Direttori: Fortunato Depero
Anno primo: 1933
Mese primo: febbraio
Anno ultimo: 1933
Mese ultimo: giugno
Periodicità: irregolare
N. fascicoli: 5
In collaborazione con il MART, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Scheda, indici e immagini a cura di Francesca Rocchetti
Periodico roveretano diretto da Fortunato Depero, sotto l’alto patronato di Filippo Tommaso Marinetti. Viene stampato presso la tipografia Mercurio di Rovereto (Trento) e complessivamente escono 5 numeri, dei quali uno triplo (n. 3/4/5, giugno 1933), dal febbraio al giugno 1933. I primi due numeri hanno uguale formato (cm 41x20) e sulla copertina di colore arancio hanno impressa una dinamo nera. Sono composti da dodici pagine ognuno, e hanno un prezzo di Lire 12. Sulla copertina del secondo numero è riportato il sottotitolo ‘Periodico mensile illustrato’. Il terzo e ultimo fascicolo si riduce nelle dimensioni (cm 34x25), il prezzo non è più indicato e le pagine passano a 22; essendo interamente dedicato a Umberto Boccioni comprende anche 8 tavole fuori testo, stampate su carta patinata, che riproducono alcuni disegni e sculture del pittore.
La rivista si apre con un editoriale in cui Depero manifesta l’intento di illustrare con ordine e chiarezza la vasta opera del Futurismo «di ieri, di oggi e di domani: dai grandi maestri ai giovani e ai giovanissimi, dal Brennero alla Sicilia…». Rimarca inoltre la sua vicinanza al fascismo e a Mussolini che «futuristicamente dichiarò di non aver mai visitato un museo […] perché la storia si fa vivendo, perché la politica si fa vivendo, perché l’arte si fa vivendo». Fin dall’inizio dunque «Dinamo futurista» appare come una rivista corale che desidera documentare su larga scala l’attività dei futuristi sparsi per l’Italia che si sono mantenuti in linea con i maestri ormai riconosciuti del movimento. La nascita della nuova rivista è salutata con toni entusiastici da Marinetti, il quale interviene subito in prima pagina, esaltando il «genio creatore inesauribile» di Depero, la sua «fantasia oceanica e interplanetaria». Nelle pagine successive troveremo altre lettere, tra cui una del poeta Paolo Buzzi, di elogio per la neonata rivista.
Scorrendo gli scritti del primo numero, che spaziano dalla letteratura, alla teoria, all’architettura, alla storia, troviamo innanzitutto l’ A B C del futurismo, uno spazio occupato da brevi brani, idee, definizioni sintetiche su opere e autori, che delineano, in modo telegrafico, il significato, l’opera e la storia del futurismo. Questo articolo verrà ripreso anche nel secondo numero con una suddivisione in pittura, musica e architettura. Per quanto riguarda la critica, Piero Anselmi offre un Bilancio futurista alla diciottesima Biennale veneziana, la mostra personale di Prampolini e Depero che, dopo due anni di successi a New York, ha presentato 36 lavori tra quadri e disegni. Secondo l’Anselmi la superiorità dei futuristi è indiscutibile poiché «solo i futuristi sono oggi in possesso di una nuova reale sensibilità artistica, sono i creatori di nuovi stati d’animo plastici […], sono i soli che veramente si preoccupano di rappresentare l’epoca nella quale essi vivono». Prampolini firma un resoconto dettagliato sulla Mostra della rivoluzione fascista a Roma, mentre Oriani interviene con un articolo di argomento architettonico (Torino nuova) in cui mette in luce la validissima opera di alcuni artisti del gruppo futurista – in particolare Umberto Cuzzi e Gigi Chessa – che hanno contribuito alla modernizzazione urbanistica di Torino.
