Inciampare in un nuovo linguaggio. Esperimenti comici in "Crisalide Festival 2019"

Cosmesi fa un live
di 
Eva Geatti, Nicola Toffolini e Marcello Batelli
musica e testi Eva Geatti e Nicola Toffolini
audio Marcello Batelli
grafiche Alberto Merlin
luci Sarah Chiarcos
organizzazione Debora Ercoli
prodotto da Cosmesi, 2018
in collaborazione con Centrale Fies
con il supporto di Festival di Santarcangelo e di Elastico fa/ART

Jump!
concept, coreografia e regia Vincenzo Schino Marta Bichisao
performer Luca Della Corte, Samuel Nicola Fuscà, C.L. Grugher, Simone Scibilia
cura e diffusione Vittoria Eugenia Lombardi
produzione Opera Bianco
con il sostegno di Fondazione Royaumont (Parigi), Teatro Cantiere Florida (FI), CAOS Terni, URA Residenze Teatrali umbre (PG), Masque Teatro (FC) residenze artistiche, Teatro La Cartiera/ KOMM TANZ 2019/ L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale ::: Centro di Residenza Emilia-Romagna, Teatro Petrella di Longiano

Natura morta con attori / Stillleben mit Schauspielern
di Fabrizio Sinisi
con Lea Barletti e Werner Waas
Regia Barletti/Waas
Assistenza Paolo Costantini
Produzione nell’ambito del progetto europeo “Fabulamundi - Playwriting Europe”
in coproduzione con Itz Berlin e.V.

