Recitare la giovinezza. Su "Banana split" dei "Bettedavis"

Banana split
Liberamente ispirato a Due ragazzi e una ragazza di Tobias Wolf
Di e con Davide Lorino ed Elisabetta Mazzullo
Regia Elisabetta Mazzullo
Musiche originali Davide Lorino ed Elisabetta Mazzullo (Bettedavis)
Costumi "Man and the city"
Luci Federica Rigon
Foto Donato Aquaro
Spettacolo vincitore della “Residenza Bellandi” presso il Teatro di Pergine.

Visto il 22 aprile 2018 al Teatro Portland di Trento
di Enrico Piergiacomi

 

Accade spesso che la riscrittura teatrale di un testo letterario presenti dei contenuti più profondi e interessanti rispetto all’originale da cui aveva tratto ispirazione, o diventi un’opera autonoma e dotata di vitalità propria. Ciò è senz’altro il caso di Banana split dei Bettedavis, composto dal duo artistico di Elisabetta Mazzullo e Davide Lorino.
Il lavoro in questione ha quale punto di partenza il racconto Due ragazzi e una ragazza di Tobias Wolff, reperibile ora nella raccolta Proprio quella notte (trad. Laura Noulian, Torino, Einaudi, 2001). Si tratta di un delicato e sincero tentativo di raccontare l’adolescenza: il periodo forse più pieno di speranze, possibilità, passioni, ma anche di inquietudine e insicurezze. Wolff costruisce un triangolo amoroso che lega due ragazzi (Gilbert e Rafe, che si considerano “migliori amici”) a una ragazza (Mary Ann). Mary Ann ama Rafe; Rafe chiede al suo migliore amico Gilbert di prendersi cura di Mary Ann, durante un viaggio che lo terrà lontano da casa per un mese; Gilbert ama – senza mai confessarglielo – Mary Ann, la quale sviluppa un legame di affetto verso di lui. Il lettore non scoprirà se il fidanzamento tra Rafe e Mary Ann sarà alla fine rotto, né se lei e Gilbert tramuteranno il loro sentimento privato in una relazione. Wolff lascia volutamente in sospeso la conclusione e, tuttavia, lancia attraverso le parole di Gilbert un messaggio etico. Bisogna cercare di sfuggire con ogni sforzo al «male della banalità» che si attraverso spesso nella vita, pagandone nel caso il prezzo e subendo cambiamenti anche radicali. Il triangolo dei due adolescenti pone con discrezione, insomma, questa domanda al lettore. Se tu fossi al posto di Mary Ann e Gilbert, sceglieresti di tornare alla vita regolare di prima, o romperesti gli equilibri per provare qualcosa di inconsueto?
I Bettedavis rispettano fedelmente la trama narrativa e, come nell’originale, lasciano in sospeso la risoluzione del triangolo amoroso, insistendo però in più rispetto a Wolff su una qualità poetica del dilemma appena esposto. Il titolo Banana split del loro spettacolo allude, infatti, alla complicata relazione in cui i tre personaggi si trovano invischiati. Essa è come il dolce omonimo, perché ricca di ingredienti molto diversi (un frutto salutare, la panna grassa e un gelato), come molto diversi sono tra loro l’ingenua Mary Ann, l’orgoglioso Rafe e il sensibile Gilbert. È inoltre preparata attraverso uno split, ossia un taglio deciso e netto. La banana viene del resto tagliata esattamente in due, per poter fare spazio al gelato e alla panna. Il triangolo che lega i tre personaggi è dunque un po’ come una “banana split” perché richiede un taglio netto e preciso, affinché le relazioni in gioco si trasformino da un groviglio di emozioni confuse in un rapporto buono e piacevole. Se lo split servirà a separare Mary Ann e Gilbert, o al contrario a “tagliare” il fidanzamento tra la ragazza e Rafe, è appunto come si diceva un punto lasciato irrisolto e nel silenzio.
Il risultato sarà comunque essenziale, perché investirà la qualità del tempo che i personaggi attraverseranno dopo lo scioglimento del triangolo amoroso. Si creerà un qualcosa di nuovo rispetto a quello che c’era “prima” e che c’è “ora”. L’esito potrebbe forse essere in positivo. Come ci sono tanti modi di preparare una banana split gustosa, così ci sono molti modi felici di vivere il tempo delle relazioni.
Oltre a giocare con questa metafora della banana split, i Bettedavis introducono diverse modifiche che conferiscono al racconto di Wolff un maggiore spessore. Se escludiamo quelle dovute a esigenze di traduzione dall’americano all’italiano, quale la scelta di rendere i nomi dei personaggi in Gillo, Rao e Lu, questi cambiamenti coincidono con l’uso di mescolare nella storia Due ragazzi e una ragazza alcuni elementi presi da Shakespeare. In questa sede, vorrei concentrare l’attenzione solo su due esempi di ripresa delle opere shakespeariane rendono interessante la resa teatrale del racconto originario. Lo spettatore che frequenta Shakespeare potrà riconoscerne molte altre, nella costruzione drammaturgica e nella partitura sonora.
