Un dialogo tra sordi

Un dialogo tra sordidi Monica Anesi

Bolzano, Teatro Stabile Giuseppe Verdi, dicembre 2015

Tratto principalmente dal romanzo Gli Sdraiati di Michele Serra e adattato a monologo, Father and Son è un'analisi ironica e amara di un padre che tenta di conoscere ed esplorare il mondo quasi alieno del proprio figlio adolescente. La regia è di Giorgio Gallione, interprete principale è Claudio Bisio accompagnato da due giovani e bravi musicisti Laura Masotto (violino) e Marco Bianchi (chitarra).

C'è da premettere che il testo di partenza non nasce per il teatro: densissimo sia nel linguaggio, sia nelle situazioni analizzate risulterebbe troppo articolato per essere trasposto fedelmente sulla scena. Tuttavia, nei primi dieci minuti il protagonista, parlando del figlio, rimane fedele al romanzo di Serra, nel senso che usa lo stesso linguaggio, ma la scena risulta quasi surreale. Infatti, se da un lato il padre ribadisce il desiderio di dialogo con il proprio figlio, dall’altra è proprio il lessico troppo elaborato ed erudito a sortire un effetto straniante sul pubblico (figuriamoci su un figlio!). Il monologo prosegue poi privilegiando il registro comico-ironico e bene si accorda alle capacità di Bisio che, da mattatore qual è, riesce con facilità a catturare il favore e la simpatia della platea. Tuttavia la sua recitazione rimane in parte ancorata al modello di Zelig: con le sue espressioni, le mosse, le battute Bisio resta fedele a se stesso e il lavoro sull’attore rimane così meno visibile. Così, se da una parte lo spettacolo diventa più alleggerito e godibile, dall’altra la spontanea ironia di Bisio e la sua capacità di far emergere il lato comico-ironico, anche nelle situazioni più drammatiche, mitiga la profonda rabbia ed il grande senso d’impotenza che continuamente traspare dalle righe di Serra. In ogni modo Bisio sa dare corpo anche a momenti d’intensa riflessione, messi in risalto dalla musica che, durante tutta la narrazione, marca i diversi stati d’animo del protagonista. Questi si muove in una scenografia caratterizzata da alte mura blu, intervallate da telai di porte aperte, sul palcoscenico, tavoli, qualche sedia, e un armadio che inspiegabilmente pende dall’alto. In un racconto, talvolta delirante, il padre parla di suo figlio imbarcandosi, dice, in una chiacchierata su una persona che conosce poco e male. Con disarmata rassegnazione, alternata a sprazzi di stupore, ne descrive un ritratto realistico e riferibile a molti adolescenti di oggi, apatici, annoiati, eppure capaci di recepire ed elaborare contemporaneamente gli stimoli più disparati. Ne viene fuori un padre che non riesce ad essere né autorevole né autoritario, ma semplicemente smarrito. Tutti questi stati d’animo arrivano al pubblico, ma, veicolati dall’umorismo di Bisio, diventano meno incisivi, poiché manca lo spessore necessario per una riflessione che continui anche dopo lo spettacolo. Certo, l’eterogeneo e folto pubblico in sala applaude, appagato ed entusiasta, però cosa resta delle profonde e dolorose riflessioni dell’autore?