Zeno Cosini: una metafora dell'uomo moderno

di Sara Bellebuono

L’8 febbraio 2014 il pubblico trentino ha calorosamente applaudito la compagnia del teatro Carcano di Milano diretta da Maurizio Scaparro, che ha portato in scena La coscienza di Zeno. Lo spettacolo è tratto dal celebre romanzo di Italo Svevo pubblicato nel 1923 che, grazie all’incoraggiamento di James Joyce, ottenne un clamoroso e inaspettato successo.

Com’è noto, la storia analizza la psicopatologia quotidiana di Zeno Cosini, un personaggio enigmatico e ambivalente, un malato immaginario che per tutta la vita tenta senza successo di fumare l’ultima sigaretta. Come scrisse lo stesso Svevo, La coscienza di Zeno è la storia della vita e delle cure di Zeno. La sua autoanalisi avviene attraverso il racconto di alcuni episodi significativi della sua vita, come la drammatica sequenza della morte di suo padre, che poco prima di morire lo colpisce con uno schiaffo. L’autoironia presente nel romanzo è ben evidente anche nello spettacolo, ad esempio nella scena del maldestro e comico corteggiamento di Zeno alle quattro sorelle Malfenti, figlie di un ricco uomo di affari. Zeno passa dall’una all’altra tra dinieghi ed equivoci, si innamora della più bella, Ada (interpretata da una raffinatissima Guenda Goria), ma infine sposa Augusta (Antonia Renzella), l’unica che non lo rifiuta. Dopo il matrimonio Zeno si innamora di Carla, una giovane donna di condizioni sociali molto modeste con la quale intraprende una relazione extraconiugale, e avvia un’impresa commerciale con suo cognato Guido, destinata però al fallimento.
Per ragioni sceniche, nello spettacolo la cura che il dottor S. prescrive a Zeno non consiste nello scrivere la propria autobiografia che dovrebbe portare a galla i suoi pensieri inconsci. È questa la sfida che Maurizio Scaparro ha dovuto affrontare, ossia la difficoltà di realizzare uno spettacolo a partire da un romanzo introspettivo e complesso: i pensieri di Zeno, che nel romanzo di Svevo vengono espressi attraverso lo stream of consciousness, simbolo per eccellenza del modernismo della letteratura di inizio Novecento, nello spettacolo vengono narrati da Zeno attraverso il monologo, spesso accompagnato da un sottofondo musicale. La scenografia si è dimostrata molto efficace, costituita principalmente da vetrate mobili che permettevano non solo l’isolamento del protagonista da tutti gli altri personaggi, ma anche i vari cambi di scena. Giuseppe Pambieri ha dimostrato con grande abilità le nevrosi, i pensieri reconditi, le ambiguità di un personaggio così complesso come Zeno Cosini. Molto intensa e significativa è l’ultima scena dello spettacolo, che corrisponde alla parte finale del romanzo di Svevo, in cui Zeno opta per la libertà evitando di scegliere tra fumo e disintossicazione, tra salute e malattia, tra moglie e amante. Si dichiara sano di mente dal momento stesso in cui si rende conto che tutti gli esseri umani sono inesorabilmente malati. Alla fine Zeno afferma che solo una catastrofe inaudita potrà guarire l’uomo facendolo scomparire dalla faccia della terra: una metafora apocalittica che ci fa comprendere l’insoddisfazione e l’inquietudine di un uomo che si percepisce come corpo estraneo della società, in un mondo minacciato dalla guerra che sembra davvero votato alla distruzione.