"In Your Face" di Ateliersi. "Esse est invenire"?

In Your Face

Di e con: Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi
Musiche di: Vittoria Burattini, Vincenzo Scorza e Mauro Sommavilla
Eseguite da: Giulia Formica, Vincenzo Scorza e Mauro Sommavilla
Cura del suono: Vincenzo Scorza
Direzione tecnica: Giovanni Brunetto
Comunicazione e promozione: Tihana Maravic e Federica Patti
Organizzazione e amministrazione: Elisa Marchese
Produzione: Ateliersi
Con il sostegno di: MiBAC, Regione Emilia Romagna e Comune di Bologna
Finalista UBU 2018 come miglior progetto sonoro o musiche originali

Visto al Teatro Rasi di Ravenna, l'11 aprile 2019

di Enrico Piergiacomi

 

Vero è soltanto che bisogna crearsi, creare!
E allora soltanto, ci si trova
(Pirandello, Trovarsi)

Essere guardata non so bene da chi,
guardare gli altri quasi di nascosto
(Ateliersi, In Your Face)

Ad accomunare Soli e In Your Face della compagnia Ateliersi non è solo il proposito di riscrivere l’opera di Luigi Pirandello, dandole una direzione più chiaramente attivistica e politica. I lavori sono uniti anche perché colgono un paradosso della nostra epoca: l’esistenza della condizione di “solitudine pubblica”. L’essere umano si scopre tanto più solo, quanto più si cala nella dimensione collettiva. In Soli, come si mostrato in un articolo precedente, il paradosso è espresso tramite il concetto che gli individui che compongono la società vivono una condizione di isolamento spirituale. Pur trovandosi a stretto contatto con i propri simili, gli esseri umani possono scoprire di non intrattenere alcun legame con gli altri, anzi di sentirsi loro estranei. In Your Face esplora il paradosso della solitudine pubblica, invece, riflettendo sulle dinamiche che sottintendono ai social network, in particolare a Facebook e ad Instangram. Dentro simili piattaforme, gli esseri umani si espongono e comunicano a una vastissima cerchia di persone, ma così facendo capita – appunto, paradossalmente – che essi in realtà si nascondino e si isolino.
Il testo di partenza di Pirandello è stavolta la commedia in tre atti Trovarsi. Può di nuovo tornare utile riassumere la trama e le caratteristiche principali dell’opera per capire come In Your Face di Ateliersi trasformi il modello e lo doti di un nuovo significato.
Trovarsi ha come protagonista Donata Genzi: un’attrice di talento che vive un profondo dissidio tra l’arte e la vita. Benché eccella nella prima, ella è del tutto inetta come donna. Donata sa dare verità e bellezza ai personaggi che interpreta, e tuttavia sente la sua vita come mai cominciata. Per superare questa frattura tra il sé come “attrice” e il sé come “donna”, Donata si imbarca allora in mare con il giovane ventiseienne Elj Nielsen. Ella crede di poter ritrovare la parte nascosta del proprio “io” mettendosi in condizione di essere sorpresa dalla vita che brulica fuori dal palcoscenico. Durante lo scoppio di una tempesta, Elj salva però Donata da morte certa infierendole un morso sulla nuca. Il gesto istintivo le fa infatti perdere conoscenza e la porta a cadere tra le braccia dell’uomo, che può così riportarla a riva. In un primo momento, l’evento avvicina i due personaggi, tanto che Donata prende in considerazione l’idea di sposare Elj, di abbandonare la scena e di ricomporre la frattura vita-arte mettendo la prima al di sopra della seconda. Successivamente, però, l’attrice metterà in scena uno spettacolo in cui ripete gli stessi gesti, sguardi, sentimenti che aveva mostrato in privato al suo partner. Elj si sente tradito e abbandona il teatro alla fine del secondo atto. Donata riconosce, invece, in un improvviso istante di estasi creativa, che l’atto di rappresentare sulla scena questo suo amore è l’unico modo di essere al tempo stesso attrice e donna, sia nell’arte che nella vita. Ella riesce, insomma, a dare forma artistica alla sua esperienza erotica. Il prezzo da pagare per questa ricomposizione è, tuttavia, la caduta nella solitudine più estrema. Donata scoprirà nel suo camerino, dove verrà visitata dalle ombre dei personaggi della commedia che ha appena rappresentato, che solo la creazione porta la vita a fare tutt’uno con l’arte. Ogni altro tentativo è puro compromesso, o una forma di auto-inganno.
