Il diluvio nella secca. A proposito de L’uomo nel diluvio di Valerio Malorni

Il diluvio nella secca. A proposito de L’uomo nel diluvio di Valerio Malornidi Enrico Piergiacomi

Le differenze tra noi Italiani e Noè sembrano in sé infinite. Le donne e gli uomini dell’Italia del 2014 godono di agi, servizi, risorse materiali che un uomo antico non avrebbe potuto neanche immaginare e che sembrano crescere col tempo sia di numero, sia di qualità. Noè fu invece un patriarca di 600 anni, costretto da dio a costruire un’arca e a lasciarsi tutto alle spalle, per ripopolare un mondo corrotto e malvagio che necessitava di essere purificato da un enorme diluvio. Le donne e gli uomini dell’Italia del 2014 abitano quindi un mondo in veloce evoluzione, mentre Noè ne lascia uno sul punto di estinguersi. 

Eppure, lo sguardo più attento e lucido di Valerio Malorni - autore e interprete del bellissimo spettacolo L’uomo nel diluvio - sottolinea che vi è una fortissima somiglianza tra noi Italiani e Noé. Anche le donne e gli uomini dell’Italia del 2014 si trovano a dover fuggire da un diluvio imminente: un «diluvio sociale», che sta sistematicamente distruggendo i diritti e i valori condivisi dei cittadini, i quali allora decidono di lasciare in massa il loro paese di origine, sperando che nella nuova terra le loro competenze e i loro desideri possano trovare espressione. Malorni esplora con il suo spettacolo questa analogia, raccontando la sua personale fuga dall’Italia verso Berlino, dove auspicava di trovare un futuro migliore per sé e per la sua figlia bambina.

Il modo con cui l’artista raggiunge questo scopo genera a prima vista ripugnanza. La recitazione adottata risulta sin dall’inizio dimessa, monotona e stanca. Inoltre, Malorni si aiuta di continuo con la musica e con frequenti richiami all’arca collocata in fondo al palco, rappresentata da una mezzaluna di cartone leggermente sospesa da due fili e su cui vengono occasionalmente proiettati dei filmati, quasi come se fosse consapevole che il suo corpo e la sua voce non sono all’altezza del racconto dei fatti. Ma se si va oltre l’iniziale apparenza, si capisce che tutte queste cose sono scelte artistiche del tutto volute e, di conseguenza, molto raffinate. Malorni recita nel modo in cui si è detto perché vuole presentarsi come un anti-eroe, una persona che non è stata spinta a fuggire da un ideale che guida i suoi passi e rende calda la sua voce, ma da circostanze avverse che avrebbe preferito non affrontare e che in certi istanti gli danno l’impressione di essere un uomo di 600 anni, come l’antico patriarca. Ciò porta a una dissacrazione del mito di Noè e dell’analogia con il diluvio biblico da cui pure era partito, nonché alla comprensione che il diluvio sociale di oggi è diverso da quest’ultimo per due importanti aspetti.

Il primo è che l’inondazione del 2014 non ha nulla di soprannaturale o di divino. Essa non costituisce un drastico ma comunque benevolo mezzo per purificare un mondo malvagio, né è causata da un disegno sensato e conoscibile. Al contrario, il diluvio sociale costituisce solo un incomprensibile andare alla deriva, che quanto più continua, tanto più mostra di non dipendere da un’azione provvidenziale. Dice lo stesso Malorni, con la battuta più epigrammatica dello spettacolo: «più piove, meno c’è dio».

Dall’interpretazione dissacrante dell’artista emerge, poi, l’idea che la fuga dal diluvio non ripaghi con una terra pura e innocente da ripopolare, su cui gli uomini possono serenamente ricominciare da capo la propria storia. Malorni riferisce di essere stato costretto, da questa inondazione sociale, a passare da una secca all’altra, ossia dall’Italia che non gli offriva lavoro e sicurezze, alla Germania che garantisce un cattivo rifugio dalle difficoltà presenti. Con una ricca simbologia, infatti, l’artista sottolinea che Berlino mette al sicuro l’emigrante italiano dalle acquee solo perché le congela in neve, quindi imprigiona il fuggitivo in un ambiente freddo e ostile. Manca la presenza di un Sole che scaldi e sciolga i problemi in denso vapore. Al posto delle difficoltà che ha lasciato in patria, Malorni si trova ora a fronteggiare la solitudine, l’incomprensione dei vicini, una nebbia che copre tutto e tutti, la paura di non riuscire a dare anche qui un futuro soddisfacente alla bella figlia che intanto gioca, esplora, cresce.

Ma seppure questa fuga anti-eroica dal presente non conduce al vagheggiato benessere, essa porta nondimeno l’artista a comprendere una profonda verità sulla situazione di tutti quelli che, come lui, sentono ergersi la catastrofe imminente. L’esperienza berlinese gli insegna che non si rimedia al diluvio sociale con un’evasione e la ricerca di un presunto El Dorado in terra straniera. Occorre piuttosto creare un anti-diluvio, che opponga una forza uguale e contraria a quella che sta per abbattersi sulle nostre teste. Malorni lo individua nell’unione tra gli uomini, che non devono più fuggire da soli per trovare il loro personale giardino fiorito, ma appunto affrontare compatti il disastro che può ancora essere evitato, diversamente da quello di Noè. E tale unione viene a sua volta raggiunta con le lacrime che si sciolgono a seguito di alcuni «sopralluoghi emotivi», in altre parole con una sincera adesione sentimentale alle disgrazie degli altri, dalla quale scaturirà in seguito l’energia necessaria a risolverle.

L’incarico di compiere questi sopralluoghi è demandato niente meno che al teatro. Infatti, Malorni conclude il suo racconto riferendo che la soluzione al suo isolamento di Berlino fu la messa in scena ai Tedeschi proprio dello spettacolo che si sta recensendo, con l’obiettivo di far capire ai loro occhi stranieri il motivo della folle fuga di molti Italiani dal proprio paese. Il risultato fu di portata più ampia rispetto a quella prevista. Un critico del giornale tedesco Der Spiegel recensì il lavoro con delle toccanti parole, dalle quali emerge che la visione del lavoro portò lui e gli altri spettatori a comprendere molte cose. Vedendo il movimento disperato di Malorni sulla scena, che annaspa nel suo racconto per cercare un po’ aiuto e conforto, i Tedeschi hanno appreso della loro mortale immobilità verso gli Italiani e della necessità di prestare loro soccorso. Il «sopralluogo emotivo» di un Italiano in fuga ha così creato solidarietà tra due popoli prima estranei e ora fratelli.

Verso la fine dello spettacolo, Malorni evidenzia questa sua vittoria sulla solitudine e sulla paura da cui era stato a lungo afflitto recitando la stessa recensione del critico del Der Spiegel, con voce adesso accesa e con postura dritta. Quindi, saluta i suoi spettatori proiettando sull’arca sullo sfondo il famoso spezzone del film Singin' in the Rain, dove Gene Kelly canta felice sotto la pioggia. Dal clima dimesso con cui si era aperto, lo spettacolo termina con l’impressione che la mezzaluna che rappresenta l’arca dischiuda un grande, rassicurante sorriso.