Pedagogia del mistero. Anteprima di studio

TEATRO DELLA MERAVIGLIA
Festival di Teatro e Scienza

Dal 22 febbraio al 4 marzo 2018
Programma completo sul sito del Teatro della Meraviglia

Direzione artistica e scientifica di:
Andrea Brunello, Direttore Artistico del Teatro Portland e della Compagnia Arditodesìo; affiliato con il Dipartimento di Fisica di UniTrento
Stefano Oss, Responsabile del Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche del Dipartimento di Fisica di UniTrento

Visto al Teatro Sanbàpolis di Trento
di Enrico Piergiacomi
 

«Siamo proprio come le canne al vento,
donna Ester mia. Ecco perché!
Siamo canne, e la sorte è il vento».
«Sì, va bene: ma perché questa sorte?».
«E il vento, perché?»

(Grazia Deledda, Canne al vento)

 

«The words of Mercury are harsh after the songs of Apollo», scrive Shakespeare a conclusione della sua commedia Pene d’amor perdute, indicando che esiste un divario netto, o un baratro, tra i canti della poesia (= Apollo) e il discorso razionale aspro (harsh) sulla realtà (= Mercurio). Ma il poeta ha ragione a divaricare così nettamente il piano poetico e quello scientifico? Dovendo difendere la sua professione di artista, egli ha probabilmente le sue ragioni per esprimere una posizione così netta e radicale. A guardar bene, però, la dichiarazione di Shakespeare risulta forse discutibile e parziale. Non ci può infatti essere un aspetto scientifico anche nella poesia? E la scienza non costituisce a sua volta un discorso poetico sulla realtà, sia pure svolto con altre risorse intellettuali e diversi mezzi espressivi?
Le domande che ho appena posto sono enormi e, forse, di impossibile risoluzione. Nella seconda edizione del festival Teatro della Meraviglia 2018 di Trento, a cura di Andrea Brunello e Stefano Oss, si trovano tuttavia sparsi degli spunti a favore di una risposta affermativa. L’iniziativa è stata realizzata, infatti, con il contributo di due tipologie diverse di lavori. Da un lato, sono stati messi in scena spettacoli di “teatro-scienza”, che è un’espressione convenzionale – dal significato molto dubbio, in realtà – atta a indicare un modo di evocare poesia a teatro attingendo alle scoperte o alle ipotesi scientifiche. Dall’altro, il festival ha previsto l’organizzazione di alcune augmented lectures, ossia lezioni scientifiche “aumentate” dalle tecniche e dalle risorse del teatro. Sono state presentate al pubblico, nello specifico, le relazioni di fisica di Stefano Oss e Roberto Iuppa accompagnate dall’esibizione di un musicista (Enrico Merlin) e un’artista della sabbia (Nadia Ischia), nonché una relazione sulle affinità tra la poesia di Dante e le prospettive scientifiche contemporanee, con l’intervento congiunto della dantista Anna Pegoretti e dell’attrice Laura Anzani. A sentire le parole lucide e belle delle due donne, si coglie che il poeta e lo scienziato condividono una pretesa utopica, destinata allo scacco e al fallimento: quella di “dire l’indicibile”.
La constatazione della bellezza come dell’efficacia di questi spettacoli e delle augmented lectures prova, forse, che poesia e scienza, pensiero e arte, possano essere o la stessa cosa, o almeno due ambiti di conoscenza e azione che possono entrare in relazione / risonanza reciproca. Le parole di Mercurio non sono allora affatto aspre, perché possono essere dolci come i canti di Apollo. Viceversa, la poesia apollinea può essere scientificamente valida come i ragionamenti mercuriali. Mercurio e Apollo potrebbero essere due volti di un identico dio.
È arduo riuscire a esaurire, nel breve spazio di una recensione critica, le questioni sollevate dal festival nel suo complesso e i contenuti sia degli spettacoli, sia delle augmented lectures. A complicare l’impresa interviene il fatto che chi scrive non è né artista né scienziato, dunque appare doppiamente inadeguato a parlare dell’iniziativa di Brunello-Oss in maniera sensata. Qui ci si limiterà, pertanto, a isolare tre temi fondamentali che hanno forse animato il Teatro della Meraviglia. Il testo va insomma considerato un diario di lavoro che, tempo ed energie permettendo, si svilupperà in una riflessione più articolata e dimostrativa nel futuro.
