“Tanatoteatria”: un’utopia di "Effetto Larsen"

After/Dopo
di Effetto Larsen

Ideazione e direzione artistica Matteo Lanfranchi 
Sound design e direzione tecnica Roberto Rettura 
Allestimento e visual Paola Villani 
Assistenza Laura Dondi 
Organizzazione Isadora Bigazzi 
Foto Elisa Vettori
Prodotto e sostenuto da Effetto Larsen, La Strada (Graz, Austria), Pergine Spettacolo Aperto, Danae Festival, Associazione Culturale Dello Scompiglio

Visto all'interno di Pergine Festival, organizzato da Pergine Spettacolo Aperto, il 5 luglio 2019

di Enrico Piergiacomi

Il lavoro After/Dopo di Effetto Larsen è un’installazione site specific animato da un progetto encomiabile: anticipare la morte futura e tenere da conto della propria mortalità per organizzare al meglio la vita presente. L’opera consiste, infatti, nell’attraversamento delle sette stanze di un appartamento lasciato in disuso, in cui ciascun visitatore è invitato a compiere alcuni semplici gesti (scrivere un testamento, lasciare una fotografia ai posteri, rispondere con un “sì” o un “no” alla domanda se si ha mai avuto l’occasione di vedere un cadavere, ecc.) per riflettere sull’inevitabilità della propria fine. Benché semplice nella pratica, tale proposito nasconde in realtà due operazioni molto complesse sul piano teorico, che sfidano diversi nostri preconcetti sull’esistenza e sul suo termine.
La prima è di natura etica. L’installazione di After/Dopo cerca di affinare lo sguardo dei partecipanti sul concetto della durata del tempo, con un duplice movimento apparentemente contraddittorio. Da un lato, il lavoro prova a indurre il pubblico a rendersi conto della brevità della vita e, dunque, del carattere transitorio di ciascun essere umano. Quando infatti il visitatore viene spinto, ad esempio, a confessare se ha visto o meno un cadavere, esso reagisce subito nella mente con il pensiero che un giorno sarà a sua volta un corpo freddo dalle labbra di granito e roso dagli insetti. Dall’altro lato, però, l’installazione sottolinea anche che la propria persona durerà sotto altra forma oltre i limiti biologici. Lasciare un testamento o una fotografia significa, in fondo, sotto l’aspetto temporale, depositare un proprio segno che continuerà a influenzare i vivi. La vita di ciascuno non è insomma affatto breve, anzi potenzialmente può protrarsi fino all’eternità. Finché ci sarà un essere umano interessato a decodificarli, interrogarli, ricostruirli, i segni che il singolo avrà lasciato dietro di sé continueranno ad agire e ad influenzare l’andamento complessivo del mondo. 
L’apparente contraddizione si risolve, in realtà, supponendo che quel che Effetto Larsen vuole raggiungere è sottolineare quanto sia essenziale cercare di non sprecare la propria vita in atti che non lasciano alcuna scia efficace dietro di sé. Chi fa questo si nega l’eternità e si accontenta di dare piacere al proprio “io” transitorio, nella vana speranza che la morte biologica non lo raggiungerà mai. In altri termini, il paradosso è imparare a pensare che il riconoscimento della propria inevitabile mortalità sia il passo obbligato per intraprendere un percorso di vita che ci rende immortali. Solo chi apprende quali segni riescono a far perdurare la propria presa sul mondo oltre i limiti biologici diventa capace, infatti, di estendere il suo sé oltre la tomba e di non relegarlo a marcire sotto un’umida zolla di terra, dimenticato da tutto e da tutti, forse anche da dio.
La seconda operazione teorica complessa compiuta dalla pratica apparentemente semplice di After/Dopo è invece più radicale. Effetto Larsen si propone un compito del tutto impossibile, ossia riuscire a pensare la morte futura già in vita, prima che essa si verifichi nel concreto. A ben guardare, questo è un autentico assurdo. La morte è infatti la completa cessazione dei sensi e del pensiero. Ma After/Dopo cerca dei mezzi che facciano sentire e pensare il morire. Ergo, l’installazione fallisce a monte nel suo scopo, poiché si propone a tutti gli effetti di far percepire quel che di per sé è impercettibile, di pensare ciò che per sua natura è impensabile. Il massimo che si può raggiungere è, semmai, l’idea o l’intuizione di ciò che sarà la morte per noi, che è tuttavia qualcosa di diverso dall’atto stesso di morire. Solo i morti possono sapere che cosa sia la fine, perché l’hanno trovata. I vivi si troveranno sempre al limite di questa soglia, varcata la quale i sensi e il pensiero cedono all’oblio.
Si tratta, nondimeno, di un fallimento positivo. L’installazione rivela così la sua natura complessa e intelligente proprio perché si cimenta con gusto in un’impresa impossibile, prossima alla mistica. I visitatori percorrono, a livello fisico, sette stanze di un palazzo. Sul piano spirituale, essi si trovano invece ad attraversare un rito collettivo e un’utopia: portare i sensi e il pensiero fino al confine estremo. Per usare un’immagine, anticipare la morte è un po’ come passare dal centro alla periferia di una circonferenza. Anche se si raggiungono i confini di questa figura, si resta pur sempre dentro al cerchio, ossia sempre all’interno della vita e mai dentro il regno dei morti. E tuttavia, ci si troverà anche di fronte alla sottile lineetta che separa la coscienza dall’incoscienza, sull’orlo di un precipizio che ci sprona a esercitare al meglio i sensi e il pensiero, prima che arrivi la morte a darci la spintarella sufficiente per cadere dentro l’abisso.
L’utopia estetica di After/Dopo può essere in conclusione sintetizzata dal neologismo “tanatoteatria”. Ci troviamo di fronte, infatti, a un esperimento performativo che non cerca semplicemente di parlare della morte – in tal caso, ci troveremmo di fronte alla più usuale “tanatologia”. After/Dopo va in senso ancora più profondo. Esso tenta, attraverso il teatro, il compito impossibile di esorcizzare la paura della morte facendo immaginare che questa sia già avvenuta e a addirittura a farla percepire o pensare agli altri. L’atto di spingersi fino ai limiti estremi di questa soglia fallirà nel portarci oltre la circonferenza, ma avrà comunque l’effetto benefico di farci abitare meglio dentro il suo perimetro.