SOLI - uno spettacolo di Ateliersi
Di e con: Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi
E con: Margherita Kay Budillon, Eugenia Delbue, Lorenzo Righi, Esther Silverio
Musiche composte ed eseguite da: Vincenzo Scorza
Direzione tecnica: Giovanni Brunetto
Comunicazione e promozione: Federica Patti
Organizzazione e amministrazione: Elisa Marchese
Produzione: Ateliersi
Con il sostegno di: Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, MIBAC
Si ringraziano: Fratelli Broche, Friperie, Antica Bologna, Cerimoniale del Comune di Bologna
Foto di scena: Giovanni Brunetto e Luca Del Pia.
di Enrico Piergiacomi
Soli della compagnia Ateliersi è la seconda tappa di un ambizioso progetto di riscrittura dell’opera teatrale di Luigi Pirandello. Lo spettacolo riscrive, infatti, il Pensaci, Giacomino! pirandelliano e affronta il tema della solitudine dei nostri giorni, vagamente accennato nell’originale. Si tratta, in altri termini, di un’opera nuova, che trae dal testo di Pirandello la sua ispirazione e, per il resto, cerca una sua propria poetica.
Quanto detto è tuttavia ancora troppo generico. Per rendere un minimo giustizia al lavoro di questa compagnia, ci vuole un po’ di scavo analitico, che mostri l’operazione al tempo stesso di rispetto e di distanziamento da Pirandello. Così facendo, si avrà modo di accennare al tipo di solitudine che Ateliersi vuole descrivere e, per quanto possibile, eliminare dal mondo.
Si proceda anzitutto sul piano concettuale. “Solitudine” è una parola ambigua, che si dice in più sensi, perché potrebbe indicare almeno due cose molto diverse. Da un lato, “solo” è chi non conduce la sua esistenza a contatto diretto (diciamo anzi fisico) con altri esseri umani. Dall’altro lato, ci può essere una solitudine di carattere per così dire “spirituale”. Una persona è spiritualmente sola se non prova alcun legame autentico con i suoi simili, o non riceve da questi cura e attenzione. Le due forme di solitudine possono sia sovrapporsi, sia essere tra loro irrelate. Lo scenario più tragico è, infatti, quello di una persona che è sola fisicamente e spiritualmente, come accade all’individuo esiliato dalla comunità che lo detesta. La situazione più rosea è quella in cui entrambe le forme di solitudine sono bandite: tale è il caso di chi ha una famiglia e degli amici con cui instaura una relazione appagante. In mezzo a questi due estremi, si possono dare forse infinite varianti. Per fare due esempi, una persona può essere circondata da milioni di persone (dunque, non è sola in senso fisico) e, tuttavia, non sentirsi legata a queste. E un individuo che non ha nessuno accanto può sentire un amore fortissimo verso l’umanità e dunque non sentirsi spiritualmente isolato da questa. Tale è il caso del filantropo cercando di aiutare come meglio può i suoi membri, che magari non hanno minimo sentore della sua esistenza e del suo altruismo.
In Pensaci, Giacomino!, Pirandello si limita a descrivere marginalmente la solitudine di tipo fisico. Tale è, infatti, la condizione del professor Toti: vecchio insegnante di scienze in una scuola superiore di provincia a cui restano pochi anni di vita e che non ha né famiglia, né figli, né amici o parenti in casa sua. Per uscire da questa solitudine, il personaggio decide di prender moglie per finta e sceglie quale sua consorte la giovane Lillina, cacciata dalla casa dei genitori per essere stata messa incinta fuori dal matrimonio dal suo innamorato Giacomino. Per il resto, il bisogno di rimediare alla solitudine di questo tipo si esaurisce presto e Toti si cimenta in una ben più nobile impresa. Fingendosi il padre legittimo del figlio di Lillina e rendendo questa sua erede, nonché trovando un posto di lavoro in banca a Giacomino e permettendogli di frequentare casa sua, il professore si scontra con le maldicenze della comunità, che non può sopportare che un vecchio sposi una ragazzina e ammetta per di più che un giovane uomo la vada a trovare apertamente. Toti si trova, insomma, a lottare ora non più con l’isolamento fisico, ma con il perbenismo di facciata delle persone, che si cura di evitare lo scandalo più che di aiutare due innamorati a condurre una vita serena.
La riscrittura di Ateliersi sembra invece combattere la “solitudine” del secondo tipo. È vero che la trama di fondo di Pirandello viene mantenuta e, dunque, che il protagonista resta sempre il professor Toti di Pensaci, Giacomino!, qui chiamato con il nome di professor Serti. Una serie di elementi e modifiche apportate in Soli rispetto all’originale pirandelliano rende però questo personaggio meno gretto e ancora più eroico. Anzitutto, Serti non è qui tanto un docente di scuola, stanco di insegnare ad alunni annoiati dalle scienze naturali, quanto un professore universitario di Bologna che organizza nelle sue aule delle sedute di discussione politica, ricevendo dai suoi superiori delle ammonizioni disciplinari. Invece di salvare due di innamorati contrastati, Serti si propone poi di aiutare Cristian e Cristina, una coppia di ragazzi che vive in strada perché abbandonata da una comunità che non offre loro alcuna tutela morale e materiale. Serti di Soli giunge, in terzo luogo, pur di dare alla coppia un avvenire migliore, a compiere un sacrificio estremo. Dopo aver sposato Cristina e averla resa sua erede, il personaggio decide di lasciarsi morire fuori città, lasciando ai due giovani la propria casa e una piccola pensione di reversibilità.
