Il Rinnovamento

Direttori: Antonio Aiace Alfieri, Alessandro Casati, Tommaso Gallarati ScottiScarica la copertina in formato .pdf
Anno primo: 1907
Mese primo: gennaio
Anno ultimo: 1909
Mese ultimo: dicembre
Periodicità: mensile
N. fascicoli: 19

 

Scheda a cura di Elio Virdia

Il primo fascicolo de «Il Rinnovamento» – con il sottotitolo ‘Rivista critica di idee e di fatti’ – uscì a Milano nel gennaio 1907, formato in 8° grande e con 128 pagine. Dal numero di luglio-agosto 1907 il periodico aumenterà il numero delle pagine (solitamente sempre più di quelle promesse, da 160 a 240 circa), ma i fascicoli usciranno ogni due mesi.

Nelle Parole di introduzione con le quali veniva presentata la rivista, si legge: «Noi desideriamo che si sappia anzitutto che questa non è una rivista scritta per il gran pubblico. Deliberatamente rifuggiamo dalla folla che ama le divulgazioni enciclopediche». Questo orientamento dichiaratamente elitario trova la sua giustificazione nel significato stesso attribuito dai fautori al titolo e al sottotitolo della rivista: «[…] noi diamo alla parola «rinnovamento» un significato più umile, più intimo, più profondamente spirituale che non suoni per echi di vecchie e nuove retoriche […] Noi non siamo dei predicatori di palingenesi sociale […] sappiamo parlare solo un duro linguaggio di fatti e di idee. Ma siamo interrogatori di anime […] il miglior modo per giovare agli uomini è di far del bene profondo ai singoli […] Per riformare la coscienza di un paese bisogna cominciare a riformare delle coscienze»; ma, nello stesso tempo, sebbene fermamente convinti del ‘primato della coscienza’, essi rifuggivano qualsiasi forma di soggettivismo solipsistico, in quanto ritenevano che un rinnovamento ‘interiore’ non fosse separabile da nuove forme di socialità e di solidarietà tra il singolo e la comunità, nell’incessante cammino verso la verità e la liberazione: «[il singolo] sente che il suo lavoro deve essere di liberazione, e della sua esperienza soggettiva non fa la verità, ma vi attinge il desiderio delle esperienze altrui; e ha sete della verità che egli non possiede […] esaltandosi nella coscienza che egli può essere partecipe di una ricerca e di una esperienza collettiva del Vero».

Nell’intenzione dei promotori «Il Rinnovamento» doveva essere qualcosa di più di una semplice rivista tra le altre: doveva costituire il punto d’incontro di tutti coloro che, in Italia, sentivano il bisogno di reagire al «generale conformismo», per ridare vigore alla coscienza nazionale, «rialzare tutti i valori», e lavorare a una «generale elevazione della vita nello spirito del cristianesimo». Essa non nasceva soltanto in opposizione al tradizionalismo ecclesiastico, dunque, ma «era anche e più una reazione contro il neopaganesimo, il neoestetismo, il positivismo e lo scetticismo che corrompevano lo spirito italiano. Chi si accingeva a scrivere “Il Rinnovamento” pensava non solo di servire la Chiesa, ma di servire anche la cultura italiana. È certo che ciò che fu fatto con queste intenzioni non è andato perduto.» (T. Gallarati Scotti, La Vita di Antonio Fogazzaro).

È da tener presente, comunque, che il numero complessivo degli abbonati nei tre anni, tenuto conto della loro saltuarietà, dovrebbe essere stato di circa 1500; sicuramente di 800 nel luglio 1908, e di circa 600 al momento della cessazione nel 1909 (L. Bedeschi, Modernismo a Milano): un’emorragia di abbonati, soprattutto italiani, provocata dalla pesante campagna antimodernista (messa in atto dalla curia romana già da qualche anno ma che, dopo l’enciclica Pascendi dell’8 settembre 1907, si sarebbe via via intensificata perdurando per molti anni ancora). Cifre, queste, di un certo rilievo per una rivista dei primi anni del ‘900.

