La «pallottola» del mondo e le "Invisibili generazioni"

Invisibili generazioni
Indagine, testo e regia Carolina De La Calle Casanova
Con Marco Ottolini, Valentina Scuderi, Paola Tintinelli e Federico Vivaldi
Scenografie Ilaria Bassoli e Davide Vivaldi
Musiche originali di Marcello Gori
Costumi Sara Gazzini
Comunicazione Visiva Dario Serio
Responsabile Organizzativo Arianna Mosca
Prodotto da Elementare Teatro

Visto il 23 febbraio 2018 al Cinema Teatro Comunale di Predazzo

di Enrico Piergiacomi

Lo spettacolo Invisibili generazioni della compagnia Elementare Teatro nasce su commissione dell’Ufficio Emigrazione della Provincia Autonoma di Trento. Esso racconta, come da titolo, del dramma attuale delle “generazioni invisibili”: dei giovani e meno giovani spesso costretti a lasciare il proprio paese di origine per trovare opportunità di vita migliori, o anche solo per pura sopravvivenza economica.
E lo fa con una storia semplice, lineare. Due fratelli orfani di genitori (Davide e Marco) sono posti di fronte al problema se cercare un lavoro in Italia, restando ad assistere la nonna Paola che li ha finora mantenuti e che soffre di un principio di Alzheimer, o se emigrare all’estero e sperare di migliorare la propria condizione in un ambiente più favorevole. L’uno decide di andar via e trova il modo di realizzare un suo ambizioso progetto presso un’azienda tedesca, conducendo però una vita lontana dalle persone che ama e spesso solitaria. L’altro sceglie di restare, trovando la serenità familiare e sentimentale, tanto che si sposerà e avrà un figlio con Alina, badante della nonna Paola e medico a sua volta emigrato dall'Ucraina, ma non un lavoro che gli garantisce stabilità e certezze. Pur nelle loro scelte diametralmente opposte, i due fratelli riescono alla fine a trovare un equilibrio, fatto di rapporti coltivati a distanza e occasionali visite dal vivo.
L’elementarità della struttura compositiva e narrativa dello spettacolo non va vista come un limite, soprattutto se si tiene conto del fatto che questa compagnia dichiara programmaticamente di voler fare un teatro “elementare”. Esso è anzi un punto di forza: quanto più la mente degli spettatori si rilassa nell’attraversare una vicenda semplice e lineare, tanto più essa ha modo di identificarsi con i personaggi e di concentrarsi sui problemi etici che lo spettacolo sottopone allo spettatore.  Nello specifico: chi tra Davide e Marco ha fatto la scelta più saggia o condivisibile? Sono più importanti gli affetti, o il successo personale? E si deve necessariamente scegliere tra gli uni e l’altro, oppure è possibile trovare una loro mescolanza? Invisibili generazioni non offre risposte nette e lascia che siano gli spettatori a formularle.
Ben altri sono, invece, i limiti dello spettacolo. Essi dipendono dalla nascita su commissione del lavoro. L’incarico ricevuto di dare una fotografia della situazione storica / sociale del Trentino ha costretto la compagnia a confinare l’attenzione sull’emigrazione italiana, che è solo una parte di un fenomeno più ampio e complesso, che viene studiato a livello superficiale (l’unica apertura ad altri tipi di emigranti avviene, infatti, con il personaggio di Alina). Lo spettacolo attinge poi a una realtà tutto sommato risaputa, sicché lo spettatore non apprende forse qualcosa che ignorava, né è invitato a riflettere su problemi che non si era prima posto. D’altro canto, visto che i membri di Elementare Teatro sono artisti, essi riescono a far spiccare il “volo” a una materia che altre compagnie che lavorano su commissione avrebbero presentato in modo più piatto, banalmente didascalico e informativo. Il loro lavoro si contraddistingue, infatti, per presentare elementi di poesia. Mi limito ad accennare e brevemente analizzare due di loro.
Il primo elemento poetico consiste nella contrapposizione tra il modo in cui la famiglia di Davide-Marco attraversa il dramma delle “invisibili generazioni” e il modo in cui lo affrontano i potenti. Lo spettacolo si apre, del resto, con l’apparizione di quattro figure in tuta nera che spingono sul palco una grande sfera che rappresenta il mondo e riflettono su come risolvere i problemi che affliggono l’umanità, per poi decidere a turno che la scelta migliore sia… non fare assolutamente niente, abbandonare ogni responsabilità e aspettare che tutto si aggiusti da sé. La rappresentazione è evidentemente satirica sia dei potenti in sé, che si mostrano essere confusi e inconcludenti di fronte a un compito più grande di loro, sia dell’esistenza in senso lato. Il mondo stilizzato ci mostra, infatti, che le nostre vite e i nostri problemi sono un gioco su una «pallottola» di plastica. A livello più profondo, tuttavia, la rappresentazione dei potenti giova a sottolineare una differenza importante tra questi e la famiglia protagonista dello spettacolo, o in generale qualunque gruppo familiare autentico. Se la tendenza del potere è quella di de-responsabilizzarsi e di disgregarsi di fronte alle difficoltà, quella degli individui “normali” consiste nel sostenersi e nell’ aggregarsi, a prescindere da limiti gravi quali la distanza geografica e la povertà economica. In questo senso, la famiglia trova una sua originale soluzione al problema delle “generazioni invisibili” che i potenti non riescono, invece, nemmeno a scalfire.
Un secondo elemento di poesia si affaccia nelle scene di “stacco” dalla trama narrativa. La storia di Invisibili generazioni viene spesso interrotta dai personaggi stessi, che mettono per un attimo da parte il loro ruolo, si avvicinano a un microfono e si rivolgono direttamente agli spettatori, condividendo con loro alcune riflessioni generali sul tema della crisi generazionale. Particolarmente interessante è quella fatta da Marco alla fine dello spettacolo, che argomenta come le generazioni attuali sono come invecchiate prematuramente. Ammettendo (anche se si potrebbe discuterne a lungo) che chi è anziano tende alla cautela e alla rinuncia a ogni ambizione, sembra che i giovani assumano oggi questi tratti prima del tempo, perché spaventati dalle difficoltà presenti e dalle incertezze del futuro. Ciò crea però un circolo vizioso: dalla paura non deriva che la paura, oltre che la tendenza a voler lasciare tutto così com’è, puntando unicamente alla salvezza personale.
Davide propone tuttavia l’antidoto di interpretare le difficoltà attuali come un rischio e un’occasione di sviluppare potenzialità, progetti e idee che un clima di vita / di lavoro più confortevole avrebbe invece negato. Forse così facendo sarà possibile risolvere a livello mondiale la catastrofe che i vecchi potenti lasciano imperversare. O quanto meno, se è vero che il nostro mondo è una «pallottola» stilizzata, conviene prendere l’esistenza come il teatro di un gioco in cui nulla – felicità, successo, amore, e via dicendo – andrebbe preso troppo sul serio.