Rumore umano: sul balbettio del poeta

Rumore umano
di Isadora Angelini e Luca Serrani 
con Isadora Angelini
regia e disegno luci Luca Serrani, cura del suono Luca Fusconi
spazio scenico a cura della compagnia con l'aiuto di Alberto Grilli
foto di scena Dorin Mihai
produzione Teatro Patalò 
studio scenico al termine della Residenza alla Casa del Teatro per il progetto Teatro Patalò • 3 Movimenti Progetto Interregionale di Residenze Artistiche realizzato con il contributo di Teatro Due Mondi, MiBACT, Regione Emilia Romagna.
visto al Teatro la Scuderia di Monte San Vito, il 27/01/2018
di Enrico Piergiacomi

Come Silenzi. Frammenti di un discorso di coppia, Rumore umano di Teatro Patalò prosegue la riflessione sul teatro come spazio di ascolto di suoni e movimenti normalmente non avvertiti, sebbene con un cambio di focus. Se il lavoro precedente si concentrava più sulla forma della questione, ossia sottolineava il carattere frammentario ed episodico dell’accadimento “teatrico”, quello recente sposta l’attenzione sul piano del contenuto. Ammesso che il teatro sia infatti uno spazio di ascolto di qualcosa di inaudito, resta sospesa la domanda: che cosa esso fa udire? La risposta è il titolo stesso: un rumore “umano”. Gli esseri umani spesso non si ascoltano, non si capiscono e non si comprendono. A teatro, accade – in modo altrettanto raro, frammentario ed episodico – che una comprensione e una relazione vera abbiano luogo, pur senza mai superare la durata di un minimo di tempo.
Basso continuo e ispirazione prima di tutto lo spettacolo è la biografia della scrittrice Ágota Kristóf, condensata nella sua biografia L’analfabeta. Un’attrice sola (Isadora Angelini) ne ripercorre le principali tappe (la giovinezza in collegio, l’esilio in Svizzera, il successo del suo primo romanzo, per menzionarne solo alcune), oscillando – di nuovo come in Silenzi – in un registro stilistico tra il narrativo e l’onirico, tra il racconto fedele dei fatti e la loro interpretazione alla luce dello sguardo sensibile-sognante della scrittrice. Da tutto questo insieme biografico e poetico emergono tutti quei «rumori umani» che ciascuno di noi sperimenta nella propria vita, ma che nella vita della Kristóf acquistano una bellezza particolare e una caratura esemplare: la nostalgia delle proprie origini, la perdita della giovinezza, lo sgomento di fronte alla violenza quotidiana, e via dicendo.
Un elemento nuovo di riflessione si affaccia poi in questo recente lavoro di Teatro Patalò. C’è la coscienza che al fondo di tutti questi “rumori umani” che il teatro riesce a evocare vi è qualcosa di più misterioso, che né l’attore né lo scrittore riescono a esprimere. In questi piccoli misteri quotidiani si nascondo ampi labirinti, come in tutte le parole che usiamo: intuitive a prima vista, oscure e controverse quando vengono studiate da vicino.
L’analfabeta non è a tal proposito, potremmo supporre, solo la condizione in cui la Kristóf si trovò dopo l’esilio in Svizzera, che la costrinse ad abbandonare la sua lingua madre e a riscoprirsi analfabeta della lingua francese. È in generale la condizione del poeta e dell’artista. Non potendo comunicare fino in fondo il mistero dei rumori umani e non essendo maestri fino in fondo del linguaggio poetico, l’uno e l’altro si trovano a balbettare e a parlare in modo spesso sbagliato, come un bambino che incespica nei suoi primi tentativi di apprendere una nuova lingua. Nello spettacolo, questo elemento è suggerito dall’alternanza della battute recitate dell’attrice con la registrazione delle voci di bambini, che provano a leggere con fatica l’alfabeto e a costruire una frase sintatticamente strutturata.
Bisogna fare attenzione a non vedere questo balbettio come un tratto peggiorativo del poeta e dell’artista. Per riprendere l’analogia col bambino, anche i suoi versi gutturali e i suoni inarticolati che produce da molto piccolo gli sono certo più familiari / facili da usare della lingua dei genitori. Le potenzialità espressive della seconda sono però inconcepibilmente superiori e più raffinate di quelle accessibili alla parola infantile. Lo stesso rapporto vale, mutatis mutandis, per il rapporto tra il linguaggio ordinario e la poesia. Il linguaggio poetico – per quanto esso sia oscuro e difficile da usare per lo stesso poeta – è in grado di alludere a cose che il modo ordinario e più confortevole di parlare non coglie.
L’umanità è ancora all’infanzia della poesia. Se mai padroneggerà questo linguaggio al limite del geroglifico, lo farà forse dopo generazioni e generazioni di tentativi di espressione inadeguata, di molteplici fallimenti.