Un Tartufo dal cuore amaro

Un Tartufo dal cuore amarodi Monica Anesi

Bolzano, Teatro Verdi, 26 - 29 marzo 2015

Ingenuità, ipocrisia, sagacia sono questi i temi principali trattati dalla famosa commedia di Molière Il Tartufo, rappresentata dalla Compagnia dello Stabile di Genova, al teatro Verdi di Bolzano dal 26 al 29/03/15. Il regista Marco Sciaccaluga rimane fedele al testo, ma colloca la storia in un ambiente davvero singolare, una stanza sulle cui grandi pareti campeggiano alcune scene del Giudizio Universale di Michelangelo.

Santi e demoni paiono osservare e valutare severamente ciò che accade, ma ingabbiati da “tramezzi invisibili”, ossia semplici architetture in metallo che segnano solo i perimetri di muri, porte, finestre e delimitano lo spazio della scena in cui si muovono vicende e personaggi. Tutto ha inizio con un potente tuono, che ci riporta in un passato lontano, nella Parigi di metà Seicento, in casa dell’agiato Orgon (Eros Pagni), un capofamiglia onesto e sinceramente devoto che, mosso da pietà, decide di accogliere nella sua casa Tartufo (Tullio Solenghi), il religiosissimo e umile mendicante che regolarmente incontrava sulle scale della chiesa. Nonostante le buone intenzioni, il nuovo ospite porta non poco scompiglio in famiglia: pare sdegnare i nuovi agi, come un severo censore gira afflitto per casa con la Bibbia in mano battendosi il petto e, ammonendo i componenti della famiglia, addita come peccaminosi i più innocui comportamenti. Paladino di una morale irreprensibile e bacchettona, conquista sempre più la fiducia di Orgon e di sua madre Madame Pernelle (Massimo Cagnina), una donna inacidita dall’età che appoggia fermamente Tartufo, mal celando, dietro la presunta rettitudine, il rimpianto di una giovinezza ormai perduta. A nulla servono gli sforzi dell’arguto cognato Cleante (Antonio Zavatteri), né della disincantata e scaltra cameriera Dorine (Barbara Moselli) per convincere Orgon ad una maggiore prudenza con il nuovo ospite. Di fatto loro sospettano fortemente che dietro la santimonia di Tartufo vi sia una natura avida, ipocrita, insomma, un vero furfante.

Gli spunti e le situazioni comiche non mancano ma, anche grazie all’interpretazione di Eros Pagni, la risata non risulta mai né scontata né banale. Il suo Orgon, per niente sciocco o credulone, rappresenta un uomo caparbio la cui fiducia sconfina nell’ingenuità, ma comunque retto e convinto di agire nel giusto. Il suo spessore morale emerge nella recitazione sempre attenta, misurata, che ammalia il pubblico dalla prima all’ultima battuta. Degni di nota sono anche l’appassionato e saggio Cleante e la dama di compagnia Dorine, anche se talvolta affiora in lei una rabbia che offusca, in parte, le acute sottigliezze dei suoi ragionamenti. Tullio Solenghi sa interpretare con scaltra ironia la doppiezza del personaggio, che si scopre appieno quando, rimasto solo con Elmire (Mariangeles Torres), la moglie di Orgon, tenta di sedurla con insistente e subdola bramosia. Cade allora la maschera del bigotto moralista ed emerge chiara la vera natura dell’astuto approfittatore, che tenta in ogni modo di piegare gli eventi in suo favore per trarne il maggior profitto possibile. Ancora forte è il momento in cui Damis (Gennaro Apicella), il figlio di Orgon, riferisce al padre, alla presenza della madre e di Tartufo, di aver udito con le sue orecchie come il manigoldo avesse tentato di farlo cornuto. D’improvviso Solenghi abbandona il ruolo del mellifluo seduttore per trasformarsi in penitente disperato e afflitto; anzi, agli occhi dell’ingenuo amico, povera vittima perseguitata. E Orgon non solo cade nella trappola, ma decide di donargli la figlia come sposa, tutti i suoi beni e la sua casa. Sarà grazie alla trappola tesa da Elmire che Orgon scoprirà la verità: la sagace e astuta moglie, per dimostrargli quanto cieca ed ingenua fosse la sua fiducia, indurrà il marito a nascondersi, coperto da una tovaglia, sotto il tavolo, mentre lei fingerà di cedere alle lusinghe di Tartufo. Questi, credendo di aver finalmente conquistato la sua preda, nella sua viscida smania di seduzione di fatto palesa tutta la sua ipocrisia, la sua beffarda derisione per la morale e l’amicizia. La scena, rivelatrice e comica insieme, lascia comunque sulle spine il pubblico che, col sorriso sulle labbra, vuole vedere la reazione di Orgon. Ma, Eros Pagni in un sospiro riesce a cambiare l’umore della platea; seppure accovacciato sotto il tavolo, rende con una battuta tutta l’incredulità, l’amarezza, la delusione per l’amicizia tradita. Insomma, la condizione di un uomo il cui mondo pare cadergli addosso. Ed è proprio così, poiché sarà proprio Orgon con tutta la sua famiglia ad essere cacciato di casa da Tartufo, per finire addirittura in prigione. A questo punto uno spettatore si alza e urla, avvicinandosi al palcoscenico che così non va bene. Non può finire in questo modo la commedia! Tutti sono basiti. In effetti Molière, nella prima versione di Tartufo, aveva fatto vincere il furfante e fu solo dopo l’intervento del re Luigi XVI che l’autore aggiunse due atti e modificò il finale. Pertanto, dopo alcuni attimi di smarrimento, un altro potente tuono riporta la platea (dalla realtà) al gioco. La scena si rifà e dunque, per volere del re, che tutto conosce, che sa distinguere la fedeltà dei suoi sudditi e che mai fa vincere l’ipocrisia, Tartufo, già noto malfattore, andrà in prigione. È il trionfo della giustizia, con tanto di coriandoli dorati che calano dall’alto assieme alle figure dei regnanti, mentre i personaggi attorno a Tartufo, rimasto solo in ginocchio, cantano le ultime battute in perfetto unisono e, non senza un pizzico di ironia, celebrano gioiosamente la vittoria del bene sul male.