«Il Rinnovamento» nacque su iniziativa di un gruppo di giovani intellettuali cattolici, per la maggior parte esponenti dell’aristocrazia e della borghesia colta milanese, che gravitavano intorno alla centrale parrocchia di Sant’Alessandro, nella quale fu prevosto fino al 1907 padre Piero Gazzola. Sebbene di ascendenze altolocate i promotori delle rivista – pur riconnettendosi fisiologicamente, per così dire, ad alcune istanze del cattolicesimo liberale della seconda metà dell’ottocento (per ascendenze familiari e legami personali di amicizia, come quelle di Gallarati Scotti con Fogazzaro e di Jacini con il card. Bonomelli) – assunsero delle posizioni (rispetto, ad esempio, a due questioni di rilievo nel dibattito politico dell’epoca: la politica ecclesiastica e l’insegnamento della religione nei diversi ordini di scuola) che obiettivamente si collocarono in una direzione opposta a quella della classe di appartenenza, la quale vedeva di buon occhio un riavvicinamento tra lo Stato e la Chiesa su basi conservatrici e in funzione antisocialista (cfr. la prefazione alla terza edizione di P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia).

Furono da subito direttori della rivista Antonio Aiace Alfieri (1880-1962), Alessandro Casati (1881-1955) e Tommaso Gallarati Scotti (1878-1966), quest’ultimo soltanto fino alle sue dimissioni del dicembre 1907. Tra i primi redattori che operarono organicamente con una certa continuità, con fasi alterne e dopo la scomunica, pressoché tutti, avvalendosi di sigle o pseudonimi, vi furono Uberto Pestalozza, Stefano Jacini, Antonio Meli Lupi di Soragna, Giovanni Boine, Giuseppe Gallavresi, Pietro De Francisci, con compiti diversi, ma talvolta intercambiabili - lo studio del sincretismo religioso greco-orientale (Pestalozza), la storia dell’ebraismo e del primo cristianesimo (Soragna e Jacini), le problematiche del cattolicesimo in Germania (Jacini), il confronto con la filosofia crociana (Casati), le contaminazioni tra psicologia e mistica, poetica e mistica, politica e religione (Casati, Boine, Gallarati Scotti), etc.. Molti sono stati, inoltre, i collaboratori saltuari di diversa estrazione (anch’essi spesso servendosi di pseudonimi) nei tre anni di vita della rivista, ma anche quelli assidui, come Giovanni Amendola nell’ultimo periodo.

Rivista laica di ispirazione cristiana che escludeva, però, qualsiasi «apriorismo confessionale»: l’unica apologia concepibile, nel loro tempo, era «la ricerca stessa», fondamentale strumento per tentare di riconciliare, incessantemente, le idee e i fatti, il mondo della libertà e quello della necessità, la storia e la natura.
«Il Rinnovamento», in quel periodo di inizio secolo, si rivelò così un catalizzatore non secondario di quelle istanze alternative, oltre che al positivismo, anche alla neoscolastica e al neoidealismo immanentistico. Istanze che avrebbero potuto avere miglior fortuna se non fosse intervenuta pesantemente la repressione antimodernista, che ostacolò sistematicamente la continuazione di quegli studi sulla religione che spariranno da altre riviste che pure accolsero (o furono promosse da) ‘profughi’ del «Rinnovamento» (cfr. M. Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo), con l’eccezione, forse, e per un breve periodo, della Voce di Prezzolini. Invano, infatti, i rinnovamentisti si sforzarono di conservare e far intendere la peculiarità delle loro posizioni ‘moderniste’ (termine questo usato a partire dal 1904, nella Civiltà Cattolica, nell’accezione poi divenuta canonica con l’enciclica Pascendi, per definire il movimento riformatore nel suo insieme, ma che essi ritenevano estrinseco alle loro posizioni: non modernisti, semmai ‘moderni’). La loro rivista fu percepita come la ‘punta di diamante’ di tutto il movimento riformatore e, in quanto tale, presa di mira non solo dagli intransigenti della curia romana, ma anche da quegli intellettuali laici (da un liberal-radicale come Andrea Torre ai neoidealisti Croce e Gentile) che contrastarono, non compresero, o non vollero comprendere il loro percorso intellettuale e morale. Dopo un primo richiamo ai direttori da parte della Congregazione dell’Indice del 29 aprile 1907 vi fu il decreto Lamentabili del 4 luglio (nel quale venivano condannate 65 proposizioni di Loisy e di altri modernisti), poi l’enciclica Pascendi dominici gregis dell’otto settembre e, infine, la scomunica «maggiore» per direttori e collaboratori del 23 dicembre 1907.

La crisi definitiva si sarebbe, però, consumata, in modo anche inaspettato, sul finire del 1909 quando, nonostante i reiterati appelli a continuare e le offerte di aiuti economici anche da parte di alcuni padri spirituali della rivista (Semeria, von Hügel ecc.), Casati decise improvvisamente di interromperne la pubblicazione.

 

 

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