Una personale lettura del bene

Una personale lettura del benedi Monica Anesi

Il Sindaco del Rione Sanità, Teatro Giuseppe Verdi Bolzano, gennaio 2016. Regia di Marco Sciaccaluga.

La storia comincia dalla fine. La luce livida e fredda ospita sul fondale una fila di sedie su cui sono schierati in silenzio i personaggi. Solo don Antonio (Eros Pagni) siede davanti al proscenio, e con voce ferma dice di essere morto. Poi la scena si anima, è mattina presto in casa Barracano e nel grande soggiorno, su un improvvisato tavolo operatorio, il dottor Fabio Della Ragione (Federico Vanni) sutura rassegnato l’ennesima ferita. Arrivano ad ogni ora del giorno, sono i delinquenti del Rione Sanità che, come molti altri, chiedono aiuto a don Antonio Barracano, il “sindaco”. Solo lui, infatti, sa come aggiustare le cose.

Il rispetto per la sua persona è chiaramente avvertibile dal modo in cui Immacolata la governante (Federica Granata) e il dottore ne parlano pur in sua assenza, e allorché don Antonio entra in scena con la vestaglia da camera, sono gli sguardi e i mezzi silenzi a confermare quanto sia ammirato e, allo stesso tempo, temuto. Diversamente dalle indicazioni di Edoardo de Filippo, autore del testo, il protagonista di questa commedia non è alto e nerboruto, tuttavia Eros Pagni sa interpretare molto bene la grande forza, lo spessore e l’autorevolezza del personaggio. Inoltre sulla scena si percepisce da subito come egli sia il regista della vita altrui, il sole attorno al quale tutti gli altri girano, familiari e non. I personaggi che vanno a casa sua per chiedergli udienza hanno sempre un problema da risolvere. Le sue risposte calme, ferme, imprescindibili, spesso sono condite con quell’ironia napoletana che scaturisce dalle situazioni più difficili e che porta il pubblico a sorridere. È esemplare, a tal proposito, la scena nella quale il “sindaco”, volendo restituire il debito del disperato falegname Vincenzo ‘O Cuozzo’(Rosario Giglio), apre un cassetto invisibile, conta dei soldi invisibili e li consegna allo strozzino Pascale ‘O Nasone’ (Gennaro Piccirillo) che, non solo ingoia l’umiliazione, ma deve anche contare ogni banconota invisibile e strappare nelle mani di don Antonio il reale titolo di credito. Pagni è molto convincente nel rendere il personalissimo e quasi diabolico senso del giusto e del bene che spinge il suo personaggio ad aiutare coloro che “non tengono santi in paradiso”. D’altro canto, sono la sua personalità e il fatto che lui ignori volutamente la legge ad attirare, come una calamita, un’umanità dolente che si accontenta di una giustizia approssimativa eppure certa. Il dottor Fabio della Ragione è l’unico ad avere il coraggio di opporsi a questa situazione. Federico Vanni è convincente nell’interpretare il senso di rispetto, ma anche la delusione mista a rabbia quando, facendo un bilancio della sua vita, confessa di essere stato un folle ad aiutare un demente nel proteggere una rete di delinquenti che fa vergogna al Paese. In effetti, l’atmosfera che si percepisce sulla scena è di un rassegnato e talvolta rabbioso senso d’impotenza, poiché la collosa ragnatela che don Antonio ha saputo imbastire lascia poco spazio di movimento. La regia ha accentuato la circolarità del susseguirsi dei personaggi che entrano dal fondo, si fermano davanti al perno, il “sindaco”, e poi escono, mentre il ritmo un po’ rallentato favorisce una recitazione sicuramente efficace. La scenografia semplice ed essenziale mette in luce la personalità dei vari personaggi, e nell’ultimo atto il soffitto abbassato rafforza il senso del dramma imminente. Qui don Antonio, ferito a morte da una coltellata, per essersi intromesso in una questione della famiglia Santaniello, invita i vari personaggi ad una cena. Consapevole che la fine è vicina, vuole far credere di avere un attacco di cuore, per evitare la vendetta dei suoi figli sull’autore del delitto. La situazione è grottesca, tutti sanno ciò che veramente sta accadendo, eppure assecondano il gioco dell’abile burattinaio. Purtroppo in questo atto il ritmo po’ troppo rallentato fa perdere l’ironia e nell’insieme emerge solo il lato paternalistico, e un po’ stucchevole della vicenda. È il dottor Fabio della Ragione a dare lo scatto finale. Morto don Antonio, si rifiuta di obbedirgli e in un sussulto di coscienza attesta la vera causa della sua morte. Pronto ad accettare le conseguenze della sua azione, rompe così i vecchi equilibri, rifiuta ogni accomodamento, consapevole che solo la verità può rivalutare le azioni umane.