“Polifigenia”. Lenz tra Euripide e Gluck

Iphigenia in Aulide
Ah! quʼil est doux, mais quʼil est difficile

(Ah! è dolce, ma difficile)
da Euripide e Gluck

Testo e imagoturgia: Francesco Pititto
Installazione, costumi e regia: Maria Federica Maestri
Interpreti: Valentina Barbarini, Eugenio Degiacomi (basso), Debora Tresanini (soprano)
Musica: Andrea Azzali
Cura: Elena Sorbi
Organizzazione: Ilaria Stocchi e Loredana Scianna
Ufficio stampa e comunicazione: Michele Pascarella
Cura tecnica: Alice Scartapacchio
Assistente: Marco Cavellini  
Media video: Stefano Cacciani
Produzione: Lenz Fondazione
In collaborazione con: Conservatorio di Musica Arrigo Boito

Realizzato con il sostegno di:
MiBACT Anno europeo del Patrimonio Culturale 2018
Regione Emilia-Romagna EnERgie Diffuse Emilia-Romagna   Comune di Parma
Creazione site-specific per Festival Natura Dèi Teatri

Visto il 6 luglio 2018 nel Complesso Monumentale della Pilotta

di Enrico Piergiacomi

Che cosa racconta il mito di Ifigenia? Poeti, storici e pensatori hanno isolato due temi di indagine apparentemente contrapposti: l’orrore dell’uccisione di una fanciulla motivata da una ragione politica (= consentire la partenza della guerra di Troia) e la bellezza di una giovane donna, che si sacrifica per donare alla comunità un bene più alto e sopravvive così nella memoria dei secoli a venire. Ifigenia è stata letta, dunque, a seconda della prospettiva, ora come una vittima innocente del padre Agamennone, ora come una vincitrice che, tramite una morte eroica, raggiunge una sorta di immortalità.

 

L’Iphigenia in Aulide di Lenz Fondazione pensa, invece, che l’essenza del mito in questione stia nel mezzo: in una sorta di lineetta che sta tra “orrore” e “bellezza”. Ifigenia non è solo né una fanciulla morta prematuramente, né solo una donna che diventa immortale facendo dono della sua vita alla comunità. Ella non è in sé vincitrice o vittima. Ifigenia è l’una e l’altra cosa insieme nello stesso tempo: ed è forse questo il motivo per cui il suo mito può ricevere interpretazioni tanto divergenti.
La tecnica utilizzata per raggiungere tale scopo è quello del pastiche. Lenz Fondazione costruisce, infatti, uno spettacolo in cui recitano solo i personaggi di Ifigenia e Agamennone, costruito mediante la commistione di più fonti (Euripide, Racine, Gluck) che raccontavano il mito dividendo sostanzialmente la vicenda in due parti. La prima vede la preminenza dell’orrore. Ifigenia si mostra qui ad esempio atterrita di fronte alla morte prematura. La seconda parte opera un passaggio dall’orrore alla bellezza. Ifigenia accetta di immolarsi per la salvezza della Grecia e mostra ai genitori, ai concittadini, al suo mancato sposo Achille di conseguire la grandezza nei posteri. Dal punto di vista tecnico, però, lo spettacolo di Lenz Fondazione complica e sfuma questo semplice passaggio dall’orrore alla bellezza attraverso l’uso di due modalità: la recitazione au devant, in cui due personaggi manifestano sentimenti e concetti corrispondenti a quelli usati nel mito originario, e la recitazione au contraire, dove invece entrambi esprimono passioni o idee che deviano dall’originale. Può essere utile ricordare un unico esempio. Se nella prima parte del mito ci si aspetterebbe di vedere solo Ifigenia che manifesta il suo orrore davanti alla prospettiva della morte prematura, Lenz Fondazione rappresenta di contro il personaggio nell’atto di passare alternativamente dalla recitazione au devant o au contraire. Non si deve aspettare insomma la fine della vicenda per assistere all’agnizione di Ifigenia che la sua morte può anche essere un ponte per la grandezza e l’immortalità. Il personaggio mostra una psicologia più complessa, perché meno netta rispetto all’originale. Ifigenia intravede già nella prima parte la sua grandezza futura, e tuttavia non per questo sente meno orrore davanti al nulla che l’aspetta.

Il tramite espressivo  è costituito, in ogni caso, sempre dalla musica. I personaggi di Agammenone e di Ifigenia non comunicano mai allo spettatore le loro idee/passioni au devant o au contraire con le semplici parole del linguaggio ordinario, ma sempre cantando. La ragione può forse risiedere nel fatto che la musica è il mezzo espressivo che compone armonico e disarmonico, dunque può veicolare al tempo stesso sia l’orrore che la bellezza che compongono il mito di Ifigenia. Le parole isolano questi due aspetti che il canto lega di contro inscindibilmente. Da questo punto di vista, non esiste un’unica Ifigenia nello spettacolo di Lenz Fondazione, ma molte Ifigenie in un unico personaggio. Ella è una polifonia, o meglio una donna o una giovane fanciulla che incarna più voci femminili che reagiscono alle atrocità della vita. Ifigenia è una polifonia: una “Polifigenia”.

Tutto questo discorso consente di trarre, più in generale, un principio estetico più ampio. Non c’è personaggio mitico che possa essere esaurito nella sua ricchezza dall’ideologia della vittoria o della sconfitta, dell’orrore o della bellezza. Il dramma di Ifigenia diventa più chiaro mediante la sua messa in musica perché mostra, in modo paradossale, la compresenza di entrambe le dimensioni. Nell’orrore della sua vita stroncata prematuramente si annida una bellezza amara, e nella sua bella morte c’è qualcosa di riprovevole o ripugnante.