Dal punto di vista strutturale, In Your Face conserva l’intero impianto di Trovarsi di Pirandello. Solo qualche dettaglio interno viene infatti cambiato. L’attrice Donata diventa un’autrice di racconti erotici chiamata Marta (Fiorenza Menni), mentre il marinaio Elj si trasforma nello scalatore Luigi (Andrea Mochi Sismondi). È poi sempre il rischio di un pericolo mortale – ambientato stavolta durante una discesa in una grotta e non in mare aperto – che viene sventato dal morso dell’uomo sulla donna ad avvicinare i due personaggi in una temporanea relazione. Ancora, sarà un gesto creativo di Marta (= il racconto su Facebook delle notti di sesso trascorse con Luigi) a troncare il rapporto. Anche la scena finale di Trovarsi è infine conservata con un espediente scenico. Oltre il palco in cui Marta e Luigi recitano, infatti, c’è un’alcova in cui due suonatori batteria e uno di musica elettronica, che finora avevano suonato delle melodie di accompagnamento allo spettacolo, si cimentano in un assolo musicale, che sostituisce l’apparizione finale degli spettri dell’originale pirandelliano.
Vi è un unico spostamento di accento che separa Trovarsi e In Your Face. Ma si tratta di un dettaglio decisivo. Trovarsi di Pirandello parla della solitudine che l’attore è costretto a sopportare per avere il privilegio di creare alcune visioni poetiche agli spettatori. Il dramma di Donata riguarda, dunque, una cerchia più ristretta di persone, ossia l’artista e l’intellettuale. Non sarebbe a tal riguardo anzi peregrino supporre che Pirandello esponga con Trovarsi le sue ansie di scrittore di teatro, riconoscendo nella donna un suo “doppio” che sente con dolorosa evidenza quanto l’arte possa fondersi con la vita solo attraverso l’abnegazione di sé. In Your Face descrive, di contro, una condizione di solitudine più generalizzata, che anche persone diverse dagli artisti e dagli intellettuali possono sentire con oppressione. Il dissidio è quello tra la “vita” nella sua nudità e la sua “esposizione” sul piano collettivo. Il racconto dell’avventura erotica di Marta non è in fondo altro che questo: un tentativo di rendere percepibile il proprio “io” agli altri con il linguaggio, con una forma narrativa e una foto su Facebook. La tragedia è che il sé autentico e quello costruito sul social network si scoprono essere irrelati. Ciò che noi spesso diciamo o dichiariamo sulla piattaforma non corrisponde a ciò che siamo, o a ciò che potremmo essere nei momenti migliori.
Lo spettacolo In Your Face apre così delle domande più generali. Anzitutto, la frattura tra l’io autentico e l’io “esposto” dipende dai social network? In secondo luogo, è la dimensione pubblica che crea la solitudine? Infine, l’esposizione allo sguardo altrui è sempre di ostacolo al ritrovamento di sé? A queste domande, gli artisti di Ateliersi forniscono una risposta pratica e una poetica. L’una consiste nel mostrare che i social network non sono in sé necessariamente una causa di solitudine, frammentarietà e perdita di sé, poiché anzi un loro giusto utilizzo fornisce persino un bacino di materiale artistico. A ogni replica di In Your Face, infatti, Ateliersi recupera dagli archivi dei profili di Facebook e Instangram parole, immagini, commenti, impressioni che oggi i loro stessi autori hanno forse dimenticato, e li