Il "nulla" si addice ad Elektrika

Il "nulla" si addice ad Elektrikadi Enrico Piergiacomi

Elektrika è tante cose. È anzitutto una riscrittura lucida per il teatro dell’eterno mito dell’Orestea compiuta da Carmen Giordano, drammaturga e regista della compagnia Macelleria Ettore, che è stata messa in scena con la sua stessa regia presso il teatro Portland di Trento, in collaborazione con gli attori Maura Pettorruso e Stefano Detassis, anch’essi collaboratori storici della compagnia. In secondo luogo, è un libretto di un’opera techno e noir, dove lo spettatore può godersi la stupenda voce della cantante Chiarastella Calconi, la sua musica ipnotica e la profondità filosofica di alcuni suoi versi («Il sogno tradisce il pensiero», «Soli nell’universo leggi immobili ci rendono inafferrabili»). Ma soprattutto, Elektrika è un testo che affronta il difficile problema della lotta per l’identità contro le forze che tentano di annullarla e delle contraddizioni che ne emergono.

La scena presenta, infatti, Elettra e Oreste adolescenti, sorella e fratello in uno stadio avanzato di spersonalizzazione. Prima ancora di sentirli parlare, si odono attraverso la voce di Calconi i giudizi che altri hanno dato su di loro e che cercano di definirli in maniera negativa, a partire da alcuni comportamenti esteriori e superficiali. Lo spettatore può rileggerli sopra un piccolo tabellone elettronico, situato sotto la postazione della cantante: «emotivamente instabile», «non si applica a scuola», «non parla abbastanza di sé», e via dicendo. In seguito, Elettra e Oreste saranno oppressi dai ricordi della madre e del padre, presenze demoniche e invisibili che hanno preso consistenza materiale per spossarli con le rievocazioni di tempi felici, quando la famiglia era ancora unita e Clitemnestra indossava un vestito verde per piacere al marito, che sarà poi fatto a pezzi da lei con un’accetta. L’unico strumento che essi attuano per contrastare tutto questo è la musica, ascoltata ad altissimo rumore in cuffie o in discoteca, che da un lato riduce voci e ricordi a rumore innocui, dall’altro mette in comunicazione fratello e sorella mentre sognano. Ma si tratta, come le armi fatate delle favole oscure dei Grimm, di armi con contraccolpi pericolosi per chi le imbraccia. Infatti, la stessa musica che li difende dai ricordi e dalle voci li spersonalizza ulteriormente. Essa costringe Oreste a movimenti robotici-sincopati, che lo fanno girare in tondo nel piccolo spazio entro cui è compresso attorno a Elettra, a sua volta trasformata in una bambola da carillon, capace solo di vorticare su sé stessa, facendo ondeggiare le braccia come ali di cigno o pugnali affilati.
Proprio la musica in questione costituirà, tuttavia, un passaggio risolutivo nello spettacolo. Sulla scia di una delle melodie più intense, durante la quale grida al padre con leggera disperazione «regalami un’identità», Elettra si slaccerà un lembo del suo vestito. Oreste lo prenderà, instaurando un primo contatto fisico con la sorella lontana. E tale sarà la premessa dell’attuazione dell’omicidio di Clitemnestra. Nel momento che ne seguirà, fratello e sorella avranno per un attimo modo di riprendere l’identità perduta. Non a caso, entrambi riprendono allora movimenti più fluidi, morbidi, consapevoli e non più etero-diretti, mentre spariscono i messaggi prevaricatori che comparivano sul tabellone elettronico. Inoltre, subito dopo aver sparato alla madre, Oreste chiederà «chi sono?» a Elettra, e constaterà che egli ha ucciso per Clitemnestra e non per vendicare il padre, che per lui costituisce solo un vago ricordo infantile, anzi brandelli di memorie mal ricomposte, ma per sé, per «partorirsi», rivivere da zero. Ma sarà, appunto, solo un attimo. Perché la musica riprenderà subito il controllo dei corpi e delle menti dei due adolescenti, portandoli a festeggiare in discoteca, dove non si può pensare più a niente.
Il fatto che l’agnizione di Oreste e il recupero dell’identità passi per una delle forme più efferate di omicidio tradisce quel senso di contraddizione cui si è accennato all’inizio. Esso si estrinseca, prima di tutto, nel fatto che Elettra e Oreste respingono il nulla che li aggredisce dall’esterno con un’altra specie di nulla, quello interno dell’obnubilescenza e della perdita. In secondo luogo, la contraddizione si estrinseca nel fatto che la difesa dall’annullamento passa per un “annullamento di attacco”, che i figli rivolgono contro i genitori. Infatti, Elettra e Oreste rivivono attraverso la morte della madre e il ricordo del padre. Entrambe le estrinsecazioni della contraddizione fanno necessariamente sì che il ritorno in sé sia solo temporaneo e che i due adolescenti cadano presto in un nuovo annullamento. Del resto, questa è la dinamica che caratterizza il mito dell’Orestea, sin dai tempi di Eschilo. La colpa lavata con la vendetta del padre macchia il figlio di un’altra colpa, che sarà rilavata per macchiare di nuovo, fino a quando almeno la dea Atena non interverrà per interrompere la spirale. Di un dio analogo non si rileva, però, oggi, che la sua assenza o il suo beato disinteresse.
In sostanza, lo spettacolo si caratterizza per la sua capacità di rivelare, nel non-detto che solo in teatro riesce a emergere con nettezza, che l’identità si conquista cercando di attuare strategie diverse dalla mera reazione violenta alle forze spersonalizzanti ed estranianti, giacché questa non conduce ad altro che ad una diversa spersonalizzazione ed estraneità. Dietro l’apparente tono cupo, dunque, Elektrika veicola una prospettiva costruttiva e positiva, che può essere rinforzata evidenziando una scelta registica, semplice e rivelatrice: quella di calare la scena dell’incontro di Oreste con Elettra e la sua agnizione finale nel silenzio, al riparo dalla musica. Ciò comunica che all’uomo è possibile avere momenti autentici, affrontando e passando per quelli vuoti o inautentici che costellano gran parte della nostra vita. Valorizzando i primi, si riesce in un certo senso addirittura a giustificare l’orrore che pervade i secondi. Non è, del resto, quello che è accaduto a seguito della prima Orestea? Che cosa avrebbe avuto di essenziale Clitemnestra, se Oreste non l’avesse uccisa in memoria del padre? E Agamennone sarebbe mai stato ricordato in eterno quale vincitore di Troia, senza la commovente dedizione filiale di Elettra? I figli generati arrivarono a generare i loro genitori, consegnandoli alla vita immortale del mito.