Per l’aspetto più letterario della rivista, Depero propone uno scritto in prosa sulla strada che circonda il Lago di Garda: La Gardesana in velocità. La Gardesana appunto, con le sue 72 gallerie, viene presentata come una delle grandi realizzazioni del regime. Depero si sofferma minuziosamente nella descrizione paesaggistica e ci presenta Mori, Loppio, «placido stagno verde cupo», Riva «con le sue torri e i suoi alberghi imbandierati e le vele che la festeggiano con mille canti policromi», Arco, cittadina onorata e glorificata dal pittore Giovanni Segantini, Torbole «che sembra creata da un artista in stato di estasi», il Monte Baldo che verso il Lago di Garda è «orrendamente irto di strapiombi e di rocce corrose e dentellate». Depero conclude il suo pezzo rivolgendo un invito a visitare e ad esaltare questa strada, «una rara e imponente bellezza che il Fascismo ha saputo e voluto audacemente creare, senza dubbio uno dei paesaggi più affascinanti che offre il volto dell’Europa del dopoguerra». Il direttore di «Dinamo futurista», nel secondo numero, dedicherà un altro racconto al paesaggio trentino, anch’esso con toni entusiastici e ricco di particolari naturalistici (Cima Paganella e Rifugio C. Battisti). Anche la poesia trova spazio in questo primo fascicolo, con le Sette sincopatie di Farfa (lo pseudonimo usato da Vittorio Osvaldo Tommasini) e con Convalescenza in parole in libertà di G. Gerbino.
Il secondo numero (marzo 1933) si apre con un intervento di Depero, dal sapore autobiografico, sull’importanza di avere fede, quella forza cioè che permette di trasformare e ricostruire il mondo. Questo editoriale, che contiene brani di grande poesia, è seguito da una scelta di Massime boccioniane. Vittorio Orazi, seppure in ritardo coi tempi, ci propone una recensione alla seconda Antologia futurista uscita nel 1925 e curata dal giovanissimo Marinetti. Presentando alcuni giovani poeti paroliberisti (Matrizzi, Escodamè, Fillia, Folicaldi, Marchesi, Simonetti, Sanzin), l’autore dimostra apertamente la sua preferenza per Farfa, «geniale concatenatore di analogie sottili e lontanissime tra loro, pittore vivacissimo di realtà sensuali» e per Angelo Maino che «possiede un temperamento lirico non comune ed un’ispirazione commossa che vibra e spazia oltre la contingenza, oltre il puro aspetto delle cose, per cantare modernissimamente, futuristicamente, la nostra complessa interiorità». Tenendo fede a quanto dichiarato nell’editoriale del primo numero, questo secondo fascicolo dimostra un’apertura verso i movimenti futuristi di varie zone dell’Italia: Gino Gentili firma infatti un intervento – accompagnato da un disegno e da un olio – su Carlo Maria Dormal, il pittore a capo del movimento futurista padovano; mentre Guglielmo Jannelli presenta il ritratto di due futuristi siciliani: Armando Mazza e Ruggero Vasari. Quasi un’intera pagina è dedicata ad una panoramica di alcune aeropitture eseguite da Tato.
Giovanni Gerbino lancia il Manifesto futurista della poesia pubblicitaria e propone alcuni esempi, sostenendo che un prodotto industriale o commerciale debba essere esaltato «con lo stesso stato d’animo con cui si esaltano gli occhi di una donna». Ampio spazio è occupato dalle parole in libertà: Ufficio di Beniamino Tomasi, Esplorazioni aeree di G. Sanzin, Ritratto olfattivo di una donna di Marinetti, e Mani d’autunno di Escodamé (pseudonimo di Michele Leskovic). Tre sono invece le poesie: Violini di N. Burrasca, Sottomarini di T. Crali, L’ombrello il gatto e l’uomo di E. Mainardi. Per quanto riguarda gli interventi in prosa, oltre al già menzionato racconto di Depero, Farfa propone una serie di aneddoti sulle visitatrici delle mostre futuriste, dal titolo Signora…sluigiatevi vi prego!, mentre Manuel Caracciolo firma un pezzo intitolato Napoletanamente. Ricordiamo inoltre Due sintesi teatrali di Cesare Cerati.
