Ascoltare la fragilità. I Silenzi di Teatro Patalò

Silenzi. Frammenti di un discorso di coppia
TESTO, REGIA, DISEGNO LUCI e INTERPRETAZIONE Isadora Angelini e Luca Serrani
COLLABORAZIONE ARTISTICA e TECNICA Antonio Perrone
COSTUMI Drama Costumi Teatrali
REGISTRAZIONI Farmhouse Studio
COLLABORAZIONE ALLA DRAMMATURGIA Rita Frongia
PRODUZIONE Teatro Patalò
FOTOGRAFIA Dorin Mihai
RESIDENZE_Santarcangelo dei Teatri, Comune di Rimini Settore Cultura, Fuor di Teatro, Drama Teatro
di Enrico Piergiacomi

“Silenzio” rientra tra le parole che esprimono una realtà complessa e paradossale, nel senso che si riferiscono a qualcosa di prossimo al non-essere, dunque a un indicibile e a un impensabile. Se infatti esaminiamo da vicino il significato più intuitivo e ordinario che attribuiamo a questo termine, ossia “condizione di totale assenza di rumori, voci e altre fonti acustiche”, potremo notare che una dimensione del genere non si dà in natura, né può essere prodotta artificialmente. Già John Cage aveva notato che un silenzio “puro” è impedito dall’esistenza stessa di suoni e movimenti non avvertiti dalla percezione ordinaria: chiudendoci in un compartimento stagno e del tutto insonorizzato rispetto all’esterno, potremo comunque ascoltare il suono del nostro respiro, o lo scorrere del sangue, o altri moti del nostro organismo che spesso risultano inavvertiti. Potremmo addirittura supporre che tutto ciò che esiste e si muove produce rumore, persino i morti cui alludiamo con la proverbiale espressione “silenzio di tomba”. Essi in realtà lanciano suoni che i vivi non colgono, forse perché troppo presi dal dolore o dall’orrore, come il rumore dei processi di rigor mortis e putrefazione in atto.
Assodato quindi che “silenzio” tenta di esprimere qualcosa di impossibile (= di parlare di un’assenza di fenomeni acustici che non si dà mai nel mondo naturale e artificiale), si apre la possibilità di usare la parola in un altro senso. Si potrà dire che “silenziosa” è la condizione in cui ci si apre alla possibilità di percepire quei suoni e quei movimenti che di norma non sono percepiti/ascoltati. A rischio di risultare banali, si può dire che in natura spazi del genere si trovano nelle foreste e nei cimiteri quando cade la notte, perché si riesce ad ascoltare i versi delle bestie notturne in caccia e dei morti che sotterra trascorrono il loro ultimo sonno. Lo spazio artificiale in cui invece ha luogo un “silenzio” pregno di suoni e movimenti anormali può essere identificato nel teatro. Qui, infatti, attori e spettatori si concedono un momento privilegiato per ascoltare insieme i propri respiri e i moti dei loro pensieri/sentimenti più intimi, raggiungendo la concentrazione necessaria attraverso lo studio di quanto avviene sulla scena.
È in questa direzione che va lo spettacolo Silenzi. Frammenti di un discorso di coppia di Teatro Patalò. Il lavoro rappresenta la prima parte di una trilogia sull’argomento e si ispira alle poesie di Emily Dickinson, a numerosi racconti di Raymond Carver e ai Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, in particolare alle considerazioni dedicate alla “scenata”. Benché molto diversi per estrazione cronologica dei loro autori, per tono e per argomento, tutti questi materiale poetici-filosofici sono raccordati da Teatro Patalò in una drammaturgica coerente e autonoma, che propone un’originale poetica del silenzio a teatro inteso, appunto, come luogo privilegiato per sentire qualcosa di inaudito.
La circostanza narrativa dello spettacolo è chiara. Una coppia di attori – marito e moglie – si guadagna da vivere recitando memoriali e poesie ai funerali. Per loro la morte è normalmente un “affare”, quindi è vista a distanza e quasi come un’esperienza estranea. I due attori non pensano di norma che la condizione del morto che dà loro paradossalmente da vivere sarà anche la loro in futuro. Accade però un giorno che, al funerale dedicato a una sconosciuta Margherita, marito e moglie entrano in una particolare empatia con la defunta e avvertono per la prima volta una frattura nel loro ordinario stile di vita. La morte – che prima era un affare – diventa ora materia di riflessione intima sulla difficoltà della relazione amorosa, tanto che la coppia si interroga adesso su cosa farebbe per il partner, se questi si trovasse nella condizione di malato terminale o in fin di vita. Da narrativa, la dimensione si fa a questo punto “onirica”. La coppia perde i suoi contorni realistici e diventa il tramite di una riflessione più alta circa la fragilità dell’essere umano, che a teatro diventa percepibile con più evidenza e nitore poetico.
Ora, due sono soprattutto gli elementi di interesse che emergono da questa drammaturgia. La prima è che ciò che è più importante, al suo interno, non è quello che viene detto, bensì quanto risuona dai corpi degli attori che si relazionano sulla scena e dai silenzi che essi vanno occasionalmente a creare. Ha luogo così un contrasto netto tra la parola pronunciata e, come da titolo, tra i “frammenti” di un loro dialogo muto sulla scena. Quando i due attori parlano, essi perlopiù mentono e si nascondono l’uno dall’altro, per esempio litigando su questioni futili o su piccoli risentimenti privati. Laddove invece si ascoltano e si incontrano sul serio, come nel già citato dialogo sull’eutanasia (tratto, per inciso, dal racconto Chiunque abbia usato questo letto di Elefanti e altri racconti di Carver), essi lo fanno spesso senza parlare né discutere di alcunché, ma facendolo intendere con i sguardi, con la postura, più semplicemente sullo “stare” insieme sulla scena. La ragione possibile è che quel qualcosa che essi esprimono da muti è indicibile. Se lo pronunciassero, o tentassero di tradurlo in parole, ricadrebbero nella menzogna, o quanto meno ne darebbero un’espressione meno vitale rispetto a quella che emerge dai corpi e dai volti.
Il secondo elemento di interesse è che la poetica del silenzio di Teatro Patalò è per sua necessità frammentaria. Se la dimensione narrativa (quindi, del discorso) dura incontrastata dall’inizio fin quasi alla fine dello spettacolo e se i momenti di intimità silenziosa si danno al contrario di rado, è perché tale condizione intima non può che essere un’apparizione fugace. La poesia del teatro si può reggere solo di sfuggita e, in ogni caso, non resta a lungo, per quanto ci si ostini a volerla trattenere e prolungare. Il carattere frammentato del discorso muto e intimo della coppia non rappresenta, allora, un difetto o un limite del lavoro. Ne è la sua intrinseca essenza.
Ascoltare la fragilità dell’essere umano appare dunque essere, alla luce di queste inadeguate e approssimative considerazioni, una delle virtù stesse del teatro. La compagnia Teatro Patalò riesce a partecipare di questo potere virtuoso con delicatezza e sincerità, perché fanno dono agli spettatori di “silenzi” che risuoneranno a lungo nelle loro menti.