Almanacco della donna italiana

Direttori: Silvia Bemporad, Gabriella Aruch Scaravaglio, Margherita CattaneoScarica la copertina in formato .pdf
Anno primo: 1920
Anno ultimo: 1943
Periodicità: annuale
N. fascicoli: 24

 

Scheda e indici a cura di Paola Gaddo

L’«Almanacco della donna italiana» nasce a Firenze nel 1920 come nuova proposta da affiancare all’«Almanacco Italiano», specifica per il pubblico femminile e creata dalla rivista romana «La Donna» e dall’editore Bemporad. La storia della pubblicazione si snoda attraverso anni particolarmente importanti e densi di avvenimenti nella realtà italiana e presenta ventiquattro fascicoli che raccontano le annate dal 1920 al 1943. Essendo un almanacco così longevo, caratteristica consueta per il genere proposto dall’editore fiorentino, si possono individuare in modo sufficientemente definito i diversi periodi che ne disegnano tratti, peculiarità e trasformazioni specifiche.

Alla sua uscita l’almanacco viene diretto da Silvia Bemporad, moglie dell’editore Enrico, coadiuvata da Giuseppe Fumagalli per i primi cinque numeri e curatrice del periodico fino al 1936. Dall’anno successivo la direzione viene assunta da Gabriella Aruch Scaravaglio per un intero biennio. A partire dal 1939 fino all’uscita dell’ultimo numero, la pubblicazione, ora edita da Marzocco, conosce una nuova evoluzione sotto la direzione di Margherita Cattaneo.

I fascicoli fiorentini, pur esibendo le caratteristiche tipiche di uno strumento di cultura popolare quale l’almanacco, e nonostante la loro impostazione piuttosto leggera e filtrata, sono in grado di registrare i momenti più discussi della storia italiana del Novecento, lasciando trasparire crisi, novità, contraddizioni e disegnando un efficace panorama della cultura degli anni Venti e Trenta, non solo legata al mondo femminile.

La caratteristica principale dell’annuario si collega proprio al modello di lettrice a cui si rivolge dal momento che intende tracciare l’immagine di una donna emancipata, politicizzata, militante nei movimenti femminili, pronta a far valere i propri diritti e a farsi riconoscere come elemento fondamentale nella vita culturale del paese. La rivista, infatti, viene costruita per offrire un’informazione completa, «tenendo presente sia i doveri della donna che il governo della famiglia, sia le sue aspirazioni a perfezionare le sue conoscenze, a elevare il proprio spirito con vantaggio della famiglia stessa e della società». L’almanacco vuole così farsi leggere come specchio dei tempi, ponendo fortemente l’attenzione sulla condizione della donna nel ventennio fascista e prefissandosi come obiettivo la diffusione di una mentalità consapevole dei talenti, dei diritti e dei problemi dell’universo femminile.

I fascicoli, che si rivolgono quindi anche a una donna professionista, lavoratrice, pienamente presente sia nella famiglia che nella società e di conseguenza pronta a fornire il proprio contributo per il progresso, si fanno promotori di una metamorfosi della questione femminile, rendendosi documento e testimonianza di un tentativo di sovversione delle imposizioni e delle limitazioni di un programma, quello fascista, nel quale la donna può realizzarsi solo come moglie, madre, casalinga o contadina. Sebbene l’almanacco non segua un’impronta prettamente politica, le tematiche legate al suffragio femminile, alla legge sul divorzio, alle normative sul lavoro muliebre sono componenti essenziali della sua storia. Dalle pagine della rivista traspare come le aspirazioni politiche, professionali e culturali delle donne vogliano trovare giusto spazio nella quotidianità, cercando di allontanare la visione retrograda che le riconduce alla figura di angeli del focolare, solamente adatte a sostenere la dominazione maschile.

Grazie alla lunga durata della pubblicazione e alle tematiche così diverse e così importanti in essa trattate, si possono rintracciare tre momenti fondamentali nell’arco di tempo della sua distribuzione, tramite i quali ricostruire i connotati di un almanacco soggetto a mutazioni di forma e di sostanza, condizionati da una realtà di notevole peso.

