Un delirio di surreale onnipotenza: Loretta Strong dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa

Un delirio di surreale onnipotenza: Loretta Strong dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosadi Sandra Pietrini

Napoli, Galleria Toledo, dicembre 2015

Ci vuole molto coraggio per mettere in scena un testo come Loretta Strong di Copi. Ma alla compagnia Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa non difetta il coraggio. Il testo dell’artista italo argentino Copi, composto da un monologo delirante e a tratti urticante, fu messo in scena per la prima volta a Parigi nel 1974, al Théâtre de la Gaïté Montparnasse (e soltanto dieci anni dopo in Italia). Copi vi interpretava la parte del protagonista.

La Loretta Strong dei Marcido ha debuttato nel febbraio 2011 e si presenta come una collaudata prova d’artista: per circa un’ora Paolo Orrico è in scena da solo, crocifisso a un’astronave a forma di disco gigante, e investe gli spettatori con un monologo allucinato, intessuto di sensualità e disseminato di reiterazioni ossessive, a partire da quel “Pronto, Linda”, con cui introduce ogni spezzone di telefonata all’amica del cuore, sospesa all’altro capo dell’universo ma trasformata via via in materia organica più o meno informe. Tutto passa attraverso la visione stralunata del protagonista, che sembra galleggiare in uno spazio infernale di creature mostruose, mostri e oggetti quotidiani che attraversano il suo corpo e lo fecondano, con una metamorfosi continua degli esseri e delle cose. Intrappolato nella macchina cosmica, immerso nel suo delirio logorroico di sollecitazioni sensoriali, viene penetrato da topi e pipistrelli, e addirittura da un frigorifero, forse lo stesso in cui ha rinchiuso pezzi di un cadavere e il lussurioso signor Drake. Tormentato e torturato in vari modi, ogni volta rinasce pieno di energia, quasi un’araba fenice a forma di gigantesca farfalla dal petto villoso: uomo e donna al tempo stesso, lezioso e affettato ermafrodita capace di generare mostri e autorigenerarsi, di rilanciare impavido il suo progetto di coltivare l’oro su un pianeta da colonizzare. Corpi in disintegrazione e ricomposizione sono evocati dal fiume inarrestabile e farneticante di parole, che sembrano anch’esse possedere il corpo del protagonista, vittima impudente e spudorato carnefice di processi inarrestabili di metamorfosi organica. Grazie a una capacità espressiva in cui carne e voce si fondono, agganciando lo spettatore in una morsa di attrazione per l’orrido e il mostruoso, Orrico crea una realtà che sembra ispirarsi all’universo fantasmagorico del fumetto fantascientifico, dove tutto è possibile, dove una giostra infernale di creature aliene si rincorrono a velocita supersonica. Del resto, Copi di fumetti se ne intendeva, anche se il suo personaggio della “donna seduta”, rappresentante di una mentalità ristretta piccolo-borghese, non aveva niente di dinamico né tantomeno di psichedelico. Era, tuttavia, un personaggio votato a un surrealismo sui generis, con l’ironia tagliente dei suoi algidi dialoghi con il topo gigante e i suoi pacati, caustici paradossi. La carica eversiva di Loretta Strong è tuttavia qualcosa di più, soprattutto se la immaginiamo nel contesto di una società, quella degli anni ’70, ancora segnata da un forte perbenismo e da un rifiuto sostanziale dell’omosessualità. Ma il testo è soprattutto un gioco, una provocazione surrealista che fa esplodere dall’interno gli schemi della tradizione teatrale. Ed è infatti molto azzeccata la scelta dei Marcido di collocare il monologo all’interno di un’essenziale cornice futuristico-dadaista, ridendo per primi della propria creazione e liquidando ogni tentativo di sovrainterpretare ciò che vuole semplicemente essere ciò che è, senza impalcature ideologiche né proiezioni. Ecco allora che Loretta Strong può rivivere e acquisire un senso anche quarant’anni dopo, senza cadere nella tentazione di farne un monumento di datata trasgressività. In un periodo di spettacoli per solo performers improntati a un revisionismo piagnucoloso e a un’insopportabile banalità, di attori improvvisati prestati dalla televisione, di sviolinate retoriche e risate pilotate, assistere a una grande prova d’attore come questa è quasi un risarcimento. Un delirio di onirica e surreale onnipotenza pseudo-fantascientifica che lascia il segno.