Spettacoli visti durante il Crisalide Festival 2019, 07/09/2019

di Enrico Piergiacomi

Il tema totemico della 26° edizione del festival Crisalide a cura di Masque Teatro è quest’anno il concetto di Nachleben, ossia della “sopravvivenza”. Mutuato dal lessico dello storico dell’arte Aby Warburg, il termine tedesco allude al ritorno di qualcosa che si riteneva rimosso, defunto o superato. È il caso di quelle figure, immagini e nozioni del passato che per lungo tempo erano rimaste trascurate, per poi riemergere nelle opere figurative (e non), a volte indipendentemente dalla volontà dell’individuo che le ha create e pensava di realizzare qualcosa di nuovo. Il concetto di Nachleben è dunque applicato da Crisalide, alla prassi teatrale, a partire dall’ipotesi che essa inneschi processi che farebbero riapparire qualcosa che si riteneva perduto. Gli artisti coinvolti nel festival condividerebbero pertanto uno stile, una modalità, o anche solo una “fede” nel fatto che il teatro è un mistero, dove ciò che emerge contro la propria volontà è spesso più interessante dei risultati della creazione stessa.
Parallelamente alla rappresentazione degli spettacoli di Crisalide, si sono poi svolti due momenti del dialogo Ricerca di un linguaggio, a cura di Raimondo Guarino e Lorenzo Donati. Il titolo pone il primato del processo attivo del ricercare sulle attività posteriori all’acquisizione della conoscenza: il giudizio, l’interpretazione, la classificazione, e così via. Scrive Guarino, infatti, che il suo interesse per il teatro è motivato dalla ricerca della «parola nella macchia cieca di una rimozione: la parola che è stata accanto agli esperimenti del vivere, la parola intrisa dell’incerta ricerca del gesto compiuto, la parola che accompagna la pazienza del tentativo». Si tratta di un altro modo di riferirsi al Nachleben, al discorso che non chiude il senso, né espone un sapere definitivo, né ricorre a termini che precludono ogni apparire dell’ignoto. Ne segue la ricerca di un linguaggio che vada «oltre il linguaggio». E il teatro risulta qui più promettente di altre discipline perché si avvale di gesti e ritmi liberi da qualunque finalità, simili nell’aspetto e nelle intenzioni al geroglifico antico. Quest’ultimo rappresenta vividamente qualcosa senza significare nulla, ma trattiene dietro all’immagine tutto un insieme di forze innominabili e vitali.
Ciò che dunque Crisalide propone all’attenzione è il problema della ricerca dell’ignoto e di un nuovo linguaggio adeguato allo scopo, diverso da quello verbale-logico che domina la scienze, la critica e la filosofia analitica. Ogni volta che questo tema viene evocato, però, si ricade immancabilmente nel paradosso pronunciato da Menone nell’omonimo dialogo di Platone. Il sofista solleva il dilemma che la ricerca di ciò che si ignora è impossibile, con una battuta dalla densità concettuale sconvolgente: «E in che modo, Socrate, cercherai ciò che non sai assolutamente che cosa sia? Quale delle cose che non sai ti proporrai di cercare? E se per caso t’imbatterai felicemente in essa, come saprai che è ciò che non conoscevi?» (cfr. 80d). Delle due l’una. O si ignora la cosa ricercata, ma allora la ricerca non può partire, perché il cercatore non avrà chiaro l’oggetto del suo cercare. Oppure ci si mette a indagare senza bussola e, imbattendosi miracolosamente nella cosa cercata, non la si riconoscerà come tale e la si butterà via come un oggetto estraneo, incongruo con la ricerca in corso.
Platone risolve il paradosso di Menone favorendo la prima delle due ipotesi. La sua soluzione è infatti la controversa teoria della reminiscenza. Ciascuno di noi conserva nella memoria una “traccia” di ciò di cui va in cerca, ha una pre-conoscenza della cosa che ignora e usa questo vago punto di partenza per arrivare a cogliere il suo oggetto per chiarimenti successivi. Il metodo seguito è poi quello ipotetico. Dopo aver supposto che un’immagine o una definizione è promettente per procedere avanti nell’indagine, la si valuta per vedere se regge o se è da respingere, fino a giungere a una conoscenza che non può essere confutata e rispetta tutte le ipotesi formulate prima.
Ma questa è appunto la modalità incompatibile con il Nachleben, perché qui non ha luogo il ritorno del “rimosso”. La cosa conosciuta infatti non torna alla coscienza, perché è già alla coscienza, né va «oltre il linguaggio», dal momento che le ipotesi sono formulate linguisticamente e secondo la logica progressiva, lineare. Platone risolve insomma il paradosso con la dialettica, non con il teatro – quello stesso teatro che nel Gorgia è considerato essere una forma di adulazione del pubblico, o che nella Repubblica viene respinto per il suo costante rischio di minare la stabilità psichica e politica.
Resta però aperta l’altra via: imbattersi o “inciampare” nella conoscenza e in una lingua che va «oltre il linguaggio», ossia trovarle senza seguire un metodo razionale-discorsivo. La proposta è che tale soluzione altrettanto paradossale del paradosso del Menone sia la via degli artisti che ricercano il Nachleben. Essi non sanno già che cos’è questa conoscenza e tale lingua, ma vi vanno in cerca lo stesso. Eppure, per ragioni misteriose, le trovano e le fanno loro. Un po’ come i personaggi della favole, gli artisti del teatro trovano un tesoro, laddove andavano in cerca di un pozzo per pulire casa, tirare acqua al mulino, o compiere qualche triviale faccenda.
Come qualificare tale complesso movimento, che scopre qualcosa andando del tutto all’oscuro e allo sbaraglio? Mantenendo la debita cautela, perché si tratta di un tema controverso e difficile, propongo che esso possa ricevere l’aggettivo di “comico”. Se controlliamo l’automatismo cognitivo che porta ad associare la “comicità” semplicemente al riso, possiamo presumere che esso indichi in realtà un misterioso movimento di conoscenza. “Comico” è, del resto, il gesto sopra menzionato di imbattersi in un sapere prezioso e indefinibile, quale la scoperta di una nuova lingua, mentre si assolveva a un’attività modesta. C’è una sproporzione evidente tra l’attività dell’attore o performer che consiste in gesti o atti piccoli, quasi prossimi al nulla (come la creazione di un ritmo), e la scoperta di una conoscenza che va oltre la conoscenza e di una lingua che va oltre il linguaggio. Da qui si desta una sorta di riso filosofico. Il comico può essere un intrigante modo di dare spazio al “rimosso”, di inciampare per puro caso nel sapere che il dialettico alla Platone cerca con metodo, serietà, raziocinio.