Il primo periodo comprende le annate 1920-1936 e si rapporta alla casa editrice Bemporad, strettamente collegata, per tradizione, ad annuari e lunari. In questa prima fase la direzione fornisce un’impronta decisamente eclettica e aperta alla rivista che offre un panorama articolato, dimostrando, anche attraverso gli editoriali, la necessità di realizzare le aspirazioni femminili, e l’interesse verso la tradizione da conservare come base per salire all’«elevazione graduale della massa femminile che va allenandosi a più vasti orizzonti, a più larghi respiri». I numeri prevedono al loro interno informazioni di carattere astronomico, le feste patriottiche e civili corredate da molte altre notizie utili riguardanti i lavori domestici e le ricette gastronomiche, per poi concludersi con un’“Agenda femminile”, inserto staccabile da utilizzarsi per la gestione del bilancio familiare, presente nei primi sette fascicoli. L’almanacco ospita inoltre alcune rubriche fisse che rimangono in tutta la serie del periodico in maniera pressoché inalterata: la “Rassegna del movimento femminile italiano”, una sull’eleganza femminile e altre specifiche su letteratura, arte, musica e sport, alle quali si aggiunge un bollettino di informazioni precise e aggiornate sulle “Società femminili italiane”. A partire dal 1927 i fascicoli presentano la serie intitolata “Medaglioni di donne illustri viventi”, rubrica nata in seguito ad un referendum indetto dalla pubblicazione stessa per individuare le dieci donne contemporanee considerate più illustri, per poi proseguire con una galleria di ritratti dettagliati e dedicati a diverse figure femminili di attualità. Oltre a celebrare l’opera e l’ingegno delle donne contemporanee, la rivista si occupa anche di mantenere vivo il ricordo di ciò che è ormai legato al passato più o meno recente, attraverso una serie di necrologi elogiativi nei confronti di personaggi femminili e tramite una serie di interventi destinati a individuare i centenari di personaggi artistici, storici e politici nonché di opere, letterarie, artistiche e musicali che ricorrono in quell’anno specifico. Sfogliando l’indice dei fascicoli si notano inoltre prose e poesie di autori rinomati tra i quali compaiono Ada Negri, Annie Vivanti, Guido da Verona e Matilde Serao tra le prime firme presentate.

Agli interventi di carattere pratico, riguardanti consigli per la cura della casa, della bellezza personale e dell’abbigliamento di moda, se ne aggiungono altri di natura storico-culturale e anche di matrice politica. Proprio all’interno di questi ultimi si individua una delle componenti in grado di conferire alla rivista fiorentina una portata innovativa, ma anche trasgressiva. Tali peculiarità emergono nell’intento del periodico di proporsi come fonte formativa ed educativa che desidera far conoscere le potenzialità femminili tramite la presentazione di ciò che è già stato fatto e la discussione in merito a cosa sia ancora utile e possibile effettuare. Questa successione di tematiche avviene nelle pagine dei fascicoli offrendo spunti dai diversi ambiti: le rubriche precedentemente elencate ospitano, infatti, attraverso le recensioni di opere artistiche e letterarie, di mostre e di concerti, il frutto dell’attività culturale delle donne; le rassegne sportive presentano le conquiste ottenute nelle varie discipline dalle atlete, aggiungendo un certo sapore spregiudicato alla pubblicazione che sembra vantare un atteggiamento privo di preclusioni. L’apice di tale caratteristica si raggiunge negli spazi assegnati alla politica, alle società e ai movimenti femminili e alla trattazione dei problemi connessi a tali argomenti. Le informazioni relative alle associazioni, al loro ruolo e alle loro finalità intendono far circolare l’idea di un ambito sociale comprensivo dell’apporto delle donne. Gli articoli dedicati ai movimenti femminili rappresentano un ulteriore e più profondo studio in tale direzione, con un taglio politicizzante.

Nei primi sei numeri la testata affida così la rubrica più “impegnata” dell’almanacco alla socialista riformista Laura Casartelli Cabrini, particolarmente attenta ai problemi dell’emancipazione femminile. Tramite il suo contributo, l’attenzione viene focalizzata sul ruolo della donna nel nuovo tessuto sociale, sui diritti e le responsabilità che le competono in base alle trasformazioni del vivere quotidiano, e sulla necessità di accrescere la presenza femminile nelle istituzioni politiche, partendo dalle fondamentali revisioni da eseguire nell’apparato legislativo. Occupandosi di questi argomenti, l’autrice fa leva sull’importanza di estendere il diritto di voto alle donne e insiste con forza sulla necessità di riconoscere e tutelare il lavoro femminile esattamente come quello maschile; in maniera inevitabile, quindi, prende decisamente le distanze dal fascismo, condannandone le scelte ideologiche effettuate nei confronti delle donne, categoria sacrificata, soffocata, esclusa.