Il primo tema è contenuto in nuce nel titolo stesso del festival. Il principio guida e di selezione dei lavori svolti al suo interno è la volontà di destare sia nel pubblico che negli stessi artisti / scienziati il sentimento della meraviglia. La natura che si dà spesso per scontata e comprensibile presenta fenomeni, problemi, paradossi di fronte ai quali l’intelletto si stupisce, se li osserva senza preconcetti e certezza di sapere già tutto. Nessun principio guida è più coerente e giusto di questo, anche perché esso ha una ricca tradizione di pensiero alle spalle, che lo legittima o giustifica. Pensatori come Democrito, Platone, Aristotele e Lucrezio avevano già sostenuto che il meravigliarsi è l’inizio del conoscere. Quando l’intelletto scopre di non essere attualmente in grado di capire qualcosa e, dunque, si riconosce ignorante, esso viene spinto, da un senso di meravigliosa curiosità misto a inadeguatezza, a indagare le cause e le ragioni della natura, dell’arte, o di qualunque altra cosa inquieti le sue abitudini consuete.
C’è però una grande differenza tra questa tradizione di pensiero e la sua declinazione nel Teatro della Meraviglia. I pensatori antichi menzionati sono concordi nel sostenere che la meraviglia è solo il punto di partenza, non già quello di arrivo. Nel momento in cui si conosce quel qualcosa che prima si ignorava, lo stupore deve lasciare ora spazio a un bene apparentemente più nobile: la sapienza, che sul piano emotivo consiste nella quieta soddisfazione di aver capito quel che c’era da capire. Il sapiente non si meraviglierà allora più di nulla, appunto perché ormai ha raggiunto il sapere totale e non può più tornare ignorante. Di contro, gli amici artisti e scienziati del Teatro della Meraviglia evidenziano, in modi diversi e che non posso purtroppo analizzare, come la natura e ogni altro fenomeno complesso non trovano limiti cognitivi o dottrinari. Quanto più facciamo un passetto in avanti nella conoscenza di un fenomeno naturale, umano, divino, tanto più troviamo zone d’ombra, nonché piste di ricerca ancora da aprire e battere. La conoscenza è insomma per definizione inesauribile. In questo caso, la sapienza degli antichi che è considerata essere totale, quieta e incrollabile, si trasforma in noi moderni in una dotta ignoranza, che ogni volta rinnova il sentimento della meraviglia, invece di placarlo e atrofizzarlo.
Proprio dal carattere inesauribile della conoscenza discende il secondo tema chiave del Teatro della Meraviglia. Se la conoscenza della natura è sempre parziale e imperfetta, fonte di nuovo stupore e di dotta ignoranza, allora quello che la scienza dischiude alla mente non è certezza e verità, bensì mistero. Da questo punto di vista, non c’è bisogno di supporre il sovrannaturale per trovare interessante la realtà. Basta studiare con attenzione un albero che cresce ed emana profumo, o una donna che invecchia, o un cibo cotto a fuoco lento sulla padella, per individuare al loro interno fenomeni inspiegabili e sentirsi colti da brividi di spavento, oltre che dalla promessa che ci sono altre cose meravigliose da isolare e cogliere.
Bisogna poi aggiungere – o meglio, accennare – che lo stesso discorso vale per il teatro. Non meno misteriose appaiono essere, infatti, le procedure, le tecniche, le finalità e le passioni che caratterizzano questa stranissima arte. Vedo/ascolto uno spettacolo e tante anomalie cominciano ad affacciarsi sia alla mente, sia al cuore. In scena, gli attori parlano a se stessi o ad altri attori, ma si rivolgono al pubblico; sono uomini e donne in carne, ossa, sangue che, tuttavia, aspirano ad essere qualcosa d’altro (una persona immaginata, un simbolo, un’utopia); replicano un identico lavoro che è ogni volta diverso. Parlando in generale, nessun enunciato o metodo teatrale si esime dal distruggere il principio di non-contraddizione e dal risultare incomprensibile, misterioso. E se ciò è vero, allora il libro pur fondamentale e profondissimo che è il Paradosso dell’attore di Diderot risulta essere un testo troppo trattenuto. L’idea che gli attori commuovano ed emozionino se non sono commossi né emozionati è solo uno dei moltissimi (infiniti?) paradossi che si manifestano a teatro. Tutto sommato, anzi, esso è quello meno illogico e strano che si affaccia alla mente.
Ma se facciamo uso della logica, nonché ricordiamo l’ipotesi che scienza e teatro sono forse una medesima attività, o almeno alleati stretti, non discende forse quanto segue? Il discorso scientifico (già di per sé misterioso) diventa ancor più misterioso col suo essere “aumentato” a teatro, e viceversa la creazione teatrale diventa ancora più incomprensibile e meravigliosa se attinge alla scienza. Accade, insomma, una sorta di addensamento della tenebra: un mistero infittisce un altro mistero. Si genera un “meta-mistero”.