La prima e più frequente ripresa shakespeariana è quella dei Sonetti. Questi componimenti costituiscono la partitura musicale cui si accennava. I Bettedavis alternano, infatti, la recitazione di momenti della vicenda del racconto di Wolff con il canto di brani del loro album Sonnets, ispirato precisamente ai Sonetti shakespeariani. Così facendo, il duo artistico parla dei temi che Due ragazzi e una ragazza e Shakespeare hanno in comune, tra cui la riflessione sul tempo e sulle relazioni amorose, attraverso il medium della musica, che spesso comunica molte più cose rispetto alle parole e ai fatti rappresentati. Se del resto la passione dell’amore esiste (va però detto che è materia controversa, che richiede ancora una rigorosa dimostrazione), essa è certamente più profonda rispetto all’esperienza che ne fanno gli adolescenti come Mary Ann, Gilbert e Rafe. La “messa in musica” dei Sonetti di Shakespeare conferisce così alla vicenda amorosa che lega i tre personaggi un alone misterioso assente dall’originale di Wolff, e fornisce inoltre una bella prova attoriale. Poiché i Sonnets dei Bettedavis sono una creazione volendo indipendente da Banana split, che parla di Shakespeare con sapienza, leggerezza ed effetti di coinvolgimento emotivo per gli spettatori.
La seconda ripresa shakespeariana è più discreta e sottile. A metà circa dello spettacolo, il personaggio di Gilbert pronuncia un monologo in cui immagina la sua vita trascorsa insieme a Mary Ann, con toni sognanti e fantastici, per poi far seguire il breve discorso di Jacques di As You Like It di Shakespeare sulle sette età dell’essere umano. L’esistenza è come un palcoscenico in cui uomini e donne recitano quello che compete a ciascuna singola fase della loro vita, fino al momento in cui la morte non li costringe a uscire di scena. Benché il discorso di Jacques non sia l’unica occorrenza nota della metafora della “vita come una recita”, dato che essa torna in molte opere di Shakespeare, la scelta di As You Like It non risulta arbitraria, perché è forse quella che si lega meglio al tema dell’amore dell’adolescenza. La terza età cui Jacques fa riferimento comprende quella dell’innamorato, che segue a quella del bambino che va a scuola e precede la fase adulta del soldato. La sua unica preoccupazione è qui quella di sospirare come una fornace per l’amata, a cui sta per dedicare una triste ballata (Sighing like furnace, with a woeful ballad / Made to his mistress’ eyebrow: II 7, vv. 149-150). L’età in questione è insomma forse quella che tra le sette risulta più intensa e bella, che vale la pena recitare fino in fondo. Le altre saranno meno interessanti, perché connotate da obiettivi e passioni più meschine o grezze.
Ora, l’inserimento di questo discorso di Jacques in Banana split consente di leggere il lavoro dei Bettedavis come l’espressione di una loro originale visione della “vita come una recita”. Il duo artistico non vede l’adolescenza come un’età in sé perfetta, che si ricorda con nostalgia e che aveva qualcosa che altre fasi della vita umana non possono avere. La interpreta come un’età che va ricreata a teatro, per recuperare ciò che di buono risiede in essa, tralasciando tutto ciò che è vuoto e superfluo. “Vivere” da adolescente è del resto molto diverso, rispetto al “recitare” la parte dell’adolescente. Il primo indica una fase biologica della vita umana, il secondo è un atteggiamento spirituale, o meglio creativo e cognitivo: quello di disporsi verso il mondo in modo generoso, ricettivo e aperto. In questo senso l’adolescenza vissuta può non coincidere con quella recitata. Tanto che può capitare che l’adolescente della vita “vera” appaia più sciocco e volgare, rispetto al suo “doppio” poetico portato sulla scena.
Ciò che conta non è insomma l’adolescenza in sé, ma l’atto di recitare l’adolescenza. Quando questo accade, può forse capitare che un attore non più adolescente acquisti, per qualche attimo privilegiato, una sorta di seconda giovinezza e la riverberi sugli spettatori che sono lì presenti ad assistere.