A causa di una presa di posizione così chiara ed esplicita, nel 1926 la rubrica viene affidata ad Ester Lombardo, giornalista evidentemente condizionata dai dettami ufficiali e per questo autrice di una linea molto più morbida nei confronti delle argomentazioni connesse al femminismo italiano e alle problematiche della condizione delle donne. La rassegna del movimento femminile va via via ricucendo ogni segno spegnendo ogni focolaio di rottura, per adagiarsi su posizioni sempre più tradizionali e sempre più vicine a quelle imposte dalla tradizione di marca fascista. Una prudente cautela domina l’ultima fase del primo blocco della rivista, nella quale l’apertura degli interventi sulla politica, appartenenti alla prima metà degli anni Venti, lasciano il posto ad un conformismo che contraddistingue il periodico nel decennio successivo. Gli articoli che trattano questi temi si occupano ora di politica demografica, dell’importanza della donna come strumento per la salvaguardia della specie, dell’elogio della maternità e delle iniziative promosse dal fascismo per lo sviluppo del movimento dei Fasci femminili, istituzioni di natura totalmente diversa rispetto alle associazioni emancipazioniste.

L’abbandono delle note eclettiche e polemiche contraddistingue così la seconda fase della storia dell’almanacco, che ricopre gli anni dal 1936 al 1938. In questo nuovo periodo la rivista appare profondamente trasformata sia per il cambiamento ideologico che la domina, a causa degli avvenimenti connessi al conflitto italo-etiopico, sia per le vicende riguardanti la casa editrice Bemporad, costretta a un cambio di proprietà per motivi legati a una crisi economica. La direzione viene affidata alla Aruch Scaravaglio, la quale introduce modifiche nel formato, nella grafica e nell’impaginazione dei fascicoli, che smettendo la veste floreale dello stile liberty fino ad ora mantenuta, ne adotta una più rigorosa, che concorre a dare un’immagine inequivocabile di stile littorio. La testata è ormai funzionale al regime, si allinea con le posizioni ufficiali, dimenticando ogni velleità critica e ogni sostegno alle iniziative di salvaguardia sociale e politica dell’universo femminile. Nelle pagine dell’almanacco si rintracciano interventi sulla politica estera fascista, sui rapporti con la Germania, e sui movimenti letterari più recenti di quest’ultima.

Nonostante la necessità di fornire un’impostazione completamente diversa rispetto alla precedente, caratterizzata da una progressiva chiusura, l’almanacco tenta di coniugare l’ossequio alle direttive fasciste con quella certa spregiudicatezza che lo caratterizza fin dai primi numeri. Tale operazione si rende possibile ritagliando degli spazi in cui esercitare una certa autonomia, come quelli legati all’indagine letteraria. Le rubriche dedicate a questo settore mantengono viva l’attenzione verso la letteratura straniera, ampliando e arricchendo quello che si contraddistingue come un momento di vera apertura, puntuale negli aggiornamenti e corposo nel numero delle proposte. Continuando a seguire la linea tracciata nei primi numeri da interventi critici notevoli, come ad esempio quelli offerti da Montale in merito alle scrittrici di Francia, il periodico mantiene la capacità di offrire un pensiero critico indipendente e libero di indagare, da qualsiasi prospettiva, il prodotto letterario. A differenza di quanto accadeva precedentemente, in questa seconda fase della storia della rivista le pagine dedicate alla letteratura, anziché costituire un unico saggio, appaiono spezzettate in diversi articoli, nei quali tuttavia l’indagine critica si mantiene sempre puntigliosa e non indulge in recensioni di marca ufficiale, atteggiamento questo mai abbandonato nonostante la pressione della politica culturale fascista.

La pubblicazione intende così essere ancora una finestra aperta sul panorama del tempo, avvalendosi dei contributi di nuovi e validi collaboratori come Margherita Sarfatti, Enrico Falqui, Francesco Jovine, e inoltre delle firme piuttosto costanti di Ettore Allodoli per la critica letteraria, di Olga Resnevic, che fornisce una serie di articoli sulla cultura e sulle donne russe, e di Gianna Manzini, presente con diversi racconti. Accanto alla sezione letteraria, punto nevralgico e vero cuore dell’almanacco, i fascicoli si occupano inoltre di tematiche, come il cinema, la produzione discografica, la psicanalisi, che tentano anch’esse un’evasione dalla realtà politica, richiamata invece all’attenzione delle lettrici da articoli dedicati a delineare un consuntivo degli avvenimenti dell’annata precedente – ormai denominata secondo la numerazione fascista. Per quanto riguarda la questione femminile i numeri della pubblicazione appartenenti a questa fase pongono l’accento sull’importanza della presenza e dell’intervento della donna nell’Italia imperiale, insistendo sulla necessità del suo contributo assistenziale alla vita della nazione. Nonostante l’atmosfera sia dominata dall’impronta della retorica fascista, il mito di Mussolini rimane confinato ai margini dell’esperienza dell’almanacco, che cerca di svolgere il proprio ruolo di «eco fedele della vita, delle aspirazioni, del lavoro della donna», adeguandosi ai vincoli imposti da una realtà impegnativa.

