Un'Elettra contemporanea tra ribellione e soffocamento

di Valeria Tirabasso

L’Elettra di Sofocle nell’adattamento della compagnia Macelleria Ettore diventa un melodramma di tragica attualità. Elettra (Maura Pettorruso) è un’adolescente vittima dei fantasmi e dei ricordi del passato. Un passato di indicibile violenza familiare che l’ha costretta ad assistere all’assassinio del padre ad opera della madre e che l’ha allontanata dal fratello Oreste (Stefano Detassis). Un passato che ritorna ogni notte a tormentarla. Ma Elettra è un’adolescente sola e il mondo non fa altro che rinchiudere il suo dolore in una sorta di diagnosi (“emotivamente instabile”) senza interrogarsi sul perché della sua ostinata solitudine.

L’unico rifugio per Elettra è la musica techno: con le cuffie sulle orecchie si isola da un mondo ostile provando a cantare il suo grido di rabbia e di dolore. La sua vita si trasforma, così, in quella al contempo statica e in movimento di una ballerina di carillon che gira su se stessa, muove le braccia a scatti, ma non può (e non vuole) muovere le gambe. Anche Oreste, il cui antico elmo da guerriero si trasforma nella moderna cresta punk, ha a disposizione uno spazio limitato in cui si muove ritmicamente e continuamente, sebbene non con una danza armoniosa, ma con movenze robotiche e spezzate. Il movimento sembra essere la chiave di lettura principale di questo lavoro: entrambi i personaggi, infatti, non smettono per un solo attimo di ballare questa danza precaria e balbettante, ma intensamente poetica, che è il simbolo della loro ribellione alle brutture della realtà, soffocata continuamente dall’impossibilità di uscirne. Ed infatti, anche quando finalmente riescono a “sciogliere nel sangue il legame di sangue” che hanno con la madre, e riescono a vendicare il padre, Elettra e Oreste non possono far altro che annullarsi di nuovo in questa musica, fino a diventare essi stessi quel “niente” ossessivamente ripetuto, che chiude lo spettacolo. Le musiche, suonate dal vivo dall’autrice Chiarastella Calconi, rappresentano quindi sia i sentimenti dei giovani, la loro rabbia e la voglia di ribellarsi alle ingiustizie subite, sia un rifugio in cui nascondersi per fuggire dalla realtà, per annullarsi nella speranza di annullare i ricordi, per soffocare quella ribellione che non ha portato a “niente”, se non alla ripetizione della violenza. Questa dicotomia tra ribellione e soffocamento è ripetuta in tutte le altre linee interpretative che la regista Carmen Giordano porta sapientemente avanti nella sua rilettura dell’Elettra sofoclea: il gioco di luci e ombre, l’accostamento di colori sgargianti con il nero onnipresente (nei costumi, nello sfondo, nello stesso spazio teatrale), gli attimi di immobilità e silenzio che spezzano il ritmo di musiche e movimento. Tutti questi elementi sembrano ricondurre all’essenza stessa dell’animo di Elettra: combattuta tra amore e odio, passato e futuro, ricordi e oblio, chiusura al mondo e necessità di urlare a tutti il proprio dolore. In questo restare fedele all’animo della protagonista, pur rivoluzionando l’intero impianto dell’opera sta il pregio più significativo di questa emozionante “opera techno”.