Veniamo ora al terzo e ultimo tema oggetto del Teatro della Meraviglia, che è anche quello più politico e consente, dunque, un passaggio dalla teoria alla prassi. Affinché questi misteri meravigliosi ed esaltanti si possano aprire, è necessario trovare il tempo per riflettere e lo spazio per creare. Essi non accadono insomma spontaneamente, ma nascono da ricerca ostinata ed esercizio costante. Ora, la nostra epoca rischia di stroncare tutto ciò sul nascere, disincentivando e de-finanziando ogni indagine non finalizzata al profitto / all’utile immediato, dunque presentando come un disvalore e una perdita di tempo lo studio del misterioso, del non perfettamente dicibile. È allora necessario far sì che tutti, ma soprattutto i bambini o gli adulti di domani, siano educati ad apprezzare, appassionarsi e coltivare o la scienza, o il teatro, o magari l’una e l’altro insieme. Gli spettacoli e le augmented lecture del Teatro della Meraviglia si pongono questo obiettivo etico, e lo hanno in parte raggiunto. Si spera che si possa fare ancora meglio.
Quest’ultima speranza è, in ogni caso, a detta di chi scrive, realistica e promettente. Dopo aver assaggiato le meravigliose sensazioni che queste due discipline aprono alla mente, infatti, pochi proveranno ancora attrattiva verso altre cose – il potere, la fama, la ricchezza – che vengono cercate attraverso il profitto e l’utile. Se insomma gli esseri umani che vivono oggi sono ormai forse irrimediabilmente perduti, sommersi dalla volgarità e dalla stanchezza dominante, quelli che seguiranno potrebbero salvarsi e approfondire i misteri che noi, oggi, scorgiamo solo di sbieco. Ma per farlo, bisogna educare a stupirsi del bello teatrale e dei fenomeni naturali, e occorre farlo adesso. Domani potrebbe essere troppo tardi.
Riassumendo queste riflessioni su tre temi che richiedono una maggiore analisi e notevoli chiarimenti, potremmo dire che il Teatro della Meraviglia si contraddistingue per il suo programma di fare una “pedagogia del mistero”. Il compito che si propone è quello di educare tutte le generazioni, sia quelle morenti che quelle nascenti, ad appassionarsi ai fenomeni misteriosi e meravigliosi del teatro / della scienza, nella consapevolezza che le sensazioni e le conoscenze da loro dischiuse coincidono con i beni migliori accessibili a un essere umano. Se il concetto di “felicità” non è vuoto, si potrebbe dire che questa è una possibile definizione di vita felice. Per chiarire tale punto, andrà però compiuta un’ultima digressione.
Stando alla testimonianza del libro III delle Disputazioni tuscolane di Cicerone, Teofrasto – discepolo diretto di Aristotele – si sarebbe lamentato in punto di morte che la vita degli esseri umani è più breve di quella di corvi e cervi. Se infatti l’esistenza umana durasse più a lungo, le arti e le scienze progredirebbero fino al perfezionamento assoluto: la natura e la bellezza non sarebbero più un segreto per nessuno. Questa asserzione è discutibile per due ragioni. La prima è che, quand’anche gli esseri umani vivessero più a lungo di diecimila corvi e otto milioni di cervi, o avessero in sorte la vita eterna di una divinità, la loro conoscenza ed espressione risulterebbero ancora balbettanti, come i vagiti di un bimbo appena nato. Nemmeno gli dèi – se esistono, fanno qualcosa, si occupano di scienza e poesia – riuscirebbero a capire del tutto che cosa sono la natura e l’arte. Troppo profondi sono gli abissi che si annidano in loro, persino per un’intelligenza perfetta o divina. La seconda ragione di dissenso risiede nell’ipotesi che, in realtà, il fatto che la conoscenza totale sia inattingibile potrebbe essere considerato come un valore e come una causa di felicità. Il saggio che ha capito tutto non ha più stimoli a continuare a indagare: vive come morto, si abbandona alla quiete e all’immobilità. Il perenne ignorante si trova, invece, dopo aver capito qualcosa, di fronte a un altro mistero e a un altro problema, ma anche ad altre sensazioni esaltanti di scoperta. Egli trova così sempre modo di migliorare e affinare le sue facoltà, senza mai conoscere riposo e limite.
Il destino umano è quello di oscillare tra un mistero all’altro, come una nave in balia di venti di cui non si comprende l’origine e la direzione. Ma la deriva è allegra, e la vita in questione più gioiosa di quella dei saggi che affermano di essere approdati a un porto sicuro. Forse Democrito e altri pensatori antichi ci rimprovererebbero di stoltezza, al vederci crogiolare nel saperci ignoranti. Noi risponderemmo loro che, in compenso, siamo più entusiasti di indagare sempre più, nel breve tempo che ci è concesso e che fugge inesorabile.
Avanti tutta, dunque! C’è ancora troppo da fare, da pensare, da insegnare e verso cui instillare meraviglia. Scienza e teatro spalancano alle nostre menti limitate misteri senza fine, stimolando in loro desiderio insaziabile di commuoversi e apprendere.