Le doppie identità nella commedia di Oscar Wilde

Le doppie identità nella commedia di Oscar Wildedi Monica Anesi

Il nuovo anno 2015 è iniziato al teatro Verdi di Bolzano con la Compagnia di prosa di Geppy Gleijeses, qui regista e co-protagonista assieme a Lucia Poli e Marianella Bargilli, della famosa commedia di Oscar Wilde L’importanza di chiamarsi Ernesto. Un testo dal doppio registro, in cui l'autore ci svela con acuta leggerezza come dietro all’eleganza, la raffinatezza, il lustro dell’aristocrazia londinese, di età vittoriana, si celi una vita frivola, vuota, inutile, consapevolmente priva di quei valori che solo in apparenza si vuole difendere. La storia é quella di due amici di vecchia data, Jack e Algernon.

Il primo vive in campagna, dove è conosciuto come severo ed irreprensibile tutore di Cecily, ma “poiché vestire i panni di alta moralità è nocivo per la salute dell’interessato”, per scappare dalla campagna Jack si inventa un fantomatico e scapestrato fratello, Ernst appunto, che vive a Londra dove egli si recherebbe per porre rimedio alle malefatte del fratello. Di fatto Jack va in città per divertirsi, qui cambia identità, si fa chiamare Ernst, e tutti lo conoscono solo con quel nome. Il suo amico Algernon scopre questo gioco e confessa a Ernst/Jack di adottare anche lui un simile espediente: il suo amico, Burnbury, che, malato, vive in campagna, è una pura invenzione che gli permette di allontanarsi dalla città quando lo desidera, per sfuggire alle responsabilità e ai debiti. Ernst/Jack vorrebbe sposare la cugina di Algernon Gwendolen, la quale è innamorata di lui soprattutto perché si chiama Ernst, un nome “divino“ che “produce delle vibrazioni“. Ma, la madre di lei, Lady Bracknell, non consente al matrimonio, giacché Ernst, seppur ricco, non ha nobili natali (è un trovatello). Per porre rimedio alla situazione gli consiglia dunque caldamente di trovarsi un genitore blasonato prima della fine della stagione. Il titolo dell'opera fa leva sul gioco di parole tra l'aggettivo earnst – onesto – e il nome Ernst – Ernesto, ed è infatti  emblematico come, attraverso una serie di paradossi, i personaggi riescano, con assoluta noncuranza, a sovvertire il principio di verità e falsità, sia dei fatti, sia delle stesse identità. L’ironia è lo strumento che scopre l’ipocrisia ed è l’assoluta protagonista di questa commedia, dove i personaggi si rivelano con battute affilate e bruciante sarcasmo, che hanno tanto più effetto quanto più, per contrasto, è mantenuta l’inappuntabile, presuntuosa, nobile facciata. Gli equivoci e le situazioni comiche che via via si vanno dipanando, più che far ridere fanno sorridere, e non di rado a denti stretti. Purtroppo lo spettacolo di Gleijeses non è riuscito, a mio avviso, a tradurre in modo convincente queste peculiarità. La scenografia del primo atto, che si dovrebbe svolgere in un salone arredato con lusso ed estro, era invece un interno con un paio di divani d’epoca, un tavolino, un narghilè ed un fondale nero su cui campeggiava un enorme ritratto, la riproduzione del famoso quadro di Guido Reni di San Sebastiano trafitto, notoriamente patrono, secondo le dichiarazioni del regista, degli omosessuali. Una scelta incongruente e non opportuna, che ha appesantito la scena e non ha favorito lo spettatore nel cogliere l’acuto sarcasmo dei dialoghi. La scelta poi di far interpretare Algernon ad una donna (Marianella Bargilli) non mi pare appropriata, sia per la fisicità del personaggio, troppo magro, minuto, sia per la recitazione che non sempre ha fatto emergere la tagliente beffa dietro le battute di Algernon. Così non sono stati colti appieno né l’ironia, né le pungenti contraddizioni che imperniano il dialogo tra i due amici, in particolare quando parlano di fidanzamento e matrimonio. Inoltre, nella concitazione della recitazione, non hanno quasi lasciato traccia battute fondamentali come quella di Algernon: “Oh!è assurdo definire con regole precise quel che si deve leggere o no. Più della metà della cultura moderna si fonda su quel che non si dovrebbe leggere”, oppure “La verità è raramente pura e mai semplice”, o anche “Sembra che tu non ti renda conto che nella vita coniugale due è il deserto e tre è il numero perfetto”. Sicuramente più convincente e centrato è stato il personaggio di Jack (Geppy Gleijeses), distaccato, disincantato, nel primo atto ha saputo trovare i giusti toni misurando comicità e ironia. Altrettanto si può dire di Lady Bracknell (Lucia Poli), la zia di Algernon; efficace la sua interpretazione, ironica, furba, arguta, poiché la Poli ha saputo alternare il tono ironico e quello comico, caricando a volte il suo personaggio, ma senza mai esagerare. Nella seconda parte della commedia riesce poi magistralmente a far ruotare tutti quanti attorno al suo personaggio. Qui il regista ha preferito, date le situazioni, far prevalere nella recitazione il registro comico. L’ambientazione è il giardino, piuttosto cupo per la verità, della casa di campagna di Jack, dove, a sorpresa, arriva Algernon, curioso di vedere dove vive l’amico e di conoscere Cecily. Qui egli si presenta come Ernst, e così la ragazza pensa che questi sia il fratello scapestrato del suo tutore. Comunque, in cuor suo, lei ha già deciso di sposarlo, proprio per il nome che porta, poiché “c’è qualcosa nel nome di Ernest che ispira una grande fiducia. Non posso che compiangere tutte quelle povere donne sposate il cui marito non si chiami Ernest”. Entra poi in scena Gwendolen, anche lei è giunta per vedere il suo amato Ernst, e per alcuni minuti le due donne, inizialmente grandi amiche, si sfidano a suon di battute velenose dato che credono di amare la stessa persona. Un gran pasticcio, che si risolve alla fine quando Gwendolen e Cecily, scoperte le identità di Jack e Algernon, decidono di perdonarli allorché scoprono che questi erano seriamente intenzionati a farsi ribattezzare, pur di chiamarsi Ernst. Così le coppie si riuniscono, Lady Bracknell consente alle nozze tra Algernon e Cecily, specie dopo aver verificato quanto ingente sia patrimonio di lei, e tra sua figlia Gwendolen e Jack, giacché a seguito di una serie di coincidenze si scoprono i veri natali di Jack, ossia che questi in realtà é il figlio della sua defunta sorella, cioè é fratello di Algernon. Naturalmente il suo nome di battesimo, ignorato dallo stesso Jack, altri non poteva essere che Ernst. Il registro comico ha reso più godibile e rilassante la seconda parte. Ciò nondimeno questo testo cela tra i suoi complicati intrecci una vera e propria tragedia, che il regista ha voluto far emergere attraverso le cupe scenografie. E tuttavia, l’amaro dietro le battute, solo apparentemente divertenti di Wilde, è rimasto quasi celato.