Con il 1939 inizia il terzo e ultimo periodo della rivista fiorentina che ne segna anche il termine, nel 1943, con l’uscita del ventiquattresimo numero. La variazione più evidente riguarda la casa editrice che, dopo il varo delle leggi razziali, muta il nome in Marzocco e affida la direzione della testata a Margherita Cattaneo. L’impostazione dei fascicoli viene completamente riveduta, proponendo in questa ultima fase una struttura più agile e annoverando altri nuovi collaboratori. L’almanacco sceglie di abbandonare ogni tipo di critica esplicita nei confronti del regime e della guerra, e dimostra scarso interesse a proporsi come sostegno attivo della propaganda fascista, offrendo sempre meno spazio ad articoli di natura politica. Appaiono invece visibilmente incrementati gli interventi culturali e aumenta anche il numero dei testi creativi, narrativi e poetici, legati a nomi quali Corrado Tumiati, Bruno Cicognani, Alberto Savinio, Enrico Sacchetti, Alba De Céspedes. Degna di nota appare la pubblicazione di tavole di artisti come Primo Conti, Bino Sanminiatelli e Pietro Annigoni, che contribuiscono a elevare la qualità dell’interesse che la rivista dimostra fin dai suoi primi numeri nei confronti dell’arte. Se inizialmente l’apparato grafico dei fascicoli viene affidato alle matite di illustratori come Ezio Anichini, Piero Bernardini, Mario Vigolo, che lo arricchiscono e completano con i loro interventi, ora invece lo spazio offerto agli artisti è di altra natura, poiché li pone in una luce assolutamente autonoma e individuale.

La tendenza adottata dall’almanacco si divide in due livelli, apparentemente contrapposti, ma invece uniti dall’intento di rispondere alla realtà difficile della guerra, offrendo da un lato uno spazio di evasione attraverso un’ampia scelta di testi letterari, di articoli sulla moda, la bellezza e la cura della casa, e dall’altra intrecciandovi una serie di interventi sulla mobilitazione delle donne di fronte alla quotidianità di un paese belligerante. Il carattere che anima la rivista alla sua prima uscita viene difficilmente riconosciuto negli ultimi numeri, all’interno dei quali l’elemento più notevole rimane quello letterario, che raggiunge il suo apice nella rubrica tenuta da Irene Brin e intitolata “I libri che ho letto”. Questa contiene recensioni di opere italiane e straniere presentate dalla giornalista con stile brillante e libero dai limiti della censura. Gli articoli disegnano una panoramica completa sulla produzione letteraria internazionale, spaziando con equilibrio tra la letteratura europea e quella americana e introducendo, in modo raffinato ed elegante, una ventata di cosmopolitismo, che punta il dito contro la dominante angustia dell’atmosfera culturale italiana di quegli anni. Brin si occupa di delineare le caratteristiche essenziali della produzione femminile, senza tralasciare autori come Malaparte, Delfini, Landolfi, Brancati e gli ermetici, a cui fanno da contraltare i nomi di Lawrence, Proust, Stein, Cocteau, Gide, Woolf, Colette e gli americani Saroyan, Faulkner, Caldwell. La giornalista si interroga sull’efficacia della censura fascista alla stampa, e sull’effettivo controllo nel mondo culturale, restituendo all’almanacco qualche sferzata anticonformista. Proprio per i toni utilizzati nella rassegna letteraria, la distanza che separa questa sezione dal resto del volume rimarca evidentemente la natura antologica adottata dall’Almanacco, ormai completamente mutato e lontano dalla sua matrice di origine.

Nell’ultimo numero, oltre all’assenza del calendario, unico elemento che in questi ultimi anni ricollega ancora i fascicoli al genere degli annuari, la testata rinuncia alla denominazione di almanacco per diventare semplicemente «Donna italiana».

L’«Almanacco della donna italiana» si contraddistingue per la costanza con cui ha proseguito, nonostante le difficoltà, a produrre cultura in anni segnati da avvenimenti notevoli, mantenendo un intenzionale anticonformismo anche di fronte alla schiacciante autarchia fascista. La rivista, che ha lottato tenacemente per la salvaguardia di uno spazio intellettuale libero, destinato alla creazione di una nuova consapevolezza, costituisce un documento prezioso nella storia dell’evoluzione della condizione femminile, specchio delle diverse e difficili fasi di una questione storica.

 

 

 

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