salva così almeno per un attimo dalla caducità e dall’oblio. Il personaggio di Marta dice a circa metà dell’opera di essere atterrita al pensiero che le nostre vite siano «incastrate in un insopportabile eterno presente dove il passato scorre inesorabilmente verso il basso e nessuno va più a leggere i vecchi post». Luigi le risponde «Noi sì», o meglio lo fa l’attore Andrea che abbandona discretamente per un attimo la maschera del suo personaggio e allude a una scelta di campo artistica, ossia di provare a salvaguardare dal tempo che tutto distrugge col suo scorrere qualche spaccato di vita e di bellezza dei vecchi profili.
La risposta poetica alle domande di cui sopra si manifesta se si accetta una premessa. Un social network è una modalità di esposizione di sé tutta particolare. I suoi membri si espongono sapendo di poter essere guardati in ogni momento e di poter guardare gli altri di nascosto, come riconosce Marta con la battuta che è citata in apertura dell’articolo. Essi dunque cercano se stessi mostrando all’osservazione della rete i tratti della loro personalità che ritengono essere rilevanti e unici; per converso, ricevono dalle parole, dai commenti, dalle immagini altrui dei mezzi per comprendere meglio i caratteri altrui. Per riprendere la celebre forma dell’Alcifrone di Berkeley, dentro un social network si sancisce la verità del motto che esse est percipi – essere è essere percepiti. Se non c’è nessuno pronto a confermare che noi siamo quel che diciamo o presumiamo di essere, il “sé” così definito smette semplicemente esistere.
Ora, tale dinamica non è né sbagliata né nociva. Il problema è solo nel modo in cui l’esposizione ha luogo, ossia nello scopo a cui esso mira. Esporsi allo sguardo altrui per confermare un’idea preconcetta di sé e dare così spazio all’egocentrismo è una modalità cattiva che non fa avanzare nella reale conoscenza di sé. Nello specifico di Marta, il suo errore non è aver usato la sua storia con Luigi per costruire un racconto erotico, ma di avervi fatto ricorso come se fosse stato un materiale tra i tanti: una delle numerose narrazioni che aveva finora presentato al pubblico di Facebook per far colpo e avere facili consensi. Al fine di controbilanciare questa modalità, tuttavia, se ne possono ideare molte altre. Il racconto della relazione tra Marta e Luigi avrebbe potuto anche proporre, per esempio, anche un punto di partenza per riflettere in comune sulla natura dell’eros. Una piattaforma come Facebook può allora essere usata con una funzione creativa, se la si pensa come un veicolo di riflessione condivisa su alcune esperienze.
Si può proporre, in conclusione, che la riscrittura di Trovarsi di Pirandello di In Your Face si distingue dal modello pirandelliano per due ragioni. Da un lato, essa introduce una riflessione di carattere estetico sui limiti, sulle contraddizioni e sulle potenziali risorse conoscitive dei social network, più che sull’arte dell’attore e sul suo conflitto con la vita. Il teatro è quindi qui un mezzo e non – come accade in Trovarsi – un fine. Dall’altro lato, In Your Face rovescia in positivo il tema della ricerca di un’armonia tra il proprio sé e il sé “esposto” all’attenzione altrui, suggerendo che la condizione di solitudine pubblica può essere superata con un uso oculato delle piattaforme digitali. Facebook e Instangram non sono di necessità luoghi virtuali in cui far sfoggio dei propri pregiudizi. Possono anche esser spazi in cui tenta, per così dire, un esse est invenire (“essere è essere trovati”): un percorso di crescita e di confronto condiviso per arrivare a una migliore comprensione di che cosa significhi essere umani, o – nel caso di Luigi e di Marta – uno strumento per capire che cosa significhi innamorarsi all’era dei social network.