ll dolore trasformato: Pirandello inaugura la stagione teatrale bolzanina

ll dolore trasformato: Pirandello inaugura la stagione teatrale bolzaninadi Monica Anesi

La stagione teatrale bolzanina 2014/2015 è stata inaugurata giovedì 6 novembre dalla locale Compagnia dello Stabile con La vita che ti diedi, un dramma del 1923 di Luigi Pirandello. La regia è di Marco Bernardi, la scenografia di Gisbert Jaekel, i costumi di Roberto Banci, i suoni di Franco Maurina, e le luci di Massimo Polo. Il tema principale è la trasfigurazione del dolore di una madre per la lunga assenza del figlio (sette anni) e per la sua morte, evento che dà inizio al dramma teatrale. La protagonista, (Donn’) Anna (Patrizia Milani), cerca di alleviare l’angoscia per l’assenza del figlio attraverso il ricordo, cristallizzando l’immagine di lui al momento della partenza (biondo, dalla folta chioma, lieto e con gli occhi ridenti).

A questa vivida immagine, tenacemente rafforzata e alimentata negli anni, lei si aggrappa, con tutte le sue forze. E allorché vedrà tornare a casa un uomo triste, con gli occhi spenti, quasi calvo, non riconoscerà suo figlio, ancor più quando, pochi giorni dopo, questi morirà. Poiché è l’altro, quello del ricordo, il figlio che lei aspetta. Anna è convinta e convincente, i personaggi che le girano intorno non riescono a dissuaderla, anzi sono coinvolti in questo gioco loro malgrado. Così l’affettuosa e premurosa sorella (Donna) Fiorina (Gianna Coletti), ed il prete Don Giorgio (Carlo Simoni), che bene ha saputo modellare le diverse sfumature di questo personaggio, a volte ingenuamente prevedibile, altre assai profondo ed acuto. Entrambi cercano di persuadere Anna ad accettare la realtà, ossia che l’uomo morto nella stanza accanto è, di fatto, suo figlio. Ma Anna si oppone: Dio vuole che suo figlio viva ancora ma non della vita che Lui gli ha dato qua, ma di “quella che gli ho data io, si, sempre! Questa vita non gli può finire finché la vita duri in me”. Il vivo ricordo, la memoria, il sogno: sono questi che alla fine diventano (per ciascuno di noi) percezione del reale. E comunque la vera ragione per qui si piange la morte è diversa da ciò che si crede. Noi, dice Anna, non piangiamo chi viene a mancare, ma la nostra vita in chi muore. Perché chi muore non può più dare a noi nessuna vita. Don Giorgio e Fiorina nulla possono fare, nemmeno quando Anna, ricevuta la lettera destinata al figlio da parte della sua amante Lucia Maubel, decide di risponderle, come se fosse lui a scriverla, e la invita ad arrivare a casa. Il fatto è che Anna spera attraverso lei di potersi alimentare di quell’amore che, come il suo, è nutrito dal ricordo. All’arrivo di Lucia (Irene Villa), Anna si comporta come se il figlio fosse vivo, tanto da sostenere che questi è partito, ma che tornerà. Lucia è frastornata, confusa, per raggiungere il suo amato ha dovuto affrontare un lungo viaggio lasciando a casa l’odiato marito e figli, ma soprattutto è incinta del suo amante. Il personaggio è intepretato un po’ sopra le righe, con un eccesso di gesti, con un tono di voce troppo spesso stridulo, esibendo un dolore e un’agitazione poco trattenuti. Tratti questi più consoni ad una giovane ed inesperta ragazza, mentre Lucia è una donna sposata, con due figli, che da anni vive, non senza tormento, una relazione platonica di amore profondo con il suo amante, e che solo alla fine ha ceduto al desiderio, ricavandone tuttavia un profondo senso di colpa. Lucia aprirà il suo cuore ad Anna, la quale trova in questa gravidanza una nuova speranza: la continuazione della vita di suo figlio. Ora Lucia non vuole più tornare indietro, ma rimanere lì ad aspettare il ritorno dell’uomo che ama, assieme ad Anna che la chiama “figlia”. L’arrivo di Francesca Noretti (Giovanna Rossi), la mamma di Lucia, rompererà questo debole equilibrio. La Rossi riesce a dare al personaggio la giusta concretezza, lucidità e fermezza, è la voce del buon senso che non viene mai meno. Anziché farsi persuadere da Anna a non rivelare nulla, farà cadere il suo fragile castello di carta: sarà lei a dire alla figlia della morte dell’amante. Lucia disperata, sbigottita, gettata a terra tra le lacrime, alla fine rivelerà che lei, in fondo, lo sapeva, erano anni che lui si spegneva sempre più ogni giorno, e quando si erano salutati per l’ultima volta lui le aveva detto che sarebbe tornato a casa a morire. Davanti a tanto dolore e disperazione Anna si risveglierà dalla sua allucinazione, vedrà il figlio così com’egli era e  prenderà finalmente coscienza della sua morte. “Figlio mio! – le tue carni! – te ne sei andato così – misero, misero! E io… io t’imbalsamavo vivo.” Anna tenterà di trattenere Lucia, di far restare accanto a lei ciò che rimane di suo figlio, ma poi avrà il sopravvento la realtà: appena Lucia sarà madre, Anna non lo sarà più. Ora tocca a Lucia consumarsi per il figlio che deve nascere, e rimanere da Anna non avrebbe più senso. Così la disperazione cede il passo alla rassegnazione (veramente lodevole in questo punto la resa della Milani), condizione che Anna conosce molto bene. E poi la morte in fondo è ben questa: affaccendarsi, martoriarsi, consolarsi, quietarsi, vivendo così di giorno la vita che scorre. Il dramma rappresentato è fedele al testo originale. La scenografia è molto semplice: un palco bianco rialzato e tutt’intorno pareti bianche, una grande finestra sulla sinistra, una porta sulla destra e sul fondo una grande finestra. Arredi semplicissimi di legno scuro: una panca, una scrivania, una sedia. Il biancore delle pareti rende lo spazio quasi metafisico e astrae la scena; così il dolore rappresentato, che di per se sarebbe quasi insopportabile, rimane, per lo spettatore, su un piano mentale e il coinvolgimento emotivo resta un passo indietro. Lo spessore della protagonista Anna (Patrizia Milani) è reso in modo in modo efficace, così anche i suoi diversi stati d’animo, e il dolore profondo, tutto interiore, mai sguaiato, che cede solo alla fine con un pianto liberatorio. Una particolare menzione va fatta di Riccardo Zini, il giardiniere, seppure con un ruolo di secondo piano, ha saputo rendere efficace e convincente il suo personaggio.