La frantumazione dell’“io” femminile

La frantumazione dell’“io” femminiledi Enrico Piergiacomi

Rifiuti Speciali è una compagnia trentina composta dalle attrici Manuela Fischietti, Ornela Marcon, Beatrice Uber, che da diverso tempo lavorano a una “trilogia sulla maternità”. L’attività è cominciata con No Kids - Stato di gravidanza e oggi prosegue con lo spettacolo M.Other. Scritto dalla stessa Manuela Fischietti, che cura anche la regia, lo spettacolo propone una riflessione sul come la donna abbia perso la propria identità, essendosi frammentata nei vari ruoli che la società esige da lei, a prezzo di ciò che ella ha di autentico.

Il punto emerge già dal titolo del lavoro. La madre (mother) non è mai una donna, ma sempre qualcosa di “altro” (other) dalla donna. Ella porta in sé, per così dire e che lo voglia o meno, una sorta di marchio che induce le persone con cui interagisce a darle una funzione e una fisionomia diversa, sulla scia di alcuni pregiudizi, spesso falsi o semplicistici. Se si confronta con il mondo del lavoro, la madre non è vista come una donna che cerca di realizzare i suoi talenti e le sue aspirazioni, bensì come una persona che, dovendo accudire la sua prole, non ha tempo per nient’altro, né può rendere professionalmente quanto una persona senza figli. O ancora, essendo spesso sposata o compagna di un uomo, la madre non viene spesso percepita come una donna che può liberamente scegliere di fare qualcosa da sola, come ad esempio un viaggio di due settimane con le amiche, essendo ormai legata alle molte responsabilità della vita a due. In queste distorsioni, tutto sommato banali, si annida un grande potere distruttivo. La donna che è diventata madre viene privata di diritti / peculiarità che prima esercitava e potrebbe ancora esercitare, ma ne è impedita da quello che il consorzio sociale pretende. Da un punto di vista stilistico, tutto lo spettacolo è sviluppato nel segno della leggerezza. Benché il tema sia complesso e l’idea drammaturgica di partenza si presti alla concettualizzazione, le attrici di Rifiuti Speciali riescono sempre a evitare questo pericolo e non scadere nella facile polemica “femminista”, o più in generale nell’ideologia. M.Other è infatti prima di tutto un gioco teatrale, in cui si vedono tre madri che conversano tra loro e commentano, con bonarietà e ironia, le molte difficoltà e le molte sofferenze che patiscono a causa dei pregiudizi sociali. Ne nascono così alcune azioni comiche, dove quello che le attrici fanno risulta molto più eloquente delle loro parole. Si pensi per esempio al punto in cui le madri finiscono per mangiare la merenda preparata per i figli senza accorgersene, perché troppo prese a discutere su un tema a loro caro. Oltre che dalle azioni comiche, il gioco si compone poi di battute a doppio senso, canzonette, ironici stacchi coreografici che fanno ricorso ad oggetti casalinghi (buste della spesa, ombrelli, sturalavandini, ecc.) e fanno anche da momento di raccordo tra le varie scene. La leggerezza non va naturalmente confusa con la frivolezza. Il gioco a cui indulgono le tre madri è anzi serissimo, per almeno due ragioni. Da un lato, esso è diretto a colpire un elemento da cui tutti o almeno la maggior parte dei pregiudizi sulla maternità traggono alimento. Mi riferisco qui all’immaginario che vorrebbe che una madre sia per sua natura compenetrata e ispirata dal senso di sacrificio, il quale è letteralmente demolito dal comportamento sgangherato delle madri e delle loro azioni comiche. Il gioco scenico rivela che una donna può essere madre senza essere solenne, così come senza sacrificarsi per i propri figli. Del resto, il sacrificio non rientra tra i moventi delle protagoniste di M.Other. Lo spettatore nota molte volte che le tre madri molto spesso non guardano nemmeno distrattamente i figli che giocano tra gli alberi del parco e sono più prese a discutere dei loro problemi. Una seconda ragione della serietà del gioco di M.Other è che esso nasconde un profondo malessere. Le battute, i sorrisi forzati, le azioni comiche, le canzonette rivelano molte volte, infatti, il disagio che le madri non riescono a esprimere pienamente a parole. La conferma più evidente proviene dall’azione finale dello spettacolo. Le madri fantasticano di partire per una vacanza di sole donne danzando a ritmo della “canzone” Voglio andare ad Alghero di Giuni Russo, inframezzata però dalle voci sempre più insistenti e frequenti dei figli, che reclamano da loro attenzione e chiedono loro implicitamente di non partire. Esse si abbandonano così alla fine a un riso sguaiato che non ha nulla di piacevole e liberatorio, ma è solo la risposta isterica alle pressioni che ricevono dalla famiglia e dalla società esterna. Perdendo di vista il proprio “io” a causa dei pregiudizi, le donne di cui parla M.Other smarriscono in sostanza la propria serenità e la propria femminilità. Inoltre, si lasciano andare a un gioco che serve a nascondere questa perdita e a renderla più sopportabile. Tale interessante e al tempo stesso impietosa rappresentazione solleva così la questione: come ricomporre l’io che si è frammentato? A questa domanda non viene data risposta, perché Rifiuti Speciali si limita a diagnosticare il problema, ma forse ne darà una nella terza e ultima parte della trilogia.