Non è allora forse un caso che il festival Crisalide che approfondisce il tema del Nachleben abbia volutamente o no incluso molte commedie, o meglio esperimenti performativi “comici” nel senso sopra indicato. Lo è anzitutto Cosmesi fa un live del gruppo di ricerca Cosmesi di Eva Geatti e Nicola Toffolini, dove due artisti visivi si improvvisano musicisti senza avere la minima idea di come si suona uno strumento, o si organizza un concerto. La loro attività è dunque un tentativo di andare oltre il loro linguaggio abituale (= il visuale) e quello per loro del tutto ignoto (= il sonoro), arrivando a creare una composizione che non risponde a nessuno dei due linguaggi, dunque a una forma espressiva nuova. Il risultato è una sinestesia. Cosmesi suona gli strumenti musicali come se fossero tele e pennelli, mentre la musica diventa per loro un dipinto sonoro. Benché i tentativi dei performer appaiono ridicoli sotto il profilo della esibizione musicale, essi si rivelano al contempo portatori di un avanzamento nella conoscenza: costruiscono un linguaggio che prima non c’era.
«Inciampo» è poi il concetto chiave del lavoro Jump! di Opera Bianco di Marta Bichisao e Vincenzo Schino. Il duo artistico conduce una ricerca sulla figura del fool, che secondo il precedente illustre di Shakespeare rappresenta colui che, dietro lo scherzo e i lazzi, rivela una verità amara e atroce. Nello specifico, Jump! coinvolge quattro performer: due danzatori, Samuel Fuscà e Luca Piomponi (il quale però ancora non era stato coinvolto nella data di Crisalide) e due clown (C.L. Grugher, Simone Scibilia). Essi traducono in linguaggio coreografico-clownesco la scena dei buffoni dell’Hamlet che scavano la fossa per Ofelia (V 1). Il riferimento è evocato con un video di apertura che fa da preludio alla rappresentazione. Viene infatti proiettato il professore di inglese Edward Laurence Nelson, prima nella sua figura normale e poi truccato/travestito da Pierrot, mentre riflette ad alta voce sui punti di difficile lettura del testo, tra cui la battuta del clown che ritiene differenti i verbi To Act, To do, To Perform (ll. 11-12). A partire da questo preludio shakespeariano, si intuisce che i gesto dei performer di Jump! (battute, salti, movimenti scomposti, lanci di torta in faccia, ecc.) sono, in un certo senso, tentativi di esorcizzare la morte, mai vista sulla scena e tuttavia incombente invisibile sullo sfondo. Il comico diventa così un rocambolesco e divertente modo per inciampare in qualcosa di altissimo: l’immortalità, o se non altro la cancellazione della paura di morire. I salti dei clown e dei danzatori sono esperimenti comicamente solenni, perciò commoventi, di volare in alto da terra e salvare, almeno sul piano poetico, la giovane Ofelia. La fanciulla cadde nel fiume e morì, eppure si trovò per un attimo dentro un sottile confine che separa la caduta dal volo. Allenarsi a cadere come i clown e i danzatori è pertanto un comico ma serio tentativo di trasformare il crollo a terra in un’ascesa ai cieli.
Secondo il principio che la comicità non è necessariamente parente del riso sguaiato, infine, possiamo considerare “comico” anche un altro spettacolo di Crisalide. Si tratta di Natura morta con attori di Michele Sinisi, nella versione di Lea Barletti e Werner Waas, rispettivamente nel ruolo di una studentessa universitaria di Venezia e di un poeta che non crede più nella poesia. La coppia racconta di un mondo vuoto di senso e di vivezza, in cui l’umanità agisce recitando azioni finte, replicando nei grandi eventi della vita gli stessi gesti che altri hanno ripetuto prima di loro, preferisce alla libertà cui si accede provando a dire la verità la schiavitù del conformismo alla menzogna. Per fare un unico esempio, la studentessa racconta di come, durante una manifestazione contro la polizia, il corteo studentesco aveva reagito «da copione» alzando con rabbia il braccio con un pugno chiuso, per chiedere alle autorità i diritti e le opportunità che sono stati loro negati. Ecco dunque che un’esperienza grandiosa come la rivolta venga svuotata di ogni significato da un gesto automatico, che i rivoltosi stessi non sanno spiegare perché lo si fa e da dove deriva. L’universo è dunque un palcoscenico che funge da “natura morta” per gli “attori”, che rappresentano la quasi totalità del genere umano. Entro tale commedia che tende a ripetersi all’infinito, solo la coppia protagonista si rivela essere un elemento dissonante. Essa ne riconosce sia la vanità, sia l’insipienza, e invece di conformarvisi la guarda dall’esterno con un sorriso di scherno, sperando un giorno di riuscire ad imbattersi in un «prodigio» che risvegli un «fuoco interiore» finora sopito. Questo consiste nella distruzione della finzione collettiva in cui anche la coppia spesso ricade per debolezza, o a cui è costretta a partecipare con disgusto. Il comico di Natura morta con attori è dunque una presenza più discreta rispetto a quello che figura negli altri lavori analizzati, ma non per questo meno decisiva. La sua forza sta nella derisione discreta delle parole e delle azioni che compongono la recita quotidiana, che a sua volta prelude all’emergere di un nuovo linguaggio e di una nuova prassi, capaci di rendere la natura “viva” da “morta” che era.
I lavori ospitati da Crisalide sono solo alcuni possibili esperimenti “comici” che potrebbero aprire, con gesti molto semplici e in sé addirittura ridicoli, a pratiche e lingue superiori alla norma, che prima né si conoscevano, né si reputavano realizzabili. Il teatro conferma così di essere lo spazio in cui le esperienze eccezionali “sopravvivono” al degrado, un piccolo giardino rigoglioso dove può crescere tra le sterpaglie la rosa del Nachleben.