Lo spettacolo della "Via Crucis" di Liberata

Lo spettacolo della "Via Crucis" di Liberatadi Enrico Piergiacomi

Testo e regia Nicola Bonazzi
Con Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Andrea Gadda, Frida Zerbinati
Aiuto regia Carolina de la Calle Casanova
Scene Nicola Bruschi
Costumi Cristina Gamberini

Guardando un album fotografico, un osservatore attento ha sufficienti elementi per poter ricostruire la storia di una famiglia, attraverso lo studio delle posture dei corpi e delle espressioni dei volti dei familiari. Egli avrebbe modo, per esempio, di capire quando moglie e marito si sono disamorati l’uno dell’altro, osservando come nelle ultime fotografie essi non si toccano più né si guardano negli occhi, contrariamente a quanto avveniva nelle foto delle loro nozze. Se poi questo osservatore è anche un drammaturgo e regista di teatro, potrebbe, volendo, anche ricavare un proprio spettacolo, che mostra agli spettatori quali siano stati gli avvenimenti e le ragioni che hanno portato la relazione familiare a degradarsi.

Liberata di Nicola Bonazzi – uno dei capofila del Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena – è un lavoro che sviluppa esattamente e rigorosamente questa analogia con l’album fotografico. Il drammaturgo-regista racconta attraverso uno spettacolo dialettale, che alterna l’uso dell’emiliano e del romagnolo, la storia di Liberata (Micaela Casalboni), dapprima sposa innamorata di Italo (Andrea Gadda) e da lui ricambiata, in seguito vittima delle sopraffazioni e delle angherie perpetrate sia dal suo compagno, sia dalle due figlie di questi, di nome Primo (Giulia Franzaresi) e Fiorina (Frida Zerbinati). E lo fa appunto immortalando ogni momento essenziale della vicenda sentimentale della donna sulle piccole fotografie e sui disegni che le due bambine hanno fatto nel corso della loro vita: oggetti che sono appesi sin dall’inizio dello spettacolo sullo sfondo del palco (una parete di legno da cui pendono delle pesanti catene di ferro) e che lo spettatore potrebbe usare, dunque, per anticipare l’intera vicenda. Chi guarda tali immagini può prevedere, infatti, le principali scene dello spettacolo che saranno di lì a poco rappresentate: 1) l’istantanea della famiglia felice; 2) l’istantanea in cui Liberata è esclusa dalla vita famigliare; 3) l’istantanea della famiglia degradata, ossia dell’attimo in cui Italo comincia a sfruttare Liberata, Primo e Fiorina per far soldi, esponendole in un circo e vendendo i loro favori sessuali agli uomini del paese; 4) l’istantanea in cui Liberata uccide Italo e si emancipa col sangue dalle vessazioni del marito.
Quella dell’album fotografico costituisce, tuttavia, solo la prima delle analogie che sorregge lo spettacolo: quella per così dire “profana”. Il secondo dichiarato spunto analogico è invece “sacro”, essendo costituito dalla via Crucis. “Liberata” non è, del resto, solo il nome di battesimo della protagonista. È anche il nome di Santa Liberata, ragazza a cui crebbe una folta barba nera, quando implorò Dio di concederle un miracolo che non la facesse andare alle nozze con il re di Spagna, organizzate contro la sua volontà dal padre. L’album di fotografie della protagonista acquista, così, una ben altra e alta levatura: le istantanee diventano le stazioni della “passione” di una donna, fino al prodigio finale. Infatti (oppure: , poiché) per Liberata si ripeterà il miracolo dell’omonima santa, nel momento in cui implorerà Dio di salvarla dalla decisione di Italo di venderla all’assessore del paese.
L’uso simultaneo di queste due analogie fa sì che sacro e profano si confondano, o meglio si alimentino a vicenda, dando vita a uno spettacolo elegante e ambiguo. Da un lato, Liberata è una sacra rappresentazione, poiché esalta il martirio di una donna innocente che avrebbe voluto solo condurre un’esistenza semplice, pura e felice con l’uomo che almeno all’inizio amava. Dall’altro, si tratta anche di uno spettacolo circense allestito dallo stesso Italo, che sfrutta le donne della sua famiglia per ottenere la ricchezza materiale, senza risparmiare neppure? il miracolo finale (risparmiare..? non è chiaro; intenti “con tanto di...”?). L’uomo esporrà la moglie barbuta al pubblico ludibrio, facendo sì che il sacro venga vinto e messo in secondo piano dal profano. Da un punto di vista drammaturgico, tale scelta non lascia più spazio, infatti, a una lettura edificante o mistica della “passione” di Liberata. Le foto, i disegni e le stazioni della via Crucis della donna diventano, lentamente ma inesorabilmente, solo segni nudi della violenza che spesso governano i rapporti umani.
A controbilanciare la miseria che lo spettacolo mette in evidenza e tacitamente guarda con pietà, tuttavia, interviene la vitalità dell’attore e delle attrici in scena. Lo spettacolo che parte dall’analogia con le fotografie – ossia, con le istantanee di corpi muti che comunicano qualcosa solo a chi le sa interpretare – riesce alla fine a tramutarsi in teatro: rappresentazione non tanto di forme plastiche e didascaliche, quanto di quadri tragici ma belli.