La Diana

Direttori: Fiorina Centi, Gherardo MaroneScarica la copertina in formato .pdf
Anno primo: 1915
Mese primo: gennaio
Anno ultimo: 1917
Mese ultimo: marzo
Periodicità: quindicinale, ma irregolare
N. fascicoli: 25

 

Scheda, indici e immagini a cura di Francesca Rocchetti

Il primo fascicolo de «La Diana», diretta da Fiorina Centi, uscì a Napoli nel gennaio del 1915 col sottotitolo di ‘nuova rassegna mensile’; il gerente responsabile era Vincenzo Autiero. La stampa dei primi tre numeri avvenne a Napoli, nella scuola tipografica di via Ss. Filippo e Giacomo, 21. Tutti gli altri furono stampati nello stabilimento tipografico di Silvio Morano (Napoli, via S. Sebastiano, 48). Trasformata nel corso del 1915 (dal n. 3) in quindicinale, dal n. 3 del 1916 la rivista riprese la periodicità mensile. Nel 1915 furono pubblicali 14 fascicoli, tra i quali due numeri doppi (il 4/5 e 1’8/9); per il 1916 appena 10, con due numeri doppi (9/10 e 11/12). Un solo numero (doppio) fu edito nel 1917.

Per tutto il 1915 Fiorina Centi fu la direttrice della rivista, e l’indirizzo dell’amministrazione e della direzione fu quello della sua abitazione a Napoli in via Pontenuovo 9. Nel primo numero del 1916 mancava il nome della direttrice e la direzione e l’amministrazione venivano trasferite in via Duomo 36 presso l’abitazione di Mario Cestaro. Nel secondo numero si annunciava che la rivista sarebbe stata diretta, solo per il 1916, da un comitato di redazione. Una nota, firmata «La redazione», confermava: «Assorbita dalle cure della direzione didattica, compresa delle sue crescenti responsabilità, Fiorina Centi ha lasciata da qualche mese la direzione della “Diana” e l’ha affidata ad un comitato di redazione. Nomi? È inutile farne. I nomi non sono che superfluità oziose e accidentalità prive di significato, quando coloro ai quali si riferiscono siano tesi in uno sforzo concorde e fusi in una volontà sola».

Il prezzo iniziale di quattro soldi a fascicolo (l’abbonamento annuo era di Lire 3), fu diminuito a tre soldi dal n. 3 dell’anno I, fu aumentato nel fascicolo I dell’anno II a quattro soldi (l’abbonamento annuo fu stabilito a quattro lire) e successivamente a cinque soldi. Dal numero 11/12 del 1916 il prezzo veniva aumentalo a 10 soldi per le evidenti difficoltà finanziarie, mentre una nota avvertiva che il comitato di redazione avrebbe diretto la rivista per tutto il periodo bellico, e, «avendo indistintamente tutti i [suoi] collaboratori soldati e perciò distratti da più immediate cure», sarebbe stata pubblicata «in numeri doppi a date non prestabilite». Era il penultimo fascicolo, prima della sospensione nel marzo del 1917.

La rivista, inizialmente, rappresentò il debole e incerto organismo di un esile gruppo di aspiranti letterati che non avevano in comune neppure un programma teoricamente definito; espresse solo un velleitario protagonismo intellettuale e un generico sentimento di rottura non radicale con la tradizione letteraria e con gli ambienti culturali napoletani.

