di diventare adulti senza perdere la freschezza e la spensieratezza proprie dell’infanzia. Il fatto che questi percorsi conducano alla fine anche a uno spettacolo che è “bello” dal punto di vista della forma è un risultato secondario: un’aggiunta che varia ma non accresce il valore del percorso di laboratorio. In A Cloud e Pan, dunque, il processo sta in posizione preminente rispetto al prodotto.

Questa rapida distinzione potrebbe consentire, in maniera più generale, di rintracciare una grande differenza tra il teatro di “scuola” e quello di “laboratorio”. L'uno ha natura “produttiva”, o mira in partenza a un risultato ben definito. L'altro ha invece natura “poetica”, perché intende generare idee e rendere i giovani partecipanti dei creatori autonomi. Da ciò segue anche una possibile distinzione teorica tra “produzione” e “poesia”. Se ogni poesia è anche una produzione, non ogni produzione è per questo sempre poesia.
Vi è però anche una seconda causa che rende il piacere e la commozione che si provano davanti ad A Cloud / Pan molto particolari. Essa è tuttavia molto più opinabile e azzardata: tanto che, per procedere, si ha bisogno di ricorrere alle parole privilegiate di una poetessa.

Nel suo poemetto Il mondo salvato dai ragazzini, Elsa Morante evidenzia il portato rivoluzionario di un giovane ragazzo folle e nullatenente che, invece di collaborare alla grande Opera della società adulta, seria e produttiva, trascorre la sua vita a cantare, immune da qualunque logica di potere o di successo. In barba a potenti e ricchi, infatti, questo suo gesto mostra quanto sia facile esser felici e dimostra la verità di un ritornello che la poetessa dissemina in varie parti del suo componimento: «Tutto questo / in sostanza e verità / non è nient’altro / che un gioco». C’è una vanità essenziale nelle nostre vite che solo l’atto di giocare dei bambini e dei folli riesce a riconoscere, senza con ciò gettarci nella disperazione e nel nichilismo. Se la vita non è nient’altro che un gioco senza scopo, allora è il gioco stesso l’unica cosa che ha significato e importanza. Tutto il resto è inganno e menzogna, inclusi i seri propositi della società degli adulti cresciuti storti.

Ora, tornando al caso dei due spettacoli A Cloud e Pan, si può supporre che essi destino piacere e commozione perché propongono un ideale rivoluzionario pacifico analogo a quello descritto dalla Morante. I giovani che partecipano al processo poetico di questi due lavori non si dedicano al teatro con lo scopo di realizzare una grande Opera o un grande prodotto. Lo fanno per il puro gusto di giocare e coinvolgere gli spettatori in questo piccolo quanto effimero gioco. Tale esito infonde nuove energie a coloro che il teatro lo guardano o ascoltano, perché tornano alla loro vita quotidiana con la mente più sgombra da quei grandi feticci che sono il potere e la ricchezza, ma anche a coloro che tentano di evocare il teatro. Questi ultimi ridiventano consapevoli, del resto, di quanto appunto il processo di creazione, condivisione e crescita in comune sia ben più importante del risultato finale. Potremmo così fare il verso alla Morante e sostenere che sia A Cloud che Pan sono due esempi di «teatro salvato dai ragazzini»: di teatro che sfugge alla logica dell’Opera e del prodotto, per farsi energia pura.

Fatte salve queste due grandi somiglianze, bisogna certo anche sottolineare che A Cloud e Pan intrattengono tra loro delle marcate differenze. La più preminente ed essenziale riguarda il modo stesso in cui il laboratorio viene condotto e porta allo spettacolo finale. Pan è di natura più direttiva, nel senso che favorisce la dinamica della costruzione collettiva al contributo personale del singolo partecipante. Sul piano dello spettacolo finale, ciò si traduce in scene in cui un grande numero di bambini compiono lo stesso gesto (per esempio, intimare il silenzio con uno “Shhhh!”) o ripetono tutti insieme la stessa battuta. Di contro, A Cloud preferisce ricorrere al metodo che potremmo chiamare del “coro-corifeo”. Ogni partecipante fa una sua proposta scenica e decide se svolgerla da solo, o se realizzarla insieme a un partner, o ancora se concretizzarla guidando il resto del gruppo. Al pari delle nuvole che mutano di continuo forma e dimensione, pur procedendo in lente masse ordinate nel cielo, così i giovani partecipanti cambiano di continuo ruolo, posizione, atteggiamento nella compagnia che, per il resto, si mantiene sempre compatta e unitaria. Si tratta, tuttavia, di una differenza più di stile e di organizzazione del caos creativo dei giovani partecipanti, a volte anche dettata banalmente dal loro numero. È certo molto diverso coordinare 15 adolescenti in A Cloud e gestire 52 bambini delle medie in Pan. Restano per il resto salvaguardate la dinamica di “non-scuola” e la dimensione rivoluzionaria del gioco, che fanno sì che la moltitudine di questi giovani funga da monito per gli adulti a non prendersi troppo sul serio e, nella migliore delle ipotesi, persino a cambiare il mondo.

Un bell’articolo di Lorenzo Donati pubblicato su Doppiozero e intitolo Il teatro salvato dalle moltitudini – a cui il titolo del presente intervento si è volutamente ricollegato – scriveva a tal proposito che lo spettatore può essere contagiato positivamente dai numerosi gruppi di attori non-professionisti, o amatoriali: «Accade così che ci si riconosca in una moltitudine nella quale siamo in qualche modo compresi, o potremmo esserlo, dal momento che la soglia di accesso è molto prossima a noi». La mia analisi di A Cloud e Pan non è altro, da questo punto di vista, che un’estensione e un’applicazione del principio rilevato giustamente da questo critico. Chi guarda la moltitudine dei bambini che gioca sulla scena senza un secondo fine tende a riconoscersi in questo gioco e avverte, forse, il desiderio di ricrearlo nella sua vita. Se ciò è vero, si può concludere che il «teatro salvato dai ragazzini» allude al fatto che un altro mondo – pacifico, collaborativo, poetico e basato sul piacere del divertirsi assieme – è non solo necessario e desiderabile, ma anche possibile. Esso non sarebbe altro, infatti, che un mondo grande, ricreato in analogia con il piccolo mondo della scena.