Le azioni di Serti non sono poi recitate da un attore direttamente sulla scena, ma raccontate dagli attori Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi che, senza nascondersi dietro la maschera di un personaggio, si interrogano inquieti sulla vita, sulle azioni e sui valori di Serti. Ciò crea un effetto di straniamento che permette agli spettatori di non identificarsi con Serti e di non trovare già pronta una soluzione al problema morale che viene rappresentato in scena. Abbandonando la finzione scenica, infatti, i due attori si rivolgono direttamente agli spettatori, chiedendo loro una risposta a due domande colme di responsabilità. Che cosa faresti voi, che contemplate il dramma di Cristian e Cristina, se vi ritrovaste in una situazione analoga? Sareste in grado di compiere come il professore un gesto di abnegazione altrettanto radicale?
Se dunque il Serti di Soli come il Toti di Pensaci, Giacomino! è animato dal bisogno iniziale di evitare la solitudine di tipo fisico, egli cerca di eliminare per i due giovani una condizione di solitudine spirituale. Cristian e Cristina vivevano in fondo insieme in strada, mentre per il resto erano del tutto lasciati a se stessi da una Bologna indifferente, che non vedeva più in loro membri produttivi della società. Per sintetizzare il tutto, Ateliersi scrive Soli per rendere Pensaci, Giacomino! una dramma più politico. L’essere umano non ha bisogno di semplice compagnia, perché in fondo anche i disperati e i marginalizzati si possono aggregare tra loro, fondando delle comunità a parte. Ha invece bisogno di sostegno reciproco, fiducia incondizionata e sacrifici coraggiosi. In assenza di ciò, l’umanità si troverebbe (e di fatto si trova) in una condizione di solitudine ben più grave rispetto a quella data dall’isolamento fisico.
Queste scelte di distanziamento dall’origine pirandelliano creano un insieme di interessanti cortocircuiti teatrali, che a loro volta segnalano l’esistenza di alcune terribili contraddizioni del mondo contemporaneo. Vale la pena chiudere l’analisi insistendo sulle due più importanti. La prima è di carattere sociale e aggiunge un ulteriore tema, stavolta del tutto assente da Pensaci, Giacomino!: quello del lavoro. Il dramma dei due giovani di Soli diventa anche il pretesto per rilevare una contraddizione tra quello che l’attività lavorativa dovrebbe essere, ossia uno strumento di emancipazione economica e di espressione dei propri talenti, e quello che purtroppo è in realtà. Cristian e Cristina sono infatti in strada perché non hanno una stabilità lavorativa, sicché il Serti della riscrittura salva due giovani da una situazione di degrado sociale.
La seconda contraddizione è più sottile. Soli mette in evidenza uno iato tra arte e realtà. Serti – che è un personaggio letterario – pare essere più reale dei due giovani, al punto che molti spettatori chiedono alla fine alla compagnia informazioni ulteriori su questo misterioso professore filantropo di Bologna. Viceversa, Cristian e Cristina (che è una coppia esistita per davvero) sembrano essere figure inventate, tanto surreale è la tragica situazione in cui si trovano invischiati. Lungi dall’essere razionale, la realtà appare così essere un puro sogno contorto, dove molti fatti non sembrano trovare spiegazione e dove i normali nessi logici (come ad esempio che lavori chi è in grado di praticare un mestiere) vengono spesso violati. L’arte si mostra essere, per converso, un’illusione che può intervenire direttamente sulla società, rilevarne le contraddizione e sostenere i più deboli. Una figura letteraria come Serti pare disporre sia dell’energia che della concretezza necessaria per compiere gesti radicali e capace di rendere gli altri meno spiritualmente isolati.
Si osserva allora, in conclusione, un marcato spostamento di tono di Soli rispetto al modello pirandelliano. La battuta «Pensaci, Giacomino!» che Toti pronuncia verso la fine del testo di Pirandello e che gli fa da titolo è un adagio letterario, che si rivolge a un personaggio inventato e da cui lo spettatore può in fondo percepirsi estraneo. Essa diventa invece con Soli un monito politico. Serti esce dalla finzione estetica per intimare “pensaci, spettatore” e mostrare che è assurdo accettare che il bene, la giustizia, l’eliminazione della solitudine abbiano luogo solo dentro lo spazio chiuso del teatro. Bisogna farli riverberare, dal mondo piccolo e confortevole della scena, al mondo grande e confuso della vita.