L’anonimo editoriale del primo numero, il Manifesto degli ardimentosi, esprime l’intento di una ricerca della bellezza perfetta, considerata la forma eterna dell’arte «come la prima forma della vita, come la radice del mondo, la sola meravigliosa realtà». Gherardo Marone – il vero animatore della rivista – nel fascicolo d’apertura, con l’intervento La barra, si assunse il compito di chiarire maggiormente la linea culturale del periodico. Egli vincolò l’appartenenza della «Diana» all’area futurista ma, come afferma Nicola D’Antuono, «in un modo così riduttivo e deformante che tale avanguardia assunse solo il significato di «giovinezza con tutte le sue febbri, ardimento e simpatica spavalderia, cieco amore del pericolo e folle desiderio di battaglie con la penna e con la spada, sempre e dovunque per un ideale di bellezza e un bisogno di liberazione» [N. D’Antuono (a cura di), La Diana: ristampa anastatica, Cava dei Tirreni, Avagliano, 1990, pp. 11-12]. Nella «Diana» il motivo della giovinezza – funzionale all’ideale patriottico e all’attivismo interventistico – caratterizzò fortemente i primi fascicoli. Molti furono gli articoli inneggianti alla guerra. Si può dire che, fino all’entrata in guerra dell’Italia, «La Diana» funzionò da supporto all’interventismo, con attacchi spietati ai neutralisti.

Una prima svolta nella rivista si ebbe con la pubblicazione del fascicolo 8/9 (15 luglio 1915): Francesco Meriano assicurò un numero consistente di prestigiose collaborazioni di provenienza futurista, lacerbiana e vociana. L’ingresso in redazione di Meriano era stato sollecitato perché Centi rischiava di restare sola a causa della partenza di Marone e Cestaro per la guerra. Per il resto del 1915 Meriano diventò uno dei maggiori organizzatori dei fascicoli, spesso destinando a sé e ai letterati che invitava a collaborare (Umberto Saba, Nicola Moscardelli, Arturo Onofri, Camillo Sbarbaro, eccetera), tutto lo spazio disponibile. A lui si deve l’introduzione nella «Diana» di una rubrica fissa di profili di poeti (“Anime”), alla quale lui stesso dette avvio con un ritratto di Umberto Saba. In seguito furono presentati De Bosis, Moretti e Gozzano, Onofri e Linati, Folgore, Buzzi, D’Alba, Fiumi, Lebrecht (Montano) e Moscardelli, oltre ai poeti della rivista Mario Venditti, Annunzio Cervi e Rocco Galdieri.

Numerosi e significativi furono i testi futuristi pubblicati da «La Diana» ad opera di Buzzi, Folgore, Mazza, Govoni. Anche Benedetto Croce dimostrò interesse per il periodico e concesse gli scritti Gl’idoli, apparso sul n. 5 del 1916, e La perfezione e l’imperfezione pubblicato nel n. 9/10 dello stesso anno.

Uno dei principali meriti della rivista napoletana fu quello di aver dato spazio a Giuseppe Ungaretti, che compose alcune liriche proprio a Napoli nel dicembre 1916, quando era ospite in casa di Gherardo Marone durante la prima licenza, dopo sei mesi passati nelle trincee del fronte di guerra. «La Diana» ospiterà le sue poesie Fase (n. 5, 1916), Malinconia (n. 7, 1916), Passaggio (n. 8, 1916), Nostalgia, (n. 9/10, 1916), Bisbigli di singhiozzi, (n. 11/12, 1916). Ungaretti ebbe modo anche di apprezzare le indicazioni compositive ricavabili dalle traduzioni di poesia giapponese che cominciarono ad apparire fin dal quinto fascicolo del 1916 grazie alla collaborazione di Gherardo Marone con il letterato Harukichi Shimoi, in quel periodo professore universitario all’Istituto Universitario Orientale di Napoli.

Il periodico cessò le pubblicazioni per l’incalzare degli eventi bellici e il progressivo richiamo alle armi di gran parte dei giovani collaboratori. L’attività del gruppo continuò attraverso i volumi stampati con la sigla della «Libreria della Diana»; vi apparsero opere di Annunzio Cervi, Auro D’Alba, Mario Cestaro, Arturo Onofri, Elpidio Jenco, e l’Antologia della Diana curata da Gherardo Marone. L’auspicata ripresa delle pubblicazioni fu impedita, tra l’altro, dalla scomparsa di alcuni importanti collaboratori come Cervi e Cestaro.

 

bibliografia

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