Il Verdi popolare di Marco Paolini e Mario Brunello

di Valeria Tirabasso

Narrar Cantando è il sottotitolo dello spettacolo di Marco Paolini e Mario Brunello che, nel bicentenario dalla nascita, ricorda Giuseppe Verdi. L'essenzialità del titolo viene rispecchiata nella semplicità della scena che è fatta di pochi oggetti di natura quotidiana e pratica. Un po' come i melodrammi del Maestro, dove niente viene inserito come abbellimento, ma dove, invece, ogni elemento ha una sua funzione in rapporto stretto con tutti gli altri.
Lo spettacolo si apre con una ricostruzione storica dell'arte teatrale nell'Ottocento italiano, ripercorrendo gli spostamenti e la fortuna delle "carovane di attori", in particolare quella di Tommaso Salvini, che con il suo Otello ottenne nel mondo un successo pari a quello che oggi il pubblico tributa ai divi di Hollywood.

In questo contesto culturale Verdi si inserisce come un uomo semplice e concreto che ha la forza di piegare i suoi collaboratori (in particolare i librettisti) per ottenere esattamente l'opera che ha concepito e immaginato. Un uomo cui la vita non risparmia dolori e sofferenze, rappresentate da Paolini in modo tanto sottile da emozionare profondamente.
Le musiche di Verdi, eseguite con grande bravura e trasporto dal maestro Mario Brunello al violoncello accompagnato da Stefano Nanni al pianoforte, vengono di volta in volta presentate assieme alle trame delle sue principali opere, per mettere in risalto il rapporto, non soltanto tra melodia e sentimenti dei personaggi (base e fondamento del melodramma italiano), ma anche tra la musica e l'animo stesso del musicista. Ne risulta una riflessione acuta sull'uomo Verdi che da grande patriota riuscì, meglio di tanti suoi contemporanei, nell'impresa di "fare gli italiani". Infatti, spiegano gli artisti sul palco, smontando i pezzi delle opere di Verdi si arriva sempre ad una base comune, riprodotta in modi diversi in tutte le più famose arie e cori: una base ritmica in tre tempi che rappresenta, secondo Paolini, un particolare e anomalo battito cardiaco, e che è forse il battito cardiaco atipico degli italiani. E sarebbe quindi per questo che gli italiani guardano da sempre a Verdi con ammirazione ed affetto. Le sue opere furono tra le prime ad essere "replicate", in anni in cui il pubblico dei teatri richiedeva ogni volta nuove storie, nuove opere, nuove emozioni. Non solo: non appena il sipario scendeva sull'ultima nota dei suoi capolavori, le melodie, i canti e le parole che li componevano uscivano subito dai teatri per andare a far parte, ad esempio, del repertorio delle bande musicali. Ecco dunque che il popolo poteva appropriarsi della bellezza di quelle melodie e imparava a sognare sulle storie che esse raccontavano: il genio di Verdi viene quindi presentato sul palco nella tensione verso quel popolo enorme di contadini, di gente semplice, come lui, che per la prima volta, pur non potendo permettersi un'istruzione nell'Italia analfabeta dell'Ottocento, veniva reso partecipe della grande cultura musicale contemporanea. Questo popolo ha anche una voce e una presenza nello spettacolo: è la soprano Francesca Breschi che veste i panni di una borbottante signora delle pulizie che irrompe sulla scena e in platea chiamando il pubblico a cantare con lei le famose arie del Maestro, intavolando uno scambio a più riprese simpaticamente polemico con i musicisti sul palco. È lei, e con lei il popolo che assieme al pubblico rappresenta, che sembra avere gli strumenti più adatti alla comprensione più profonda di Verdi: e infatti il finale dello spettacolo sarà tutto dedicato al commosso, straripante, travolgente popolino che diventa il protagonista indiscusso, una fredda e nebbiosa mattina del gennaio 1901, dei funerali di Giuseppe Verdi. In quell'occasione, secondo una cronaca inedita di Filippo Tommaso Marinetti, che Paolini recita con grande vitalità, una massa di gente abbandonò le campagne milanesi per invadere le strade della città. Sembra quasi di vederli sul palco assieme all'attore: un fiume di gente (ancora sapientemente rappresentato dalla Breschi che lava il pavimento), che come nel Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo si muove compatto. In questo caso, però, la gente non si muove per rabbia, per uno sciopero, ma per gratitudine, per ringraziare dal più profondo dell'animo quell'uomo che, forse per la prima volta, era stato in grado di rispondere alla loro fame di cultura.
Uno spettacolo emozionante, che non soltanto riscopre le radici di una cultura popolare che ci deve rendere orgogliosi, ma che attivamente chiede al pubblico di "portare fuori dal teatro" la grande musica di Verdi: di canticchiarla, di diffonderla, di riappropriarsene nella vita quotidiana. In fondo è per noi che quella musica è stata scritta.