Riccardo III, la forza delle parole e le conturbanze del Male

di Veronica Bolognani

Un Riccardo III a tinte forti, quello andato in scena al Teatro Sociale di Trento per la regia di Alessandro Gassmann. Uno spettacolo che tra atmosfere goticheggianti e suggestioni cinematografiche ripropone in modo accattivante e talvolta spiazzante l'opera di Shakespeare. Gli attori vestono vistosi costumi (uniformi militari o abiti dai colori sgargianti) – peraltro non riconducibili tutti alla stessa epoca storica - e si muovono sul palco nella penombra, spesso dietro a due teli trasparenti leggermente oscuranti.

Attraverso l'impiego di proiezioni video e di musiche forse azzardate, ma sorprendentemente congeniali come I got a woman di Ray Charles e Brothers in arms dei Dire Straits, al dramma è garantito dinamismo e un incedere a ritmo sostenuto. La traduzione e l'adattamento del testo shakespeariano, di Vitaliano Trevisan, hanno voluto e saputo mantenere, nonostante l'eliminazione di alcune scene e di molti personaggi, l'immediatezza comunicativa del testo originale, contribuendo in buona parte a rendere lo spettacolo avvincente e godibilissimo. Risulta funzionale a questa operazione di semplificazione dell'intreccio il ripensamento del personaggio di Tyrrel (Manrico Gammarota), quasi sempre presente in scena, braccio armato di Riccardo e a lui in un certo senso complementare. É lo stesso Gassmann ad interpretare in modo estremamente ispirato il ruolo del perfido duca di Glouchester, uomo truce e brutale, fisicamente imponente, quasi ingombrante ma di sottile ingegno; un uomo che appesantito da una gamba sciancata ed irrigidita, cammina trascinandosi tra smorfie e spasimi quasi bestiali. Risoluto nel perseguire i propri piani delittuosi, difettoso per natura e per scelta deliberata, Riccardo appare come l'incarnazione del Male: esecrabile e sfrontato, tuttavia non antipatico, anzi, piuttosto brillante finanche carismatico. Gli sventurati personaggi che vengono da lui ingannati, di fatto subiscono la fascinazione della sua eloquenza e ad essa si arrendono. Lo spettatore si trova perciò ad assistere all'abbruttimento dell'anima di un uomo già deforme nel corpo, che, come lui stesso ammette, realizza i propri intrighi armandosi soltanto di parole. Così la parola nella sua piena pregnanza di significato cela in sé fermenti tangibilmente infestanti e devastanti; ne sono prova altresì le numerose maledizioni che sembrano aleggiare sulla scena, pronunciate come sfogo esasperato dai personaggi ma al contempo dagli stessi accusate come insostenibile giogo. Alla fine ciascun personaggio - in particolare Anna (Sabrina Knaflitz), Elisabetta (Marta Richeldi) e Margherita (Mauro Marino) - resta in qualche modo avviluppato nel proprio strascico di risentimento e soccombe sotto la lucida malvagità di Riccardo e la rete di implicazioni da lui creata. Senza dunque sfumature di alcun tipo, forte di un linguaggio scaltrito e non pretenzioso, questo intenso e grottesco Riccardo III, oscillante tra spregiudicatezza e ricercato magnetismo, nel rispetto della tragicità della vicenda inscenata riesce ad irretire, non risparmiando al pubblico momenti esilaranti.