Sulla copertina dell’ultimo numero (n. 3/4/5, giugno 1933) è incollata la foto di un gesso di Boccioni, Muscoli in velocità. Come si è detto, questo è un numero speciale per le onoranze a Umberto Boccioni, svoltesi a Milano. L’editoriale di Depero annuncia che nel fascicolo saranno raccolti vari giudizi e scritti editi e inediti di personalità e artisti che vissero accanto a Boccioni, «fede futurista fraterna e incrollabile». Depero si augura anche – come già aveva fatto al congresso futurista del 1924 – che le onoranze si concludano con la fondazione di una galleria d’arte dedicata all’opera del fondatore del dinamismo plastico. Seguono quindi una serie di articoli, prevalentemente già apparsi su altre riviste o cataloghi di mostre, tutti incentrati sulla figura e sull’opera del grande artista nato a Reggio Calabria nel 1882 e morto nel 1916 per una caduta da cavallo, dopo essersi arruolato volontario nella prima guerra mondiale. Marinetti pubblica un suo ritratto personale del compagno futurista; Luigi Russolo, dalla Spagna, ricorda l’inizio della loro amicizia, la nascita del Manifesto dei pittori futuristi, sorto dal desiderio «che un’azione uguale a quella che svolgeva Marinetti per la letteratura e la poesia venisse fatta anche per la pittura». L’intervento dal titolo Meravigliosa spirale boccioniana, a firma I.P., offre l’immagine di un Boccioni autodidatta, dotato di un istinto naturale verso la pittura e determinato nel tentativo di «abbandonare tutte le scorie mentali per una chiarificazione cristallina». L’autore ritrae inoltre un Boccioni appassionato durante le serata futuriste, capace di confondere e disarmare l’avversario col motto di spirito, con l’ironia; infine rammenta il suo affetto per la madre, «la compagna esclusiva dei suoi ultimi anni, la modella delle sue opere e il rifugio dei suoi smarrimenti». Luciano Folgore (dal «Giornale d’Italia» del 20 agosto 1916) lo ricorda come un uomo che aveva una sola fede, l’arte, e un solo orgoglio, la Patria, e «voleva ambedue fuse insieme, innanzi a tutto, all’avanguardia di tutto».
Rivolti a esaltare l’impronta geniale e incancellabile lasciata da Boccioni nel mondo dell’arte sono anche gli interventi di Paolo Buzzi (Gloria a Umberto Boccioni), Notari (Un grande italiano di domani) Massimo Bontempelli (L’ingegno prodigioso di Umberto Boccioni) e Renato Simoni (La scomparsa di un grande artista). Completano il numero una serie di scritti dello stesso Boccioni (La storia dell’arte suddivisa nei seguenti periodi…; Noi viviamo di verità nate ieri; Dall’impressionismo al futurismo), quattro lettere da lui scritte durante la guerra e rivolte ad alcuni amici, alla madre e alla contessa Vanna Piccini, alcune sue fotografie e la voce “Boccioni” tratta dall’Enciclopedia Treccani. Il fascicolo si chiude con otto tavole fuori testo: quattro quadri e sette sculture di Boccioni, oggi andati persi.
Tutti e tre i numeri di «Dinamo futurista» concedono largo spazio alla pubblicità, in parte scritta (come nel caso del lungo incitamento ad abbonarsi alla rivista «Futurismo»), ma per la maggior parte disegnata da Depero, come il marchio Veramon o quello del Cordial Campari. Infatti, all’interno dell’enorme produzione dell’artista roveretano, l’incursione nel campo della grafica pubblicitaria non costituisce certo un aspetto marginale. Fu proprio nelle cosiddette arti applicate che Depero trovò la possibilità di esprimere la sua irruente foga creativa, portando nel sistema pubblicitario una ventata di novità sia sul piano formale che contenutistico, coniugando una visione futurista della realtà con l’esigenza di nuove forme di comunicazione.
bibliografia
"Dinamo futurista", "Elettroni", «Futurismo», a. II, n. 19 (15 gennaio 1933), p. 1
Godoli E. (a cura di), Il dizionario del futurismo, Firenze, Vallecchi, 2001
Millefiorini F., Fortunato Depero e le riviste, in Baroni G. (a cura di), Letteratura e riviste, Pisa, Giardini, 2004