Emigranti di AriaTeatro. Note sulla libertà

Emigranti di AriaTeatro. Note sulla libertàdi Enrico Piergiacomi

Emigranti
di Slawomir Mrozek
con Denis Fontanari – Andrepietro Anselmi
regia Giuseppe Amato
assistente Chiara Benedetti
scenografie Federica Rigon

Vi sono due modi principali per raccontare il dramma degli emigranti. Il primo è descriverne la peripezia tragica, mostrando la loro fuga dalla patria e i possibili soprusi del paese di arrivo. L’altra è raccontare la vita quotidiana di questi sfortunati esseri umani, con la loro esperienza di ordinaria desolazione e i loro (se ve ne sono) tentativi di riscatto. Il testo Emigranti di Sławomir Mrożek sceglie la seconda modalità narrativa, meno esposta al rischio della retorica. E la compagnia AriaTeatro – che lo ha messo in scena più volte con successo, con la regia di Giuseppe Amato – la segue con fiducia, dando origine a uno spettacolo in larga parte cupo e disincantato.

In scena vi sono due emigranti dalla provenienza ignota, che convivono in un sottoscala serrato di un appartamento. Di uno (XX, ruolo di Andrepietro Anselmi) sappiamo che è un operaio, che svolge un lavoro molto pericoloso per la sua salute e intende fare soldi per dare una vita migliore alla famiglia che si è lasciato alle spalle in patria. Dell’altro (AA, interpretato da Denis Fontanari) scopriamo che è un intellettuale, che ha deciso di studiare XX perché vede in lui un esemplare perfetto dell’uomo del suo tempo: quello dello schiavo che non aspira affatto alla libertà. XX attraversa dunque un dramma esistenziale a cui AA non vuole rimediare, mentre intende usarlo quale materia per scrivere il libro definitivo sull’essenza della schiavitù.
Questa circonstanziata sinossi mostra che Emigranti si compone di due piani, che lo spettatore sarà in grado di distinguere con chiarezza solo a uno stadio avanzato della rappresentazione. Da un lato, abbiamo il problema della sopravvivenza quotidiana, in cui domina – sia nel testo, sia nella messa in scena di AriaTeatro – la nota grottesca. Nel sottoscala dei due emigranti, infatti, anche le azioni semplici risultano difficili e a tratti ridicole. È quanto accade, per esempio, quando XX cerca di dimostrare in maniera logica ad AA che anche il cibo per cani è un cibo gustosissimo e salutare per un essere umano, che è il solo tipo di cibo che ha a disposizione al momento.
Dall’altro, abbiamo il piano ideologico e politico, che passa inosservato fino all’ultimo perché sovrapposto al primo. AA trova interessante XX, perché a suo dire egli accetta passivamente la schiavitù dei suoi tempi e gli offre la conferma della sua rassicurante convinzione che la libertà è impossibile da ottenere, dunque che il vero eroismo è accettare di essere per natura schiavi. Quando questo secondo piano diventa evidente, la recitazione dei due attori si fa più serrata e concitata. E la situazione, da grottesca che era, acquista a poco a poco un sapore tragico, in quanto per via dialettica è prospettata una tesi amara e universale (= la libertà non esiste), a partire da un frangente particolare (= il dramma di XX).
Tale rivelazione degli scopi di AA determina, come è prevedibile, un conflitto tra i due personaggi. Meno scontato è che, alla fine, XX dimostri la falsità della tesi dialettica dell’altro, quando in preda a un raptus di orgoglio strappa tutti i soldi che avevano finora accumulato e si emancipa dalla sua dipendenza dal denaro, ovvero prova che anche l’esemplare di schiavo più abbrutito può avere i suoi “rigurgiti” di libertà. Questo scarto drammaturgico è rispettato dalla compagnia in modo fedele al testo, seppure poi divenga il pretesto per una nuova riscrittura del dramma. Se l’originale di Mrożek prevede, infatti, che XX resti insieme AA nel sottoscala, mostrando così che il raptus dell’uno non ha la forza di emancipare totalmente dalla schiavitù, la versione di AriaTeatro conclude la vicenda con la separazione tra i due personaggi. XX smonterà il frigorifero del suo appartamento e ne farà, come vuole la finzione teatrale, la porta per uscire al mondo esterno e trovare, forse, la sua emancipazione.
Nessuna delle due versioni offre una facile rassicurazione al problema dell’emigrazione. Anche quella meno cinica e che lascia un barlume di speranza proposta da AriaTeatro non dice che la libertà è attingibile. Ma questo fatto può anche essere letto positivamente. Se venisse detto che la libertà è possibile, probabilmente XX diverrebbe schiavo di questa sua aspirazione: ogni suo atto sarebbe etero-diretto da essa. In quanto l’idea che l’uomo può diventare libero è taciuta, ovvero né affermata né negata, è lasciata aperta la responsabilità del rischio. XX si farà di nuovo schiavo di qualcosa, oppure tenterà un percorso verso una libertà incerta. La scelta sarà ad ogni modo davvero sua, per la prima volta nella vita.